Prelievo DNA: non essendo atto invasivo, niente garanzie difensive

Il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all’effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l’osservanza delle garanzie difensive che, devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del dato genetico.

Questo il principio di diritto affermato dalla Terza Sezione della Cassazione in materia del processo di formazione della prova genetica, con la sentenza n. 49510/2016. Il caso. La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi in un caso in cui un uomo veniva condannato in prime e seconde cure per il furto di 8 termoconvettori a gas sottratti all’interno di 3 appartamenti di un residence. Postisi alla ricerca di elementi di prova, i Carabinieri convocavano l’imputato all’interno dei loro uffici versavano del liquore in un bicchiere di plastica che veniva offerto al sospettato. Dalle tracce biologiche lasciate sul bicchiere, attraverso la comparazione tra il profilo genotipico dell’imputato con quello estratto dalle tracce di DNA acquisite sui luoghi dei furti, si giungeva all’affermazione di responsabilità del soggetto. Nel ricorso per cassazione, l’imputato sosteneva la violazione delle disposizioni processuali degli artt. 359- bis e 224- bis c.p.p. in quanto, a norma delle quali si imporrebbe un primo contatto con il destinatario che non deve essere necessariamente aver assunto la veste di indagato , per verificare la disponibilità a sottoporsi al prelievo di materiale biologico. Mancando tale requisito, e non avendo il Pubblico ministero chiesto la relativa autorizzazione al G.I.P., la relazione tecnica del RIS di Messina sarebbe inutilizzabile. Il quadro normativo sulla prova genetica. Prendendo atto che il processo penale fa sempre più ricorso all’indagine genetica, trattandosi di un mezzo di conoscenza dotato di un elevato grado di attendibilità, la legge n. 85 del 2009, ratificando il Trattato di Prum concluso il 27 maggio 2005, ha introdotto nel codice di procedura penale norme in materia di prelievi biologici ed accertamenti tecnici coattivi, disciplinando le operazioni peritali ai fini della determinazione del profilo del DNA e degli accertamenti medici assolutamente indispensabili per provare il fatto del giudizio art. 224- bis c.p.p. e nelle indagini preliminari art. 359- bis c.p.p. . In particolare l’art. 224- bis c.p.p. prevede che, quando si procede per un delitto non colposo punito con la reclusione nel massimo a tre anni, se per l’esecuzione della perizia occorre compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quale il prelievo dei capelli, di peli o di mucosa del cavo orale ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici e non vi è il consenso della persona offesa, il giudice dispone anche ex officio il prelievo forzoso, se esso risulta indispensabile per la prova dei fatti. Garanzie per la difesa? Risponde ad altrettanta esigenza garantistica la previsione dell’art. 359- bis c.p.p. di affidare al Giudice il controllo del prelievo coattivo e che solo in casi di urgenza il P.M. dispone lo svolgimento delle operazioni, con decreto motivato, sottoposto a successiva convalida. Non solo, ma attraverso il rinvio al comma 2 dell’art. 224- bis c.p.p., è previsto l’avviso al soggetto di farsi assistere dal difensore a pena di nullità delle operazioni e di conseguente inutilizzabilità derivata delle informazioni probatorie acquisite. È invece fonte di perplessità la mancata previsione dell’obbligatoria presenza del difensore al momento del prelievo visto il mancato richiamo dell’art. 359- bis c.p.p. al comma 7 dell’art. 224- bis . Cosicché gli inquirenti hanno la possibilità di procedere alla individuazione dell’autore del fatto-reato senza che sia prevista la presenza del difensore in questi termini, Musumeci . Il prelievo del DNA non è atto invasivo. La Suprema Corte ritiene però che il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili qualificabili come rilievi tecnici e delegabili ex art. 370 c.p.p. non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all’effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l’osservanza delle garanzie difensive che, devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione in questo filone anche Sez. I, n. 18246/2015 sul caso Bossetti . Tale conclusione trae il proprio fondamento giuridico nella distinzione tra rilievo tecnico e accertamento tecnico e all’interno di quest’ultimo, tra accertamenti tecnici ripetibili e irripetibili , consistendo il primo nell’attività di raccolta di elementi attinenti al reato per il quale si procede, mentre l’accertamento tecnico si estende al loro studio e alla loro valutazione critica, secondo canoni tecnico-scientifici. A fortiori se si procede contro ignoti. In ogni caso, continua la Cassazione, il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nella scena del crimine e le successive analisi del DNA, per l’individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono sicuramente utilizzabili quando l’indagine preliminare si svolga contro ignoti e non è stato possibile osservare le garanzie difensive previste per gli accertamenti tecnici irripetibili. Ne discende che quando l’espletamento degli accertamenti tecnici sul DNA comporti la distruzione o il grave deterioramento dei reperti acquisiti attraverso i rilievi tecnici, tali accertamenti devono ritenersi irripetibili e soggiacciono, sotto il profilo delle garanzie difensive, alla disciplina dell’art. 360 c.p.p., la cui applicazione presuppone l’individuazione di un soggetto indagato, con la conseguenza che i risultati di tali attività sono utilizzabili nei confronti di soggetti che al momento del conferimento dell’incarico non erano ancora indagati per assenza di elementi indiziari a carico. Per acquisire la prova genetica basta il consenso implicito. Invero, l’atto di comparazione tra i campioni di DNA repertati e quelli provenienti dall’imputato è sicuramente atti ripetibile, trattandosi di attività analoga a quella di comparazione delle impronte papillari prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria. Tuttavia, è possibile la relativa acquisizione nel fascicolo del dibattimento con il consenso, anche tacito, delle parti, qualora il comportamento processuale delle stesse sia incompatibile con la volontà contraria all’acquisizione anche qui, è pacifico e non contrastato tale assunto nella giurisprudenza di legittimità cfr., Sez. II, n. 33076/2014 . Mancando nel caso di specie tale dissenso, avendo la mancata richiesta di estromissione dei risultati della comparazione del dato comportato una acquiescenza all’acquisizione dell’atto, la Suprema Corte ritiene utilizzabile la prova genetica e rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, Sez. V Penale, sentenza 1 luglio – 23 novembre 2016, n. 49610 Presidente Sabeone – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con atto sottoscritto dal difensore, R.O. propone ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, che ha confermato la pronunzia di primo grado emessa dal Tribunale di Cosenza, con la quale il suddetto imputato era stato condannato per il reato di furto di otto termoconvettori a gas, sottratti da tre appartamenti situati all'interno di un residence. 2. Con un unico motivo si denunzia violazione di legge processuale in relazione agli artt. 359 bis e 224 bis, comma 2, cod. proc. pen Premesso che l'accertamento della responsabilità derivava dalla comparazione tra il profilo genotipico dell'imputato con quello estratto dalle tracce di DNA acquisite sui luoghi dei furti, il difensore evidenzia che, poiché l'imputato non aveva prestato il consenso al prelievo di materiale biologico, le relative operazioni avrebbero dovuto essere svolte con l'osservanza delle disposizioni indicate dagli artt. 359 bis e 224 bis cod.proc.pen. Il prelievo era avvenuto negli uffici dei carabinieri, dove l'imputato era stato convocato. Le tracce di materiale biologico erano state lasciate su un bicchiere di plastica in cui, poco prima, i carabinieri avevano versato del liquore poi offerto all'imputato. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Il ricorrente, nel denunziare la violazione degli articoli 359 bis e 224 bis cod. proc. pen., ha sostenuto che il legislatore avrebbe previsto un primo contatto con il destinatario -che non necessariamente deve essere formalmente indagato per verificare la disponibilità a sottoporsi al prelievo solo a seguito di una opposizione della persona interessata al prelievo volontario di materiale biologico è praticabile il prelievo forzoso. Nel caso di specie all'imputato non è stato chiesto se prestasse il consenso al prelievo di materiale biologico né vi è stata una richiesta del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari per farsi autorizzare al prelievo né vi è un'ordinanza del giudice che abbia autorizzato alcunché. Da ciò, secondo il ricorrente, consegue che la relazione tecnica dei RIS di Messina sarebbe inutilizzabile. 2. Gli assunti difensivi sono destituiti di fondamento. In primo luogo va rilevato che il prelievo del DNA della persona indagata, attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili, non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici, non richiede l'osservanza delle garanzie difensive, che devono, invece, essere garantite nelle successive operazioni di comparazione del consulente tecnico Sez. 2, n. 2087 del 10/01/2012, Bardhaj e altri, Rv. 251775 Sez. 1, n. 8393 del 02/02/2005, Candela ed altro, Rv. 233448 . Peraltro, il prelievo di tracce biologiche su un oggetto rinvenuto nel luogo del commesso reato e le successive analisi dei polimorfismi del DNA, per l'individuazione del profilo genetico al fine di eventuali confronti, sono certamente utilizzabili quando l'indagine preliminare si svolga contro ignoti e non sia stato possibile osservare le garanzie di partecipazione difensiva previste per gli accertamenti tecnici irripetibili compiuti dal P.M. Sez. 2, n. 45929 del 24/11/2011, Cocuzza, Rv. 251373 Sez. 2, n. 37708 del 24/09/2008, Vastante, Rv. 242094 . D'altronde, la nozione di accertamento tecnico concerne non l'attività di raccolta o di prelievo dei dati pertinenti al reato, che si esaurisce nei semplici rilievi, bensì il loro studio e la loro valutazione critica Sez. 1, n. 14852 del 31/01/2007, Piras e altri, Rv. 237359 . 3. Correttamente, quindi, la Corte territoriale ha sostenuto che 1 alcuna garanzia poteva essere assicurata all'O. allorquando furono repertate le macchie ematiche sulla scena del crimine per il semplice fatto che in quel frangente il nome di costui era del tutto ignoto agli inquirenti 2 alcuna garanzia gli era dovuta all'atto dell'acquisizione dei reperto comparativo perché effettuata con modalità non invasive né costrittive 3 alcuna concreta lesione delle garanzie difensive può essere ravvisata se anche l'effettuazione della comparazione sia avvenuta in assenza della parte privata, attesa la sua pacifica ripetibilità e atteso che l'imputato si è ben guardato dall'invocare la ripetizione della comparazione così in sentenza . In effetti la Corte d'appello ha fatto esatta distinzione tra rilievi ed accertamenti . Infatti, in tema di indagini preliminari, mentre il rilievo consiste nell'attività di raccolta di dati pertinenti al reato, l'accertamento tecnico si estende al loro studio e valutazione critica secondo canoni tecnico scientifici Sez. 2, sentenza n. 34149 del 10.7.2009, rv 244950 . Inoltre, come si è già detto, il prelievo del DNA della persona indagata attraverso il sequestro di oggetti contenenti residui organici alla stessa attribuibili non è qualificabile quale atto invasivo o costrittivo e, essendo solo prodromico all'effettuazione di accertamenti tecnici , non richiede l'osservanza delle garanzie difensive. Solo per le successive operazioni di comparazione del consulente tecnico è necessaria l'osservanza delle garanzie difensive. Quanto poi alla comparazione fra i campioni di DNA repertati e quelli provenienti dall'imputato si tratta di atto ripetibile ovvero si tratta di attività del tutto analoga a quella della comparazione delle impronte papillari prelevate con quelle già in possesso della polizia giudiziaria, rispetto alla quale la relazione della polizia giudiziaria riguardante la comparazione tra le impronte digitali dell'imputato e quelle rilevate sul luogo del delitto è atto ripetibile, acquisibile al fascicolo del dibattimento solo con il consenso delle parti, che può essere prestato anche tacitamente qualora il comportamento processuale delle stesse sia incompatibile con la volontà contraria all'acquisizione Sez. 5, Sentenza n. 34685 in data 8.5.2008, rv 241547 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.