Telefonata dai domiciliari, agganciata una ‘cella’ lontana: evasione non dimostrata

Azzerata definitivamente la condanna a nove mesi di reclusione sancita in Appello. Per i giudici della Cassazione non è affatto dimostrata la fuga dell’uomo dalla abitazione.

Rapida chiamata per l’uomo costretto agli arresti domiciliari dentro la propria abitazione. Il telefono, però, in quei 21 secondi, aggancia una cella lontana da quella di riferimento per la zona in cui è collocata la casa. Scatta così per lui l’accusa di evasione”, accusa che, secondo i giudici, si rivela fragilissima. Di conseguenza, cade l’ipotesi di una condanna Cassazione, sentenza numero 51628, sezione sesta penale, depositata il 2 dicembre 2016 . Utenza. Passaggio importante in Appello per la singolare vicenda. I giudici sanciscono la condanna a nove mesi di reclusione , ritenendo l’uomo sotto accusa colpevole di evasione dai domiciliari . Decisivo, in sostanza, il fatto che i tabulati relativi alla sua utenza telefonica ne hanno segnalato la presenza, attraverso la cella agganciata, lontano dall’abitazione in cui si trovava ristretto in stato di detenzione domiciliare . Ma questa valutazione viene demolita dai magistrati della Cassazione, che, accogliendo le obiezioni proposte dal legale dell’uomo, azzerano la condanna e sanciscono che non vi è stata alcuna evasione . Innanzitutto, non risulta verificato, in relazione all’abitazione, quale fosse la cella di copertura dell’area . Di conseguenza, i contatti con le celle telefoniche sono da ritenere inidonei a dimostrare l’allontanamento della persona dal domicilio . Anche, anzi soprattutto, tenendo presenti, concludono i giudici del ‘Palazzaccio’, i fattori che possono influire sul meccanismo di ‘aggancio’ tra cella e terminale , e che rendono possibile l’eventualità che in un dato punto geografico e in un dato momento la cella che effettivamente sta servendo il cellulare sia differente da quella rappresentata nella mappa di copertura .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, 15 novembre – 2 dicembre 2016, n. 51628 Presidente Rotundo – Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze, su appello del Procuratore generale, in parziale riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di Livorno, ha condannato P.T., con la contestata recidiva reiterata infraquinquennale, alla pena di mesi nove di reclusione per il reato di evasione art. 385 cod. pen. commesso il 16 luglio 2007, alle ore 15 23 quando i tabulati telefonici dell'utenza a lui in uso ne segnalavano la presenza, attraverso la cella agganciata dall'utenza, lontano dall'abitazione ove si trovava ristretto in stato di detenzione domiciliare. 2. Con i motivi di ricorso, qui sintetizzati ai sensi dell'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., il difensore denuncia 2.1 vizio di violazione di legge, per la ritenuta ammissibilità dell'appello proposto dal procuratore generale, inammissibile per l'aspecificità dei motivi di gravame che si esaurivano, senza evidenziare elementi fattuali e giuridici diversi ed eventualmente trascurati, nella mera rivalutazione degli elementi probatori già analizzati dal primo giudice 2.2 contraddittorietà ed inesistenza della motivazione di condanna poiché la Corte territoriale, in mancanza di accertamento su quale fosse la cella servente rispetto all'abitazione del T., che in prevalenza agganciava proprio la cella Banditella, ha ritenuto accertato che l'imputato si trovasse fuori dall'abitazione perché, durante la conversazione contestatagli, agganciava celle diverse e in mancanza di accertamento sul cono di copertura delle celle agganciate e, quindi, fondando le proprie conclusioni su un affermazione del tutto apodittica 2.3 violazione di legge, in relazione all'art. 27 Cost., e illogicità della motivazione, nella parte in cui si assume che l'imputato avrebbe dovuto allegare la utilizzazione dell'utenza mobile, a lui intestata, da parte di altre persone laddove, era onere dell'accusa, attraverso l'analisi delle utenze chiamate, verificare che l'apparecchio venisse utilizzato, al momento della chiamata, proprio dall'imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve trovare accoglimento con conseguente annullamento della sentenza perché il fatto non sussiste. 2. Manifestamente infondato e generico è il primo motivo di ricorso al confronto con i motivi di appello della pubblica accusa che contengono gli elementi di fatto e le argomentazioni in diritto che sorreggono l'impugnazione e che delineano in termini netti la direzione verso la quale, in presenza della intervenuta assoluzione in primo grado, si chiede al giudice di appello di indirizzare la propria verifica e valutazione. 3. Con riguardo alla pronuncia di condanna occorre, rilevare come, ai fini del giudizio di colpevolezza, in caso di presenza di prove indirette, l'art. 192, comma 2 cod. proc. pen. prevede che gli indizi devono essere plurimi, precisi e concordanti da ciò conseguendo che, in assenza della pluralità e concordanza degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non può esercitarsi in quanto difetta della certezza del fatto da cui trarre il convincimento. 4. La conclusione del giudice del merito, secondo la quale l'apparecchio telefonico dell'imputato veniva utilizzato fuori dall'abitazione, si fonda sul presupposto che il cellulare aveva agganciato, durante la breve conversazione, due celle diverse, segno che l'utilizzatore dell'apparecchio era in movimento. 5. Tale affermazione, tuttavia, è priva del primo requisito che deve connotare l'indizio processuale, cioè quello della certezza, poiché non risulta verificato, in relazione all'abitazione del T. nella quale questi aveva in corso di esecuzione la misura della detenzione domiciliare, quale fosse la cella di copertura dell'area non potendo, a questo fine, ritenersi esaustive le dichiarazioni rese dal verbalizzante sulla distanza del tutto genericamente indicata tra l'abitazione del T., in località Argenza, e le località via De Pelaghi e Banditella alle quali il cellulare si è agganciato nel corso della breve conversazione durata 21 secondi delle ore 15 23 54, verifica sollecitata dal difensore del T. ma rimasta priva di seguito. In assenza di questo accertamento, i contatti con le celle telefoniche si rivelano intrinsecamente inidonei a dimostrare l'allontanamento dal domicilio, anche tenuto conto dei fattori che possono influire nel meccanismo di aggancio tra cella e terminale, facendo sì che, in un dato punto geografico ed in un dato momento, la cella che effettivamente sta servendo il cellulare possa essere differente da quella rappresentata nella mappa di copertura peratro nel caso non conosciuta e avuto riguardo alla valutazione, di tipo probabilistico, che connota l'indagine fondata sull'analisi delle celle alla stregua dei fenomeni e fattori che condizionano l'instradamento delle conversazioni rispetto alle celle miglior serventi nell'area di utilizzazione dell'apparecchio. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.