Per la sussistenza del metodo mafioso non è necessario far parte del “clan”

La circostanza aggravante del cd. metodo mafioso è configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso ma ponga in essere un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità della persona offesa quello ritenuto proprio di chi appartenga a tale sodalizio.

Così la S.C. con la sentenza del 21 dicembre, n. 54273/16. Il caso. Avverso la sentenza che lo condannava ravvisando la circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/91 , l’imputato propone ricorso per cassazione eccependo contraddittorietà della motivazione contestando che la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che l’intervento del complice potesse considerarsi integrativo del metodo mafioso. L’aggravante del metodo mafioso”. Il ricorso è infondato. La Corte ha infatti motivato in merito alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7 cit. nella sua componente oggettiva, ovvero dell’essersi avvalso del metodo mafioso. Ai fini della sussistenza del metodo mafioso”, infatti, non è necessario che venga dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo Cass. n. 16053/2015 . Nel caso di specie, l’intervento del complice che rincarò la richiesta con richiami a gente pericolosa che non scherza e la stessa personalità dell’imputato che ricordò alla p.o. di essere mafioso e di avere amici che lo avrebbero fatto murare vivo , fossero modalità altamente esemplificative del metodo mafioso, a nulla rilevando che alla vicenda abbia preso parte un soggetto incensurato in quanto la circostanza aggravante del cd. metodo mafioso è configurabile anche a carico di un soggetto che non faccia parte di un’associazione di tipo mafioso ma ponga in essere un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità della persona offesa quello ritenuto proprio di chi appartenga a tale sodalizio, sicché l’incensuratezza non esclude la componente di mafiosità Cass. n. 50062/2015 . Il ricorso è inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 settembre – 21 dicembre 2016, n. 54273 Presidente Davigo – Relatore Aielli Premesso in fatto 1. Con sentenza del 17/2/2015 la Corte d'appello di Reggio Calabria decidendo su rinvio della Corte di cassazione sentenza del 30/4/2014 che aveva annullato la sentenza della Corte d' appello di Messina del 20/12/2012, in ordine alla ravvisabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. 152/1991, confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Messina del 1/2/2007 ritenendo sussistente l'aggravante de quo. 2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione C.S. per mezzo del suo difensore il quale eccepisce la violazione di legge e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione contestando che la Corte d'appello aveva erroneamente ritenuto che l'intervento del complice del C. ovvero tale Lombardo, incensurato, potesse considerarsi integrativo del metodo mafioso, tanto più che il Lombardo, era stato ritenuto meritevole delle circostanze attenuanti generiche. 2.1. Ad escludere la ricorrenza dell'aggravante, ad avviso della difesa, militerebbe, altresì, la qualità soggettiva del C., ben conosciuto dalla p.o. la quale per nulla intimidita, elaborò la relazione tecnica, quale amministratore giudiziario dei beni del ricorrente e nonostante le percosse, tornò nell'immobile per recuperare gli occhiali, a dimostrazione dell'incapacità del C. di intimidirlo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Il giudice di rinvio, recependo le indicazioni della Corte di Cassazione contenute nella sentenza di annullamento, ha integrato la motivazione in ordine alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 7 D.L. 152/91, nella sua componente oggettiva ovvero dell'essersi avvalso, il C., del metodo mafioso, uniformandosi al principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui ai fini della configurabilità dell'aggravante dell'utilizzazione del metodo mafioso , prevista dall'art. 7 D.L. 13 maggio 1991, n. 152 conv. in l. 12 luglio 1991, n. 203 , non è necessario che sia stata dimostrata o contestata l'esistenza di un'associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia richiamino alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo la forza intimidatrice tipicamente mafiosa del vincolo associativo Sez. 2 16053/2015, rv. 2635325 . 3. Nel caso di specie la Corte di merito ha sottolineato come l'utilizzo di un complice, il condurre il Saya in un luogo isolato, l'avvalersi di un'accetta e lo schiaffeggiarlo a sostegno di una sua pretesa, volta a condizionarne la relazione quale amministratore giudiziario, nell'ambito del procedimento di prevenzione, l'intervento del Lombardo che rincarò la richiesta con richiami a gente pericolosa che non scherza e la stessa personalità del C. che ricordò alla p.o. di essere mafioso e di avere amici che lo avrebbero fatto murare vivo , fossero modalità altamente esemplificative dei metodo mafioso, a nulla rilevando che alla vicenda abbia preso parte un soggetto, a dire della difesa, incensurato, poiché per giurisprudenza costante di questa Corte cui il Collegio intende aderire, la circostanza aggravante del cosiddetto metodo mafioso, è configurabile anche a carico di soggetto che non faccia parte di un'associazione di tipo mafioso, ma ponga in essere, nella commissione del fatto a lui addebitato, un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto Sez. 6, 50062/2015, Rv. 265656 , sicchè l'incensuratezza non può costituire elemento per escludere la componente di mafiosità . 4. Né è stata considerata rilevante per escludere la circostanza in parola, la reazione della vittima. E' stato infatti affermato che ai fini della configurabilità della circostanza aggravante di cui all'art. 7, legge n. 203 del 1991 è necessario l'effettivo ricorso, nell'occasione delittuosa contestata, al metodo mafioso, il quale deve essersi concretizzato in un comportamento oggettivamente idoneo ad esercitare sulle vittime del reato la particolare coartazione psicologica evocata dalla norma menzionata e non può essere desunto dalla mera reazione delle stesse vittime alla condotta tenuta dall'agente. Nella fattispecie la S.C. ha negato che la ricorrenza della circostanza aggravante potesse escludersi per il fatto che la vittima si era immediatamente rivolta alle forze dell'ordine Sez. 2, 45321/2015, Rv. 264900 . Alla luce di quanto complessivamente esposto il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente che lo ha proposto al pagamento delle spese processuali e visto l'art. 616 c.p.p., al versamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.