Il datore di lavoro si appropria della somma relativa agli assegni familiari di un dipendente: quale reato è integrato?

Non può ritenersi integrata la fattispecie di truffa in difetto di alcuni elementi strutturali di tale reato quali gli artifici ed i raggiri, l’induzione in errore del soggetto passivo ed il relativo danno patrimoniale, così come non può ritenersi integrata l’ipotesi di appropriazione indebita dovendosi escludere che il datore di lavoro abbia avuto il possesso delle somme in questione, mentre deve valutarsi come maggiormente fondata la qualificazione giuridica in termini di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 51334/16 depositata il 1° dicembre. Il caso. Il gip presso il Tribunale di Udine proscioglieva l’imputato dal reato ad esso ascritto ex art. 646 c.p. perché il fatto non sussiste in particolare, secondo la prospettazione accusatoria interamente disattesa dal giudicante, l’imputato, in qualità di datore di lavoro, si sarebbe indebitamente appropriato delle somma relativa agli assegni familiari di un dipendente. In ogni caso, specificava ulteriormente il gip, la soluzione del proscioglimento non era esclusivamente riferibile alla fattispecie oggetto di formale imputazione, ma avrebbe dovuto essere adottata anche nel caso di riqualificazione giuridica del fatto ex art. 316- ter c.p., in quanto gli assegni familiari indebitamente compensati non raggiungevano la soglia di rilevanza penale ex lege prevista. Avverso tale decisione ricorreva per Cassazione la Procura Generale presso la Corte d’appello di Trieste, deducendo violazione di legge con riferimento agli articoli 646, 640 e 316- ter c.p., sostanzialmente rilevando come la condotta de qua era da ricondurre nell’alveo della fattispecie delittuosa di truffa aggravata. Il contrasto giurisprudenziale. La condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di avere regolarmente corrisposto al proprio lavoratore le somme allo stesso dovute a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’INPS il conguaglio di tali somme in realtà non corrisposte, così percependo indebitamente dall’istituto de quo le corrispondenti erogazioni, è oggetto di un contrasto giurisprudenziale relativamente alla sua corretta qualificazione giuridica. Si registrano, infatti, tre differenti orientamenti della Corte di legittimità che, rispettivamente, riconducono la condotta tipica in questione nell’alveo di tre distinte fattispecie di reato in primis, appropriazione indebita ex art. 646 c.p. in secundis , truffa, ex art. 640 c.p. infine, indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316- ter c.p Le fattispecie non integrate. La Seconda Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso del Procuratore, ha escluso la possibile configurazione nel caso di specie sia del reato di appropriazione indebita che di quello di truffa, propendendo invece favorevolmente verso la fattispecie di cui all’art. 316- ter c.p In effetti, chiariscono i Supremi Giudici, non può ritenersi integrato il reato di truffa in difetto di alcuni elementi strutturali richiesti ad substantiam proprio per la sua integrazione, quali gli artifici ed i raggiri, l’induzione in errore del soggetto passivo e, soprattutto, il danno patrimoniale all’INPS. Neppure l’ipotesi di appropriazione indebita può ritenersi integrata, dovendosi escludere che il datore di lavoro abbia avuto il possesso delle somme in questione. Il discrimine tra l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. L’art. 316- ter c.p. configura un reato di pericolo e non di danno, e si distingue da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640- bis c.p. sia perché la condotta non ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o dei documenti attestanti cose non vere costituisce fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, sia per l’assenza di induzione in errore. La fattispecie di reato de quo ha, poi, natura residuale e sussidiaria rispetto a quella di cui all’articolo 640- bis c.p., assicurando una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella offerta agli stessi interessi da quest’ultima ipotesi criminosa. Vanno, pertanto, ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316- ter c.p. e non a quella di truffa le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto. In effetti, chiarisce la Corte regolatrice, l’art. 316- ter c.p. punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa caratterizzate, oltre che dal silenzio antidoveroso, da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 23 novembre – 1 dicembre 2016, n. 51334 Presidente Davigo – Relatore Agostinacchio Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/05/2016 il giudice per le indagini preliminari di Udine dichiarava - in relazione all’imputazione per il reato di cui all’art. 646 cod. pen. contestato a S.L. per essersi costui appropriato, in qualità di datore di lavoro, della complessiva somma di Euro 945,00, relativa agli assegni familiari di un dipendente - che il fatto ascritto non sussiste per difetto dell’elemento oggettivo della fattispecie appropriativa sub specie dell’altruità del denaro. Evidenziava altresì che la soluzione del proscioglimento doveva adottarsi anche nell’ipotesi di riqualificazione del fatto ex art. 316 ter poiché gli assegni familiari indebitamente compensati non raggiungevano la soglia di rilevanza penale previsti dalla norma. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Procura Generale presso la Corte di Appello di Trieste eccependo con un unico motivo la violazione di legge ex art. 606 comma 1 lett. b cod. proc. pen. con riferimento agli artt. 646, 640 e 316 ter cod. pen. nonché all’art. 129 cod. proc. pen Ha sostenuto la procura ricorrente che la condotta in questione era riconducibile alla truffa aggravata, sussistendone tutti gli elementi costitutivi il danno economico dell’INPS, l’ingiusto profitto del datore di lavoro, la condotta ingannatoria per la predisposizione di documentazione falsa e l’induzione in errore dell’ente ha concluso pertanto per l’annullamento della sentenza impugnata. Motivi della decisione 1. Il ricorso è infondato. 2. Indubbiamente si registra un contrasto all’interno della giurisprudenza della Cassazione relativa alla qualificazione giuridica della condotta del datore di lavoro che, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottenga dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. Essenzialmente tre le posizioni espresse dalle recenti sentenze, sintetizzate peraltro nella sentenza impugnata e nel ricorso della Procura, che hanno ritenuto sussistente - il reato di appropriazione indebita Cass. sez. 2 sentenze n. 41357 del 14/07/2015 - dep. 14/10/2015 - Rv. 264869 n. 19911 del 18/03/2009 - dep. 11/05/2009 - Rv. 244737 - il reato di truffa Cass. sez. 2 sentenze n. 42937 del 03/10/2012 - dep. 07/11/2012 - Rv. 253646 n. 11184 del 27/02/2007 - dep. 15/03/2007 - Rv. 236131 - il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato di cui all’art. 316 ter Cass. sez. 2 sentenze n. 15989 del 16/03/2016 Rv. 266520 n. 5486 del 05/11/2015 - dep. 10/02/2016 - Rv. 266367 n. 48663 del 17/10/2014 - dep. 24/11/2014 - Rv. 261140 . 3. Ritiene il collegio che non possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 640 cod. pen. in difetto di alcuni elementi strutturali di tale reato quali gli artifici ed i raggiri, l’induzione in errore del soggetto passivo e, soprattutto, un danno patrimoniale all’INPS. La discordanza infatti tra la situazione rappresentata all’ente previdenziale e quella reale è idonea a procurare al datore di lavoro l’ingiusto profitto del conguaglio delle prestazioni che egli assume di aver anticipato, ma non è idonea a determinare alcun danno dell’I.N.P.S., perché il lavoratore - per riscuotere le somme cui ha diritto - potrebbe rivolgersi solo al datore di lavoro per ottenere quanto gli spetta, e non all’I.N.P.S., avendo quest’ultimo - attraverso il conguaglio - adempiuto il suo obbligo. 4. Non può neanche ritenersi integrata l’ipotesi di appropriazione indebita dovendosi escludere che il datore di lavoro abbia avuto il possesso delle somme de quibus, per cui le considerazioni a riguardo del gip risultano senz’altro condivisibili. 5. Il collegio valuta come maggiormente fondata la qualificazione giuridica in termini di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, secondo l’impostazione seguita nella sentenza di questa sezione n. 15989 del 16/03/2016 Rv. 266520 P.M. in proc. Fiesta, di cui si riporta un ampio stralcio, contenente il nucleo essenziale della motivazione. 5.1 La fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter cod. pen. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità Europee . Questa Corte ha già affermato che l’art. 316 ter cod. pen., configura un reato di pericolo, e non di danno Sez. 6, n. 35220 del 09/05/2013 Rv. 256927 , e che tale reato si distingue da quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, sia perché la condotta non ha natura fraudolenta, in quanto la presentazione delle dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere costituisce fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, sia per l’assenza della induzione in errore Sez. 2, n. 46064 del 19/10/2012 Rv. 254354 . L’ambito applicativo del delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., è stato del resto approfondito sia dalle Sezioni Unite di questa Corte che dalla Corte costituzionale. In particolare, la Corte costituzionale, con l’ordinanza n. 95 del 2004, ha affermato il carattere sussidiario e residuale dell’art. 316 ter, rispetto all’art. 640 bis cod. pen., e ha precisato che, alla luce del dato normativo e della ratio legis, l’art. 316 ter, assicura una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella offerta agli stessi interessi dall’art. 640 bis, coprendo in specie gli eventuali margini di scostamento - per difetto - del paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode. Ha quindi rinviato all’ordinario compito interpretativo del giudice l’accertamento, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie dell’art. 316 ter, integri anche la figura descritta dall’art. 640 bis, dovendosi, in tal caso, fare applicazione solo di quest’ultima. Le Sezioni Unite sono intervenute con due sentenze con una prima sentenza del 2007 Sez. U., n. 16568 del 19/04/2007 Rv. 235962 , le Sezioni Unite, tracciando i confini tra la fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter, e quella di cui all’art. 640 bis c.p., hanno sottolineato - in linea con la menzionata ordinanza della Corte costituzionale - che l’introduzione nel codice penale dell’art. 316 ter, ha risposto all’intento di estendere la punibilità a condotte decettive in danno di enti pubblici o comunitari non incluse nell’ambito operativo della fattispecie di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di modo che, fermi i limiti tradizionali della fattispecie di truffa, vanno inquadrate nella fattispecie di cui all’art. 316 ter, le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore o un danno per l’ente erogatore, con la conseguente compressione dell’art. 316 ter a situazioni del tutto marginali, come quello del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale . Le Sezioni Unite, con la sentenza in esame, hanno perciò affermato il principio secondo cui vanno ricondotte alla fattispecie di cui all’art. 316 ter - e non a quella di truffa le condotte alle quali non consegua un’induzione in errore per l’ente erogatore, dovendosi tenere conto, al riguardo, sia delle modalità del procedimento di volta in volta in rilievo ai fini della specifica erogazione, sia delle modalità effettive del suo svolgimento nel singolo caso concreto . Con una più recente sentenza del 2010 Sez. un., n. 7537 del 16/12/2010 Ud. - dep. 25/02/2011 - Rv. 249104 , le Sezioni Unite sono poi tornate sul tema e, proseguendo sulla strada tracciata dalla propria precedente sentenza, hanno affermato il principio secondo il quale l’art. 316 ter cod. pen., punisce condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, caratterizzate oltre che dal silenzio antidoveroso da false dichiarazioni o dall’uso di atti o documenti falsi, ma nelle quali l’erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore perché in realtà si rappresenta correttamente solo l’esistenza della formale attestazione del richiedente. Valorizzando la collocazione dell’art. 316 ter cod. pen., tra i delitti contro la pubblica amministrazione e considerando che gli elementi descrittivi che compaiono tanto nella rubrica che nel testo della norma evidenziano chiaramente la volontà del legislatore di perseguire la percezione sine titulo delle erogazioni in via privilegiata rispetto alle modalità attraverso le quali l’indebita percezione si è realizzata, le Sezioni Unite hanno precisato il principio sopra enunciato nel senso che, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., nel concetto di conseguimento indebito di una erogazione da parte di enti pubblici rientrano tutte le attività di contribuzione ascrivibili a tali enti, non soltanto attraverso l’elargizione precipua di una somma di danaro ma pure attraverso la concessione dell’esenzione dal pagamento di una somma agli stessi dovuta, perché anche in questo secondo caso il richiedente ottiene un vantaggio e beneficio economico che viene posto a carico della comunità nella specie, le Sezioni Unite hanno ritenuto che integra il delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, tra le quali, in particolare, quelle concernenti la esenzione del ticket per prestazioni sanitarie ed ospedaliere . Le Sezioni Unite, infine, muovendo dal rilievo che la peculiare fattispecie posta dall’art. 316 bis cod. pen. Malversazione a danno dello Stato è rivolta specificamente a reprimere la distrazione dei contributi pubblici dalle finalità per le quali sono stati erogati, hanno sottolineato che l’art. 316 ter, sanziona la percezione di per sé indebita delle erogazioni, senza che vengano in rilievo particolari destinazioni funzionali , qualunque sia - dunque - la destinazione o la mancata destinazione delle erogazioni indebitamente conseguite. Orbene, alla stregua di quanto detto, deve ritenersi che il delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., prescinde sia dall’esistenza di artifici o raggiri, sia dalla induzione in errore, sia dall’esistenza di un danno patrimoniale patito dalla persona offesa, elementi tutti che caratterizzano il delitto di truffa. Ciò che è richiesto dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter cod. pen., è l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere ovvero l’omissione di informazioni dovute da cui derivi il conseguimento indebito di erogazioni da parte dello Stato o di altri enti pubblici o delle Comunità Europee, da cui derivi cioè il conseguimento di erogazioni cui non si ha diritto. Tali erogazioni, poi, possono consistere indifferentemente o nell’ottenimento di una somma di danaro oppure nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta. Così configurata la fattispecie criminosa di cui all’art. 316 ter cod. pen., nella latitudine riconosciutale dalla giurisprudenza, deve ritenersi che nella stessa deve essere inquadrata la condotta del datore di lavoro che, mediante la fittizia esposizione di somme corrisposte al lavoratore a titolo di indennità per malattia, assegni familiari e cassa integrazione guadagni, ottiene dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, in realtà non corrisposte, con quelle da lui dovute all’istituto previdenziale a titolo di contributi previdenziali e assistenziali, così percependo indebitamente dallo stesso istituto le corrispondenti erogazioni. Come si è detto, infatti, l’erogazione che costituisce elemento costitutivo del delitto di cui all’art. 316 ter cod. pen., può consistere semplicemente nell’esenzione dal pagamento di una somma altrimenti dovuta, e non deve necessariamente consistere nell’ottenimento di una somma di danaro. Il reato si consuma nel momento in cui il datore di lavoro provvede a versare all’I.N.P.S. sulla base dei dati indicati sui modelli DM10 i contributi ridotti per effetto del conguaglio cui non aveva diritto, venendo così - tramite il mancato pagamento di quanto altrimenti dovuto - a percepire indebitamente l’erogazione dell’ente pubblico. 6. Poiché nel caso di specie gli assegni famigliari indebitamente compensati pari ad Euro 945,00 non raggiungono la soglia di rilevanza penale previsti dalla norma Euro 3.999,96 , si giustifica la soluzione di proscioglimento adottata dal gip nella sentenza impugnata. P.Q.M. Rigetta il ricorso.