Sui limiti all’applicazione delle misure in caso di assenza, residenza o dimora all’estero del proposto

Il concetto di residenza o dimora all’estero del proposto, previsto dall’art. 18, comma 4, d.lgs. n. 159/2001 – che limita i beni confiscabili – stante l’affiancamento dei concetti di residenza e dimora sta a significare il riferimento al luogo di stabile abitazione del soggetto proposto, sia esso conforme alle risultanze formali residenza oppure no dimora . Ne deriva che lo spostamento all’estero del proposto deve avere il carattere se non delle definitività quanto meno della stabilità.

In base al suddetto principio di diritto la Sezione VI della Cassazione Penale ha rigettato il ricorso proposto da cittadino cinese che era rimasto per 11 mesi all’estero. Il substrato normativo. Per comprendere la rilevanza della pronuncia in oggetto occorre rammentare che l’art. 18, comma 4, d.lgs. n. 159/2001 prevede che Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato o proseguito anche in caso di assenza, residenza o dimora all'estero della persona alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione, su proposta dei soggetti di cui all'articolo 17 competenti per il luogo di ultima dimora dell'interessato, relativamente ai beni che si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego . È evidente dunque che in tali ipotesi solo tali beni sono suscettibili di confisca, restando esclusi dunque i beni di cui disponga, direttamente o indirettamente, il proposto, quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta dal medesimo. Beni che normalmente sono assoggettabili a confisca ai sensi della medesima normativa. Nel caso dunque di assenza, residenza o dimora all’estero diviene importante distinguere la tipologia di beni oggetto di confisca e del prodromico provvedimento di sequestro. Il caso di specie. Nel caso oggetto della pronuncia in commento due cittadini cinesi avevano proposto ricorso per Cassazione avverso il provvedimento con cui la Corte di Appello aveva confermato il sequestro e la confisca disposta dal tribunale, per violazione del menzionato art. 18, comma 4, essendo i medesimi rimasti in territorio estero – nel dettaglio in Cina – per poco meno di un anno. Secondo il ricorrente la Corte di Appello non aveva tenuto conto che in costanza del procedimento il proposto aveva trasferito la propria dimora all’estero e ciò necessariamente limitava il novero dei beni aggredibili ai soli beni frutto di attività illecita ovvero che ne costituissero il reimpiego. Sosteneva il ricorrente che i concetti di residenza e di dimora, contenuti nell’art. 18 comma 4, fossero riconducibili alla nozione civilistica di dette fattispecie e dunque il trasferimento per 11 mesi all’estero costituisse senza dubbio un avvenuto trasferimento della dimora all’estero, con conseguente operatività della limitazione di cui all’articolo 18 comma 4. Gli Ermellini evidenziano, in prima battuta, come il provvedimento ablativo del Tribunale sia stato adottato in data antecedente al documentato allontanamento all’estero di uno dei due ricorrenti. Tale elemento sarebbe, secondo la Corte, sufficiente a rigettare la proposta impugnazione. Tuttavia la rilevanza giuridica della questione proposta induce la Cassazione ad affrontare comunque la tematica proposta dai ricorrenti. Entrando dunque nel merito della problematica, sotto un primo profilo, osservano gli Ermellini che proprio in tema di misure di prevenzione, seppur in relazione alla diversa questione della competenza territoriale, la Cassazione e le stesse Sezioni Unite hanno chiarito che il concetto di dimora” viene utilizzato nella legge, in tema di misure di prevenzione, in termini assolutamente diversi rispetto alla corrispondente nozione civilistica. Ciò posto, osserva la Corte se il concetto di dimora di cui all’art. 18, comma 4, fosse quello di mera abitazione del proposto, sarebbe davvero troppo facile far scattare la limitazione di beni suscettibili di confisca prevista dall’art. 18 medesimo, escludendo i beni di valore sproporzionato rispetto ai redditi o alle attività svolte dal proposto. Osserva la Corte come l’esclusione normativa di detti beni dal novero di quelli passibili di confisca derivi, in caso di residenza o dimora all’estero, derivi dalla evidente difficoltà di stabilire un reddito o una attività economica per colui che abbia una stabile abitazione all’estero. La Cassazione ritiene dunque pienamente condivisibile l’orientamento del Tribunale che non aveva dunque ritenuto sufficiente il comprovato spostamento all’estero del proposto per soli” 11 mesi, in conseguenza, peraltro, osservano gli Ermellini, ad un complicato intervento chirurgico. Un nuovo concetto di dimora”. Il concetto di dimora contenuto nell’art. 18, comma 4, è dunque completamente diverso dalla correlata nozione civilistica e fa riferimento, osserva la Cassazione, ad una sorta di residenza di fatto, come comprovato dal fatto che proprio detto termine è affiancato a quello di residenza, che fa riferimento alla residenza di diritto. Per dimora” all’estero, ai sensi dell’art. 18, comma 4, deve dunque intendersi almeno una stabile abitazione” all’estero del proposto. Da una pronuncia condivisibile un campanello d’allarme Non vi è ombra di dubbio che la pronuncia in commento sia in linea con la ratio della normativa e come tale possa essere condivisibile. Resta il dato allarmante di un legislatore che, in tematiche così importanti e che tanto gravemente possono incidere sulla libertà patrimoniale delle persone, utilizza un linguaggio impreciso ed atecnico, che lascia pericoloso spazio alle interpretazioni della Cassazione, non sempre assolutamente garantiste.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 novembre – 2 dicembre 2016, numero 51640 Presidente Rotundo – Relatore Tronci Ritenuto in fatto 1. Con provvedimento in data 16.11.2015, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma del decreto del Tribunale del capoluogo toscano - con cui era stato definito il procedimento avviato a seguito della richiesta di misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di H.S. e della di lui moglie, C.V. - revocava il sequestro e la confisca disposti, limitatamente alle quote societarie detenute dal proposto nella società World Wide Travel Group s.r.l. e all’autovettura Mercedes S320 CDI 4 Matic tg. omissis già intestata alla World Wide Travel Group s.r.l. punti 1 e 2 del dispositivo del decreto impugnato nell’un caso, in ragione dell’anteriorità del conferimento per la costituzione della società rispetto all’inizio dell’attività illecita cui si ricollega la pericolosità sociale del proposto nell’altro, per via dell’avvenuta restituzione della vettura in questione, oggetto di contratto di leasing, alla società locatrice che l’aveva poi ceduta a soggetto terzo, ritenuto ragionevolmente di buona fede , quindi non risultando più nella disponibilità dello H. all’atto dell’adozione, da parte del Tribunale, del decreto impugnato. Per il resto, il giudice distrettuale rigettava l’impugnazione proposta dallo H. e dal coniuge, così confermando il decreto medesimo nella parte concernente il sequestro e la contestuale confisca dei due immobili ivi indicati, entrambi ubicati in omissis , ed entrambi oggetto di intestazione di favore alla summenzionata C. , il cui acquisto era ritenuto del tutto incompatibile con la capacità reddituale lecita della predetta C. e dello H 2. Avverso detto provvedimento hanno interposto tempestivo ricorso per cassazione tanto lo H. quanto la C. , il primo personalmente e la seconda a mezzo atto a firma del proprio difensore. 2.1 In particolare, lo H. denuncia, con un primo motivo, violazione di legge con riferimento all’art. 18 co. 4 d.lgs. 159/2011, reiterando la tesi già precedentemente prospettata quella, cioè, dell’applicazione della menzionata norma al caso di specie, alla stregua dei propugnati concetti di dimora ed assenza, ritenuti di derivazione squisitamente civilistica, con conseguente limitazione dei beni aggredibili ai soli che - così come recita la disposizione in questione - si ha motivo di ritenere che siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego . Categoria cui si assume siano estranei i due immobili oggetto del contestato provvedimento ablativo, non potendo certo reputarsi appagante la motivazione svolta dal Tribunale ed avallata dalla Corte territoriale - nel senso del non poter escludere la provenienza dei beni medesimi dalle attività delittuose attribuite al proposto - tanto più alla luce delle considerazioni provenienti dallo stesso p.m. richiedente la misura, a proposito della impossibilità di recuperare, perché ormai definitivamente esportato in Cina , il frutto dell’attività illecita dello H., imputato, nel procedimento penale pendente fra gli altri a suo carico e le cui risultanze sono a base della misura in esame, di violazione degli artt. 416 bis cod. penumero sub specie di concorso esterno , 648 bis-61 nnumero 2 e 7 cod. penumero - 7 L. 203/91, 132 d.lgs. 385/93, in relazione all’attività della società World Wide Travel Group, costituita nel 2007 dallo stesso H. e da altri cittadini cinesi società che, secondo la tesi d’accusa, avrebbe operato per alcuni anni come subagenzia collegata alla rete dell’intermediario finanziario Money2Money s.r.l., con sede in [] e gestita da alcuni componenti della famiglia B. e della famiglia cinese CA., per la quale avrebbe raccolto somme di denaro cospicue, quantificate in oltre 188 milioni di Euro, talune di origine mafiosa v. il decreto del Tribunale ma soprattutto provento delle consistenti evasioni fiscali poste in essere da un gran numero di imprenditori cinesi operanti in Italia, che erano quindi trasferite nella Repubblica Popolare Cinese, utilizzando in modo sistematico meccanismi di riciclaggio consistenti nel parcellizzare le rimesse per rimanere nei limiti dei trasferimenti consentiti dalla legge . e nell’occultare la reale identità dei mittenti, facendo risultare nomi fittizi v. pag. 2 del provvedimento impugnato . Secondariamente, il prevenuto lamenta ulteriore violazione di legge, questa volta con riguardo all’art. 7 co. 5 d.lgs. 159/2011, poiché la Corte fiorentina, nel rigettare le istanze difensive in ordine all’applicazione dell’art. 18, comma 4, D. Lgs. 159/11, avrebbe comunque dovuto riconoscere l’impedimento a comparire in udienza , pur non formalizzato in ragione della assoluta convinzione di trovarsi nelle condizioni previste e regolate dall’art. 18, comma 4, D. Lgs 159/11 . La terza ed ultima censura attiene al dedotto vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del presupposto soggettivo della pericolosità sociale c.d. generica di cui all’art. 4 lett. c in relazione all’art. 1 lett. a e b del codice antimafia l’ipotesi della pericolosità c.d. qualificata essendo superata, stante la dimostrata assenza di contestazioni ex art. 416 bis cod. penumero , alla stregua del tenore del decreto di fissazione dell’udienza preliminare del 27.07.2015 , in proposito contestandosi quanto opinato dalla Guardia di Finanza circa l’entità dei guadagni conseguiti dalla World Wide Travel Group s.r.l., per non dire della congetturale deduzione in ordine all’utilizzo dei presunti guadagni per l’acquisto dei beni sottoposti a confisca e del concreto comportamento processuale del proposto, sintomatico di un soggetto ben diverso da quello che il legislatore intende come socialmente pericoloso . 2.2 Tre sono anche i motivi d’impugnazione formalizzati nell’interesse della C. . Il primo di essi ripercorre i tratti essenziali delle argomentazioni già sviluppate dallo H. in tema di violazione del più volte citato art. 18, co. 4, d.lgs. 159/2011, onde ad esse può senz’altro farsi riferimento, senza inutili ripetizioni. Il secondo profilo di doglianza investe la disposta confisca dei beni della prevenuta ai sensi dell’art. 24 del succitato decreto, pur in difetto della prescritta domanda, posto che il pubblico ministero aveva chiesto l’adozione del diverso strumento della confisca e, cautelativamente, del sequestro per equivalente, di cui all’art. 25 del codice antimafia , non risultando condivisibile l’affermazione in proposito del giudice distrettuale, circa l’esistenza di un potere d’ufficio in capo al giudice del merito. La violazione dell’art. 192 cpv. del codice di rito costituisce l’oggetto della censura finale svolta nell’interesse della C. , non ricorrendo i prescritti requisiti della gravità e della precisione, quanto alla ipotizzata sproporzione, rispetto ai redditi della stessa e del di lei coniuge, delle somme utilizzate per il pagamento del mutuo impiegato per l’acquisto degli immobili di cui trattasi. 3. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità di ambedue i ricorsi per essere del tutto condivisibili le congrue argomentazioni sviluppate dalla Corte toscana in ordine ai motivi afferenti alle dedotte violazioni di legge per non essere consentiti i motivi restanti, involgenti il merito del provvedimento impugnato, ad onta della ricorribilità per cassazione del provvedimento di cui trattasi solo per violazione di legge. Considerato in diritto 1. Entrambi i ricorsi proposti vanno rigettati, alla stregua delle ragioni di seguito esposte. 2. Non ricorre la dedotta violazione dell’art. 18 co. 4 d.lgs. 159/2011, che - come detto - costituisce motivo comune alle due impugnazioni. Giova premettere che l’anzidetto articolo del c.d. codice antimafia cristallizza, nel suo primo comma, il principio dell’applicazione disgiunta delle misure di prevenzione personale e patrimoniale, così ribadendo, nel solco della riforma del 2008, il definitivo superamento del criterio dell’accessorietà delle misure che qui interessano rispetto a quelle personali. Nei commi successivi esso disciplina, poi, alcune ipotesi particolari di applicazione disgiunta delle misure di prevenzione patrimoniali, per quanto qui interessa statuendo segnatamente al comma quarto che la relativa azione può essere avviata o proseguita anche in caso di assenza, residenza o dimora all’estero del soggetto interessato, in siffatta ipotesi delimitando tuttavia l’ambito dei beni aggredibili, dal cui novero sono esclusi i casi - coincidenti con quelli di cui al presente procedimento - di sproporzione rispetto al reddito ed alle disponibilità del proposto. Dunque, è di tutta evidenza che la limitazione delle tipologie di beni suscettibili di ablazione - fine ultimo del ragionamento difensivo - in tanto può essere utilmente invocata, in quanto, all’atto dell’avvio dell’azione di prevenzione, ovvero in itinere, il soggetto nei cui confronti si chiede di adottare la misura sia, appunto, assente ovvero residente o dimorante al di fuori del confini nazionali il che non è nel caso di specie, posto che il provvedimento impugnato - come già il decreto del Tribunale - è assai chiaro nel significare che l’allontanamento dello H. dall’Italia è stato documentato a far tempo dal 05.03.2014, coincidente con il volo prenotato dal proposto sulla tratta Firenze Pechino, laddove la richiesta della misura risulta essere stata antecedente, puntualizzandosi nel decreto di primo grado come essa sia stata formalizzata in data 11.02.2014 mentre, quanto all’ipotesi concorrente della prosecuzione, per via del sopraggiunto trasferimento all’estero della dimora del proposto, trattasi di circostanza superata dal rientro in Italia prima dell’ultimazione della procedura, rientro che il decreto del Tribunale, sulla scorta della medesima documentazione di cui sopra, riferisce doversi ritenere avvenuto il 10.02.2015, come dal relativo biglietto aereo, in conformità a quanto programmato dallo H. all’atto della partenza. Discende da tali argomentazioni il superamento della questione sollevata, circa la corretta accezione, in subiecta materia , delle nozioni di assenza e dimora, pur affrontata dalla Corte territoriale e sulla quale si soffermano i due ricorsi, in modo particolarmente ampio quello dello H., relativamente alla quale, per la sua valenza squisitamente giuridica, appare comunque opportuno spendere alcune considerazioni. 2.1 È in effetti consolidata l’esegesi giurisprudenziale che intende il concetto di dimora , in ambito di misure di prevenzione, in termini tutt’affatto diversi dalla corrispondente nozione civilistica, ossia come luogo in cui si è manifestata la pericolosità del proposto cfr. Cass. Sez. 5, sent. numero 19067 del 31.03.2010, Rv. 247504, la cui interpretazione è stata definitivamente ribadita da Sez. Unumero , sent. numero 33451 del 29.05.2014, Repaci ed altri, Rv. 260245, entrambe pronunciate in relazione alla L. 1423/1956 conforme, con riferimento al vigente d. Igs. 159/2011, Cass. Sez. 1, sent. numero 45389 del 07.07.2015, Rv. 265255 . Nondimeno, è doveroso dare atto - così come osservato dai ricorrenti - che tale interpretazione, cui si sono richiamati i giudici di merito, si è affermata ai fini della risoluzione di questioni di competenza territoriale, laddove ben diverso è l’ambito in cui qui la nozione rileva soprattutto, la constatazione che la norma, dal punto di vista letterale, sancisca la possibilità di avvio o di prosecuzione del procedimento - con la già rilevata delimitazione delle categorie di beni suscettibili di ablazione - anche in caso di assenza, residenza o dimora all’estero del proposto, vale logicamente a significare come non venga qui in considerazione il luogo di manifestazione della pericolosità, bensì solo la presenza del soggetto sul territorio nazionale, naturalmente esclusa ove lo stesso non sia più ivi reperibile, nonché qualora abbia spostato all’estero la propria residenza, anche solo in via di fatto donde il riferimento alla dimora , intesa come situazione abitativa effettiva, al di là delle risultanze formali . Se così è, occorre però da subito puntualizzare che il tentativo della difesa, di veicolare in materia una nozione di dimora in tutto e per tutto conforme a quella elaborata in ambito civilistico - ossia come luogo in cui una persona abita transitoriamente , sic et simpliciter - non convince affatto. È noto come il codice civile, all’art. 43, fornisce la definizione unicamente dei concetti di domicilio e residenza, quest’ultima delineata come luogo in cui la persona ha la dimora abituale e conseguentemente interpretata dalla giurisprudenza come determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per l’elemento oggettivo della permanenza e per l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali così Cass. civ., Sez. 1, sent. numero 25276 dell’01.12.2011, Rv. 620499 , onde le risultanze anagrafiche rivestono valore meramente presuntivo, ben potendo essere superate dalla prova contraria che sia stata fornita cfr. Cass. civ., Sez. 6, sent. 28.04.2014 numero 9373, Rv. 630434 . Ciò posto, se davvero la dimora di cui all’art. 18 co. 4 d.lgs. 159/2011 valesse a designare il luogo di abitazione concreta del proposto, senza alcuna altra specificazione, sarebbe fin troppo semplice invocare la norma in questione allo scopo di pervenire ad un significativo restringimento dell’area dei beni suscettibili di sequestro e confisca, laddove l’esclusione della categoria delle res di valore sproporzionato, rispetto al reddito o all’attività svolta dal proposto, ha la sua ragion d’essere nella circostanza che l’operatività di quest’ultimo al di fuori del territorio nazionale non rende possibile un affidabile accertamento in tal senso. Logico corollario di quanto precede è che l’affiancamento, nel testo della norma in esame, dei concetti di residenza e dimora sta a significare il riferimento al luogo di stabile abitazione del soggetto proposto, sia esso conforme alle risultanze formali residenza oppure no dimora . Ne deriva che lo spostamento all’estero del proposto deve avere il carattere se non della definitività, quanto meno della stabilità, onde non possono che essere qui richiamate le non contestate considerazioni spese dal Tribunale, a proposito della connotazione sicuramente transeunte, ancorché per un apprezzabile periodo di tempo di undici mesi circa, della permanenza del predetto H. in Cina, poiché ricollegata ad una specifica e contingente causale vale a dire, alla decisione del soggetto di effettuare nel suo Paese di origine un ciclo di cure ed, eventualmente, il trapianto del rene, continuando a permanere sempre in Italia, ove il prevenuto risiede da 20 anni, il centro dei suoi interessi e della sua attività, nonché la sua usuale ed effettiva abitazione, come comprovato dal viaggio di ritorno - si ripete - già programmato alla partenza per il 10.02.2015, essendo peraltro sempre rimasta in Italia la di lui moglie. Rimane così superata, una volta di più, la questione concernente la delimitazione della tipologia di beni aggredibili, per il resto non risultando contestazioni di sorta in ordine sia alla riferibilità di fatto allo H. dei beni confiscati, sia alla sproporzione fra valore degli immobili in questione e la lecita capacità reddituale del proposto. Non senza rimarcare, in ogni caso, la rilevanza di quanto pure evidenziato dalla Corte e di cui si dirà di seguito, al punto 4., a proposito della provenienza illecita del denaro impiegato per onorare il mutuo contratto per l’acquisto degli immobili di cui si tratta. 3. Manifestamente infondato è il secondo motivo di doglianza del ricorso dello H. è lo stesso istante a dare atto della mancata formalizzazione della richiesta di essere sentito personalmente, per cui, non essendo il procedimento di prevenzione un giudizio a partecipazione necessaria del proposto, del tutto irrilevante è la circostanza del suo impedimento a comparire, stante il chiaro tenore letterale del pur invocato art. 7 co. 5 d.lgs. 159/2011, in conformità all’insegnamento di questa Corte cfr., esattamente in termini, Sez. 1, sent. numero 46808 del 06.11.2012, Rv. 253884 . Ciò a prescindere dalla genericità del rilievo, per via della totale assenza d’indicazioni in ordine all’udienza camerale in cui si sarebbe verificato l’impedimento dedotto. 4. Infondato è il profilo di critica di cui al punto 2 dell’impugnazione proposta nell’interesse della C. . A fronte dell’obiezione difensiva - qui reiterata - secondo cui, avendo il p.m. proponente chiesto che si facesse luogo a confisca per equivalente, ex art. 25 d.lgs. 159/2011, dovrebbe reputarsi illegittima la statuizione adottata dal Tribunale ai sensi dell’art. 24 del decreto medesimo, per carenza della relativa domanda a monte, la Corte d’appello ha evidenziato che le conclusioni del p.m., comunque espressione di una richiesta di confisca dei beni, non erano congrue rispetto alla rappresentazione dei fatti dallo stesso compiuta, atteso che la posizione dello H.S. è ben distinta da quella di coloro che conferivano la provvista di denaro in funzione della esportazione fraudolenta in Cina , avendo sempre agito come collettore e esportatore fraudolento, adeguatamente compensato, di denaro altrui e non proprio che, nella struttura del c.d. codice antimafia, non si rinviene un principio che impedisca al Tribunale addirittura di qualificare giuridicamente la richiesta inserendola in modo corretto nel ventaglio delle ipotesi di confisca che la legge prevede che nella fattispecie è comunque da ritenersi operante il principio dell’applicabilità d’ufficio della confisca di cui all’art. 24, affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella vigenza della legge numero 575/65, con riferimento alle previsioni contenute nell’art. 2 ter di quella legge, il cui testo era, in questa parte, analogo a quello del d.lgs. 159/11 . 4.1 Trattasi di argomentazioni corrette, che la doglianza formulata non vale in alcun modo ad inficiare. Invero, la sola obiezione prospettata - nel senso dell’arbitrarietà della valorizzazione della giurisprudenza formatasi con riferimento all’art. 2 ter della legge numero 575/65, stante il più complesso sistema oggi creato dal codice antimafia, che distingue nettamente le norme relative al sequestro e quelle relative alla confisca, tanto quelle dirette che quelle per equivalente - non coglie affatto nel segno e va quindi disattesa. Al di là della collocazione in seno al medesimo articolo, anche l’art. 2 ter della succitata legge distingueva con chiarezza l’ipotesi della confisca di prevenzione ordinaria da quella per equivalente, del resto frutto della interpolazione operata dal d.l. numero 92/2008 convertito in legge numero 125/2008 , mediante la sostituzione del comma decimo della disposizione di cui trattasi, rimanendo significativamente ferma la sostanziale identità della previsione contenuta nel secondo comma dello stesso art. 2 ter rispetto all’attuale art. 24 d.lgs. 159/2011 onde il principio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte - secondo cui In tema di misure di prevenzione il provvedimento di confisca dei beni a norma dell’art. 2-ter L. numero 575 del 1965 può esser emesso anche di ufficio, dovendosi estendere alla confisca il principio stabilito dal secondo comma di detto articolo con riguardo al sequestro cfr., da ultimo, Sez. 1, sent. numero 13604 del 10.03.2009, Rv. 243496 - deve ritenersi estensibile anche alla vigente normativa, per la quale pure è prevista la possibilità di disporre d’ufficio, ai sensi dell’art. 20 d.lgs. 159/11, il sequestro funzionale alla successiva confisca di cui all’art. 24 dello stesso decreto. Né è a dire che possa qui ipotizzarsi una violazione del principio del contraddittorio v., in tema di misure di prevenzione personali, Cass. Sez. 6, sent. numero 10148 del 04.10.2012 - dep. 04.03.2013, Rv. 254409 e Sez. 1, sent. numero 12305 del 26.02.2014, Rv. 262178 - non a caso neppure eccepita dalle parti poiché la questione è stata sollevata e dibattuta già in sede di giudizio d’appello, essendo appena il caso di aggiungere che il tenore della sua formulazione è indice probante che nessuna concreta lesione delle prerogative difensive si è verificata per effetto della decisione assunta dal Tribunale. 5. Per il resto, è appena il caso di ricordare che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è consentito solo per violazione di legge, in conformità all’espressa previsione dell’art. 10 d.lgs. 159/2011, cui rinvia l’art. 27 dello stesso decreto, per ciò che concerne le impugnazioni attinenti alle misure patrimoniali. Ne consegue, così come statuito dalla giurisprudenza di questa Corte con riferimento alla sovrapponibile normativa precedente, che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e , cod. proc. penumero , potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge numero 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente. In motivazione la Corte ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato . così Cass. Sez. Unumero , sent. numero 33451 del 29.05.2014, Repaci ed altri, Rv. 260246, dovendosi semplicemente sostituire il riferimento all’art. 4 co. 6 L. 1423/1956 con quello all’art. 10 co. 2 d.lgs. 159/2011 . Ciò posto, palesemente inammissibile è l’ultimo motivo di doglianza del ricorso dello H., che denuncia appunto il presunto difetto di motivazione in ordine alla dimostrazione della sussistenza della pericolosità generica in capo al medesimo, con la puntualizzazione che, ancorché nella titolazione del motivo si parli anche di mancanza dell’apparato argomentativo, in realtà il suo sviluppo rende evidente come la censura investa la capacità dimostrativa del ragionamento giustificativo seguito dal giudice territoriale. Altrettanto dicasi per ciò che concerne il residuo profilo di critica del ricorso relativo alla C. anche qui, infatti, malgrado si deduca la violazione dell’art. 192 cpv. cod. proc. penumero in ordine al requisito della sproporzione fra il valore degli immobili acquistati ed assoggettati a confisca e la capacità reddituale lecita del binomio H./C. - dunque, una violazione di legge - in realtà si censura la motivazione in proposito della Corte fiorentina, di cui si offre peraltro una rappresentazione ampiamente incompleta, senza dunque un reale confronto con la stessa, a significare comunque il vizio di genericità della doglianza in esame È inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato cfr. Cass. Sez. 2, sent. numero 11951 del 29.01.2014, Rv. 259425 . P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.