Ergastolo per l’esponente dei ‘Casalesi’: carcere confermato nonostante i problemi di salute

Lungo l’elenco delle patologie, sia organiche che psichiche, che affliggono l’uomo. Esse però sono tutte affrontabili all’interno della struttura penitenziaria dove è collocato l’uomo. Ciò grazie anche alla presenza di un Centro diagnostico terapeutico.

Precarie condizioni psico-fisiche per il detenuto. Ciò nonostante, egli dovrà scontare in carcere la sanzione decisa dai giudici, cioè l’ergastolo. I suoi problemi di salute sono comunque affrontabili all’interno della struttura penitenziaria in cui è collocato, grazie anche alla presenza di un Centro sanitario Cassazione, sentenza n. 49825/2016, Sezione Prima Penale, depositata il 23 novembre 2016 . Salute. Posizione netta, quella assunta dal Tribunale di sorveglianza. Nessuna possibilità di differimento della pena decisa nei confronti di un uomo ritenuto esponente di rilievo del clan dei ‘Casalesi’. Pur prendendo atto dei problemi di salute – ipertensione arteriosa, ipertrofia prostatica, modesto quadro di atrofia cerebrale, disturbo di personalità borderline, sindrome vertiginosa, spondiloartrosi –, viene sancito che l’uomo è adeguatamente curato e monitorato in carcere , tanto da essere collocato in un istituto penitenziario con annesso Centro diagnostico terapeutico . Ciò comporta che egli dovrà scontare dietro le sbarre l’ergastolo a cui è stato condannato. E per quanto concerne le patologie psichiatriche lamentate dall’uomo, purtroppo egli in occasione di una valutazione neuropsicologica disposta dall’Azienda sanitaria ha tenuto un atteggiamento oppositivo, non consentendo la raccolta di dati clinici attendibili . Restrizione. In sostanza, il Tribunale di sorveglianza non ritiene che l’uomo sia affetto da una grave infermità , tale da imporre o almeno suggerire un differimento dell’esecuzione della pena . E questa valutazione è condivisa anche dai magistrati della Cassazione. Nessun dubbio, sia chiaro, sui problemi di salute lamentati dall’uomo. Però ci si trova di fronte ad afflizioni regolarmente seguite dai sanitari . Ciò grazie anche al Centro diagnostico terapeutico che è presente nella struttura carceraria che ospita il detenuto. Di conseguenza, si può affermare, secondo i giudici, che le patologie organiche sono adeguatamente curate e monitorate , mentre il disturbo psichiatrico non pare avere prodotto effetti organici . Possibile, perciò, escludere l’ipotesi della incompatibilità della situazione di salute del condannato con la restrizione carceraria .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 giugno – 23 novembre 2016, n. 49825 Presidente Vecchio – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 09.01.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna dichiarava non luogo a provvedere sull'istanza di sospensione dell'isolamento diurno e rigettava le richieste di differimento dell'esecuzione per grave infermità avanzate da Z.N., detenuto in espiazione della pena dell'ergastolo nonché ristretto in custodia cautelare. Osservava il giudice che, con riferimento all'anno di isolamento diurno, la sanzione era stata già espiata per cui non vi era più luogo a provvedere quanto al differimento obbligatorio dell'esecuzione della pena, si rilevava che il detenuto soffriva di ipertensione arteriosa in buon compenso , ipetrftrofia prostatica, modesto quadro di atrofia cerebrale, disturbo di personalità borderline, sindrome vertiginosa, spondiloartrosi, ma che veniva curato e monitorato in carcere, tanto che egli era allocato in un istituto penitenziario con annesso Centro Diagnostico Terapeutico quanto alle restanti richieste, pur in presenza di diverse patologie, si prendeva atto di diagnosi psichiatriche, ma si rilevava che egli, in occasione di una valutazione neuropsicologica disposta dalla AUSL di Parma, aveva tenuto un atteggiamento oppositivo, non consentendo la raccolta di dati clinici attendibili inoltre si evidenziava che le più recenti relazioni sanitarie non facevano evincere effetti organici del disturbo psichiatrico infine, si riportava che la polizia giudiziaria aveva segnalato il detenuto come saldamente inserito nella consorteria camorristica denominata clan dei Casalesi , con conseguente prognosi negativa sul comportamento futuro. Avverso detta ordinanza propone ricorso l'interessato a mezzo del difensore avv. Celano si sostiene che il reclamo, in relazione alle patologie fisiche e psichiatriche, aveva chiesto di disporre una perizia, ma il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato detta richiesta, così incorrendo in due violazioni di legge la prima consistente nella omissione di valutazione circa le ripercussioni fisiche della patologia psichiatrica, la quale avrebbe provocato un decadimento fisico maggiore rispetto all'età anagrafica e la seconda consistente nel non avere valutato se, al di là delle cure apprestate, la condizione complessiva del detenuto sostanziasse un contrasto con il principio di umanità della pena, atteso che si trattava di persona non più giovane e connotata da episodi paranoidei, autolesionistici e deterioramento cerebrale. Inizialmente ritenuto inammissibile, il ricorso è stato poi assegnato alla sezione prima, anche all'esito di motivi depositati dai difensori dell'interessato, avv. C. ed avv. A., i quali hanno sottolineato che il profilo che era stato sottoposto alla Corte Suprema non era la attualità della incompatibilità con la detenzione, bensì la necessità di tutelare la dignità del valore della persona umana si sottolinea che è illogica una motivazione che, da un lato, rende atto che le relazioni sanitarie sono discordi in tema di diagnosi psichiatrica e, d'altro lato, nega un approfondimento peritale che renda evidente se si versi in una situazione di esistenza al di sotto della soglia di dignità. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. Considerato in diritto II ricorso va rigettato poiché è infondato. Per come già scritto, il ricorrente detenuto aveva avanzato istanza di differimento dell'esecuzione della pena. Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva respinto la richiesta del condannato, non apprezzando l'esistenza di una grave infermità tale da imporre o suggerire un differimento dell'esecuzione, anche in considerazione dei peculiare profilo di pericolosità sociale dei ricorrente. Il ricorso articola le sue doglianze su tre ordini di argomenti 1 asserita omissione di valutazione delle ripercussioni fisiche della patologia psichiatrica 2 asserita omissione di valutazione della complessiva situazione del ricorrente, le cui patologie renderebbero comunque la restrizione della libertà personale come contrastante con il principio di umanità della pena. Si tratta di motivi che non possono trovare accoglimento. § 1. Il primo motivo fonda la sua doglianza sulle condizioni di salute del ricorrente e sulla omessa valutazione adeguata delle stesse, in considerazione della decisione di non disporre una perizia sulla persona dello Z Ma giova ribadire che per legittimare il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica devono ricorrere due autonomi presupposti. Il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita dei condannato o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose gravità da intendersi in modo particolarmente rigoroso, tenuto conto sia dei principio di indefettibilità della pena sia dei principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta esecuzione delle pene legittimamente inflitte . II secondo requisito consiste nella possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura. In altri termini, non è sufficiente che l'infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute dei soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece che l'infermità sia di tale gravità da far apparire l'espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Questo particolare rigore nella valutazione della gravità della infermità deriva dal combinato disposto dei referenti di rango costituzionale cui la norma si richiama essi sono l'esigenza di certezza dell'esecuzione della pena e l'eguaglianza di fronte alla legge art. 3 Cost. , il divieto di trattamenti disumani art. 27 Cost. , il principio di legalità della pena art. 25 Cost. e il diritto alla salute art. 32 Cost. . Nella fattispecie, il giudice non ha affatto ignorato le patologie da cui è affetto il condannato, ma anzi le ha esaminate ed enumerate ha così posto in evidenza che il ricorrente soffre di ipertensione arteriosa, ipertrofia prostatica, modesto quadro di atrofia cerebrale, disturbo di personalità borderline, sindrome vertiginosa, spondiloartrosi, gastropatia cronica e poliartralgie. Tuttavia è stato richiamato il contenuto di relazioni sanitarie, secondo le quali la ipertensione arteriosa è in buon compenso farmacologico l'atrofia cerebrale è modesta e compatibile con l'età che le altre afflizioni risultano tutte seguite dai sanitari e che il ricorrente ha effettuato ogni accertamento necessario, anche ad opera di specialisti che egli è allocato in un Istituto di Pena nel quale è presente un centro sanitario e che sussiste una discordanza nelle diagnosi psichiatriche relative al detenuto così si è richiamato il fatto che, su suggerimento del consulente psichiatra, egli era stato sottoposto a valutazione neuropsicologica da parte dell'equipe dei Centro per i Disturbi Cognitivi della AUSL di Parma, ma che è stato proprio il ricorrente, tenendo un atteggiamento oppositivo, ad impedire l'ottenimento di ulteriori dati clinici in merito al suo stato cognitivo. La motivazione dell'ordinanza impugnata riporta gli esiti della recente relazione sanitaria dell'Ufficio Sanitario dell'istituto di pena, nella quale si dà atto che le patologie organiche risultano adeguatamente curate e monitorate. Non risponde poi al vero che il Tribunale di Sorveglianza abbia omesso di valutare le ripercussioni fisiche delle patologia psichiatrica, poiché l'ordinanza impugnata, dopo aver dato atto della consulenza tecnica di parte, ha richiamato la relazione sanitaria dell'istituto, in base alla quale non si evincevano effetti organici del disturbo psichiatrico di cui soffre il ricorrente. Il mancato effettuamento di una perizia, poi, è stato così determinato dagli esiti degli approfondimenti già disposti ed eseguiti, con motivazione - si ribadisce - logica e congrua, tanto da sottrarsi alla censura in sede di legittimità, trattandosi di un giudizio di fatto. Pertanto il giudice ha concluso, con motivazione logicamente dipanata e coerente con le risultanze che il ricorrente, durante la detenzione, aveva potuto fruire di adeguata cura, di esami diagnostici e dell'assistenza continua di una squadra sanitaria, che si avvaleva degli strumenti predisposti dalla norma di cui all'art. 11 O.P. Va allora rammentato che la gravità dell'infermità denunziata dal condannato deve essere provata ovvero, nel caso di infermità accertata, deve essere provata la incompatibilità della terapia con lo stato di detenzione né assume rilievo un carattere cronico della patologia, dato che il requisito della guaribilità dell'infermità non è richiesta dalla norma Sez. 1, 25.01.1991 n. 4363 . Del resto, per legittimare il differimento dell'esecuzione, la grave infermità fisica deve od offrire una prognosi infausta quoad vitam o necessitare di cure e trattamenti indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura Sez. 1, 24.10.1995 n. 4727 . § 2. II secondo motivo si incentra sulla connotazione di umanità che deve comunque permeare l'esecuzione della pena. È un dato incontroverso che, in alcuni casi, le afflizioni di un condannato coinvolgono non certo soltanto il fisico del medesimo, ma anche il suo stato psicologico in questi casi, dette condizioni possono configurare una detenzione carceraria come contraria al senso di umanità. Ma questa conclusione si riscontra soltanto quando sussista un aggravio di pena ulteriore oltre al mero dato della espiazione in costanza di grave infermità fisica in casi simili, detto aggravio di pena, pur se compatibile con la certezza della sanzione, realizzerebbe una violazione del divieto di trattamenti disumani verso il condannato, per la maggiore sofferenza che per lui rappresenta l'espiazione della pena. Soltanto in questi casi l'oggettività della malattia, cumulata con l'ordinaria afflittività della restrizione della libertà, può dare luogo ad un trattamento contrario al senso di umanità e ad una sostanziale elusione del diritto individuale costituzionalmente garantito alla tutela della salute da parte dell'ordinamento. Non è questa la situazione che si riscontra nella fattispecie. Il provvedimento impugnato dà pienamente conto dell'iter logico-argomentativo con cui il giudice è pervenuto alla soluzione reiettiva, evidenziando come non solo dagli atti e dalla documentazione sanitaria esaminata non si evinca un quadro di incompatibilità della situazione di salute dei condannato con la restrizione carceraria sotto il profilo delle patologie organiche, ma anche come si sia proceduto ad un approfondimento in merito alle patologie psichiatriche anche attraverso una valutazione di equipe, in ordine alla quale il detenuto non ha tenuto un comportamento collaborativo da tutto ciò non sono scaturiti esiti che possano avallare l'assunto difensivo. Le censure mosse all'ordinanza, del resto, non puntualizzano in che modo dalle riscontrate patologie fisiche siano conseguiti gli asseriti effetti organici né si sottolinea con nettezza per quali motivi le condizioni del ricorrente configurino un trattamento penitenziario contrario al senso di umanità nei termini indicati. Il ricorso va dunque rigettato. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.