Vicino ai 90 anni e afflitto da patologie serie: eccessivo il carcere

L’uomo, condannato per mafia e per omicidio, è dietro le sbarre. Ma la sua età e i problemi fisici che lo minano nel corpo e nella mente rischiano di far diventare la detenzione un trattamento disumano.

Condannato per mafia e per omicidio. Destinato a rimanere per sempre in carcere. Ma la sua età e le gravi patologie che lo affliggono da tempo rendono la detenzione una punizione eccessiva. Cassazione, sentenza n. 54446, Sezione Prima Penale, depositata il 21 dicembre 2016 . Umanità. Respinta dal Tribunale di sorveglianza la richiesta di un detenuto – classe 1928 – finalizzata ad ottenere il differimento dell’esecuzione della pena . L’uomo, condannato a cinque anni e quattro mesi di reclusione per associazione mafiosa e all’ergastolo per omicidio , deve continuare a rimanere in carcere, quindi, nonostante la sua anzianità e il lungo elenco di patologie che ne minano la mente e il corpo. Questa decisione viene però messa seriamente in discussione dai magistrati della Cassazione. Da tenere in considerazione, difatti, l’affermazione fatta dall’uomo Ormai sono ridotto a fine corsa”. A dare peso a queste parole, sia chiaro, le relazioni redatte da diversi medici da quei documenti emerge il deterioramento fisico e neurologico del detenuto, deterioramento in continuo sviluppo anche a causa dell’età 87 anni dell’uomo. A fronte di questo quadro appare non ammissibile , secondo i magistrati, mantenere in carcere una persona che non è in grado di percepire il senso stesso della detenzione . E in questo caso, peraltro, la detenzione pare caratterizzata da una sicura prognosi di morte e va valutata come contraria al senso di umanità .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 novembre – 21 dicembre 2016, n. 54446 Presidente Di Tomassi – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 9 aprile 2015 il Tribunale di sorveglianza di Milano rigettava l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena formulata, ai sensi dell'art. 146 e 147 cod. pen., nell'interesse di N.F., in espiazione della pena detentiva di cui al provvedimento di cumulo della Procura generale di Palermo n. 144/2008 STEP, comprendente la sentenza della Corte di Assise di appello di Palermo del 10.12.1990 che aveva condannato il predetto alla pena di anni cinque, mesi quattro di reclusione per il reato di cui all'art. 416 bis cod. pen. in relazione a fatti commessi fino al 29.9.1982 e la sentenza della Corte di Assise di appello di Palermo del 25.10.2006 che lo aveva condannato alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per omicidio premeditato commesso il 30.11.1982. A ragione della decisione, il Tribunale - dopo avere riportato i contenuti delle relazioni sanitarie in atti e, in particolare, quelli della relazione del 3.4.2015 e della relazione psichiatrica - riteneva che le condizioni generali del N. non apparivano particolarmente gravi da risultare incompatibili con lo stato di detenzione secondo il disposto di cui all'art. 146 cod. pen. e che non rivelavano una condizione di grave infermità fisica rilevante ai fini del differimento facoltativo dell'esecuzione della pena ex at. 147 cod. pen. laddove, peraltro, l'unico indice significativo appariva quello dell'età avanzata del condannato, inidoneo di per sé solo, a costituire presupposto per la misura richiesta, stante anche la pericolosità sociale del predetto come risultante dalle annotazioni del Commissariato di P.S. di Partinico, nelle quali lo si indicava quale appartenente alla locale famiglia mafiosa con ruolo apicale, dalla circostanza che il predetto era stato sottoposto con provvedimento del 2.12.2009 alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, nonché dal tenore della decisione dei medesimo Tribunale di sorveglianza che, con ordinanza del novembre 2013, aveva dichiarato inammissibile l'istanza di liberazione condizionale avanzata dal condannato in quanto non erano stati offerti profili da cui potesse emergere il suo sicuro ravvedimento, non avendo mai il predetto tenuto comportamenti tali da cui desumere il reale distacco dalla associazione mafiosa di appartenenza. Aggiungeva che - pur tenendo conto della documentazione prodotta dalla difesa relazione visita specialistica neurologica a cura del professore F.P. nonché della disponibilità della Casa di cura di riposo F.R. ad accogliere il condannato in regime di differimento del'esecuzione della pena, eventualmente anche nelle forme della detenzione domiciliare - le condizioni di salute del N. non risultavano incompatibili con lo stato di detenzione ai sensi degli artt. 146 n. 3 e 147 n. 2 cod. pen. e non sussistevano motivi ostativi alla tollerabilità della detenzione in ambiente carcerario. 2. Avverso detta ordinanza il N. ha proposto personalmente ricorso per cassazione, lamentando che l'ordinanza impugnata non ha tenuto in debito conto delle patologie di cui è affetto come evidenziate nelle relazioni redatte da medici di sua fiducia, che avevano messo in evidenza il deterioramento fisico e neurologico in continuo sviluppo a causa dell'età 87 anni , nonché il ritardo nelle cure appropriate e ha affermato ormai sono ridotto a fine corsa . 3. Con requisitoria scritta, il Procuratore generale di questa Corte, dott. M.P. ha concluso per l'inammissibilità del ricorso e per la condanna del ricorrente al pagamento delle pese processuali e di una somma a favore della cassa elle ammende. Considerato in diritto 1. L'argomentare del Tribunale di sorveglianza di Milano non appare congruo ai principi di diritto più volte affermati da questa Corte in punto di legittimità del rigetto di istanza di differimento dell'esecuzione della pena e di applicazione della detenzione domiciliare per motivi di salute. E in vero, secondo la giurisprudenza di legittimità, la valutazione sull'incompatibilità tra il regime detentivo carcerario e le condizioni di salute del recluso, ovvero sulla possibilità che il mantenimento dello stato di detenzione di persona gravemente debilitata e/o ammalata costituisca trattamento inumano o degradante, va effettuata tenendo comparativamente conto delle condizioni complessive di salute e di detenzione, e implica un giudizio non soltanto di astratta idoneità dei presidi sanitari e terapeutici posti a disposizione del detenuto, ma anche di concreta adeguatezza delle possibilità di cura e assistenza che nella situazione specifica è possibile assicurare al predetto Cass. Sez. 1, 5.7.2011, n. 30495, rv. 251478 conformi Cass. Sez. 1, 8.1.2013, n. 5732, rv. 254509 Cass. Sez. 1, 24.1.2011, n. 16681, rv. 249966 Cass. Sez. 1, 8.5.2009, n. 22373, rv. 244132 . La Corte di cassazione ha, inoltre, affermato che il provvedimento di rigetto della richiesta di differimento dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica è affetto da vizio di motivazione solo se l'omesso riferimento alle necessità di tutela del diritto alla salute e al divieto di trattamenti contrari al senso di umanità si combina con l'accertata sussistenza di un quadro patologico particolarmente grave, capace ictu oculi di essere causa di una sofferenza aggiuntiva proprio per effetto della privazione dello stato di libertà, nonostante il regime di detenzione possa assicurare la prestazione di adeguate cure mediche Cass. Sez. 1, 24.6.2014, n. 32882, rv. 261414 . 2. Tanto premesso, osserva il Collegio che il Tribunale di Milano - dopo avere rilevato che il detenuto è affetto da plurime patologie ipertensione arteriosa scarsamente controllata dalla terapia valvupatia mitralica e aortica con ipertrofia ventricolo sinistro fibrillazione atriale permanente pregresso ictus cerebrale ischemico dell'emisfero destro con esiti di lieve emiparesi sinistra meningioma in fossa cranica posteriore vasculopatia cerebrale cronica colicistectomia in calcolosi pregressa prostatectomia per ipertrofia pregresso intervento chirurgico per occlusione intestinale ed esito di laparocete retinopatia bilaterale cisti renale destra stato ansioso con stati depressivi incostanti ha apoditticamente ritenuto la compatibilità dello stato detentivo con le condizioni di salute del N. senza, però, motivare in maniera esaustiva sul perché, nella fattispecie, non si verterebbe in un caso di patologia implicante se non un pericolo imminente per la vita dello stesso uno stato morboso con sicura prognosi di morte in carcere ovvero uno scadimento fisico capace di determinare una situazione di esistenza al di sotto di una soglia di dignità da rispettarsi anche nella condizione di restrizione carceraria. Grave lacuna motivazionale va, in particolare, individuata nel peso nullo attribuito dal Tribunale alla circostanza che il N. è soggetto di avanzata età è nato il 2.6.1928 , circostanza questa non indifferente per il nostro ordinamento. Assume, in vero, i contorni di una detenzione non ammissibile mantenere in carcere una persona che non è in grado di percepire il senso stesso della detenzione e, comunque, di percepirlo in modo non pieno né compiuto nei suoi aspetti rieducativi, preminenti per la nostra civiltà costituzionale. Anche la enfatizzata pericolosità sociale del N. doveva essere adeguatamente valutata non in astratto ma alla stregua delle patologie in atto e della loro natura ingravescente in relazione all'avanzata età anagrafica dei condannato. 3. Conseguentemente, la decisione dei Tribunale di sorveglianza di Milano va annullata con rinvio al medesimo giudice affinché riesamini la domanda del condannato applicando il seguente principio di diritto la detenzione con sicura prognosi di morte in carcere in stato di gravissimo decadimento è contraria al senso di umanità salvo che si dia dimostrazione effettiva che pur in quelle condizioni il detenuto sarebbe in grado, ancora oggi, di commettere altri gravi reati. P.Q.M. nulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Milano.