Porte aperte alla testimonianza, anche nel procedimento di prevenzione

La natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione non consente immotivate limitazioni al diritto alla prova contraria ed al contraddittorio. Pieno diritto va riconosciuto anche in capo ai terzi familiari proprietari dei beni confiscati per i quali opera una presunzione relativa di intestazione fittizia dei beni ai sensi della l. n. 575/1965. Se integrati, siffatti vizi possono essere dedotti anche presso il giudice di legittimità.

Così la Cassazione, prima sez. penale, con la sentenza n. 49180/16, depositata il 18 novembre. Il fatto. All’esito di un procedimento di prevenzione ex l. n. 575/1965 – Disposizioni contro la mafia - veniva disposta la misura di sorveglianza speciale nei confronti d’individuo camorrista dedito alla sistematica protrazione di condotte di usura. Veniva altresì disposta la confisca dei beni a questi riferibili e tuttavia presumibilmente intestati in via fittizia ai familiari, ai sensi degli artt. 2- bis e ter della l. n. 575 cit., appurata la sproporzione dei redditi rinvenuti in capo al sottoposto a misura in relazione a quelli dichiarati. La Corte d’appello era confermativa del disposto del tribunale competente. Ricorrono in Cassazione i terzi proprietari dei beni immobili sequestrati, i quali deducono l’illegittima compressione – ai sensi degli immanenti principi ordinamentali ex artt. 111 Cost. e 6 CEDU – del diritto alla prova contraria ed al contraddittorio, avendo i giudici non ammesso le avanzate richieste di deduzione testimoniale, di fatto conclamando una sorta di presunzione assoluta di intestazione fittizia dei beni in capo ai familiari del sottoposto a misura. Le ragioni di una presunzione relativa. La Cassazione riconosce la fenomenologia delle intestazioni fittizie dei beni in terra di mafia ed applica il disposto del tredicesimo comma dell’art. 2- ter l. n. 575/1965. La norma positivizza l’inversione dell’onere della prova in ordine alla riferibilità al sottoposto a misura dei beni rinvenuti in capo ai familiari. La Cassazione aggiunge che siffatta presunzione – nei termini più lievi di significatività probatoria della circostanza - opera anche per le alienazioni immobiliari o per i trasferimenti di ricchezza – che hanno operato dal sottoposto ai familiari - antecedenti al biennio che precede la proposta di misura preventiva. Nonostante l’inversione probatoria, ogni diritto alla prova va riconosciuto ai terzi familiari proprietari. La natura solo documentale della prova della intestazione fittizia dei beni ai familiari non avrebbe consentito, per i giudici del merito, di ammettere contraria prova testimoniale. I giudici hanno valorizzato la specialità del procedimento di prevenzione in confronto a quello di cognizione, i cui principi non potrebbero essere in ogni parte mutuati. La Cassazione opera una smentita, sul rilievo di più dati sistematici. Ad esempio in più parti la l. n. 159/2011 – in ordine alle misure di prevenzione personali – riconosce un diritto alla prova pieno in carico al sottoposto e a terzi coinvolti. In particolare l’art. 147- bis l. n. 159 cit. impone l’applicazione delle regole codicistiche sul processo di esecuzione ex art. 666 c.p.p., nel quale nulla osta all’ammissione, con i dovuti temperamenti, di prova contraria testimoniale. S’aggiunga, più generalmente, la valenza ordinamentale del principio del contraddittorio ex art. 111 Cost. ed ex art. 6 CEDU da applicare anche al procedimento di prevenzione, appuratane la natura giurisdizionale per conforme giurisprudenza costituzionale e sovranazionale. La Cassazione accoglie il ricorso e specifica che, nonostante non possa operarsi una completa assimilazione fra procedimento di prevenzione – che riconosce la pericolosità sociale di un individuo - e processo di cognizione penale – che accerta un fatto di reato – non sono consentite operazioni ermeneutiche che neghino per il primo i principi fondamentali del diritto alla prova propri del secondo. I vizi possono essere dedotti in Cassazione. In caso di indebita compressione del diritto alla prova contraria, il ricorrente può dedurre il vizio di violazione di legge delle norme su indicate, anziché la mancata assunzione di prova decisiva ex art. 606 c.p.p. - pacificamente non invocabile per i procedimenti in camera di consiglio, come quelli di prevenzione -.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 luglio – 18 novembre 2016, n. 49180 Presidente Di Tomassi – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 25 settembre 2014 la Corte di appello di Napoli confermava il provvedimento del Tribunale di Napoli del 26 febbraio 2013 che aveva disposto la sottoposizione di M.C. alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di p.s. per la durata di anni quattro, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e la confisca di diversi beni immobili intestati alla moglie B.A. ed ai figli M.D. e G. . 1.1. A fondamento della decisione la Corte di merito rilevava l’applicabilità al caso della disciplina previgente quella di cui al d.lgs. n. 159 del 2011 per essere stata la proposta formulata in un momento antecedente l’entrata in vigore del predetto testo normativo nel merito, evidenziava che a carico del M. erano state acquisite plurime ed attendibili prove della sua dedizione sistematica e professionale alla commissione di reati contro il patrimonio ed in specie ad attività usuraria dall’inizio degli anni ‘80 sino al 1994 e della ripresa di tale impegno criminoso anche dopo il periodo di carcerazione subito dal 1994 al 2001, quanto meno dal 2006 al 2011, attività svolta dapprima individualmente, quindi nell’ambito del clan camorristico C. , essendo tra l’altro egli legato al capo dell’organizzazione da rapporto di affinità per averne questi sposato la figlia A. . Da tali premesse deduceva il giudizio di attuale pericolosità generica, per avere il ricorrente vissuto abitualmente con i proventi di attività delittuose e, respinta la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria per l’esame dei testi indicati dalla difesa su circostanze non già oggetto di un principio di prova documentale, sulla base dei dati fiscali e ricavati dagli atti negoziali di acquisizione dei cespiti, ravvisava la sproporzione per difetto tra il prezzo dei beni acquisiti dai terzi, stretti congiunti e già conviventi col proposto, ed i redditi dichiarati o comunque percepiti, del tutto insufficienti a giustificare gli incrementi patrimoniali da ritenersi ottenuti dal M. grazie ai proventi delle intraprese delittuose ed intestati fittiziamente a moglie e figli. 2. Avverso detto provvedimento hanno proposto ricorso i terzi B.A. , M.D. e G. a mezzo del loro difensore e procuratore speciale, avv.to Roberto Guida, il quale ha lamentato erronea applicazione di legge in relazione al disposto degli artt. 2-ter, commi 2, 3, 5 e 2-bis, comma 3, l. n. 575 del 1965 ed agli artt. 190 e 192 cod. proc. pen Secondo i ricorrenti, nel ragionamento valutativo compiuto dalla Corte di appello la condizione personale di congiunto del proposto comporterebbe in via automatica la presunzione d’intestazione fittizia dei beni allo stesso riconducibili, da sottoporre a confisca in base ad elementi indiziari privi dei requisiti di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e la privazione in capo ai terzi della possibilità di difesa in quanto l’ammissione della prova testimoniale richiesta sarebbe subordinata all’esistenza, sulle stesse circostanze, di prova documentale. In tal modo si sono affermati ed applicati principi di diritto estranei al sistema processuale, e non sussiste la affermata presunzione assoluta di intestazione fittizia applicata dai giudici di merito, poiché, al contrario, per confiscare beni di terzi è necessario che l’accusa offra la prova di fatti e circostanze connotati da gravità, precisione e concordanza, tali da superare il dato della coincidenza tra titolarità apparente e disponibilità effettiva dei beni stessi Sez. 2, n. 6977 del 23/02/2011 ed al terzo è riconosciuto il diritto pieno ed incondizionato di chiedere l’ammissione di prove contrarie mediante la produzione di documenti o l’assunzione di testimonianze. La conferma del provvedimento assunto dal Tribunale di Napoli in data 5 dicembre 2012 ha illegittimamente compresso l’esercizio del diritto alla prova contraria, garantito in maniera ampia ed incondizionata anche nell’ambito del procedimento di prevenzione pretendere che la testimonianza sia ammissibile solo su circostanze per le quali sia fornito un principio di prova scritta equivale a espropriare la parte terza della possibilità di difendersi provando. Né è comprensibile come possa limitarsi tale diritto nelle situazioni in cui, per il tempo trascorso o per impossibilità materiale, si versi nella condizione di non poter offrire la pretesa prova documentale pertanto, la decisione è illogica e sorretta da motivazione apparente tanto più che alcuni dei testi indicati avrebbero dovuto riferire in merito a circostanze diverse dai flussi finanziari, ossia M.R. sulle modalità attraverso le quali consentì alla cognata, B.A. , di avviare in proprio una piccola attività di rivendita al dettaglio di casalinghi unitamente alla sorella P. , sulla consistenza del patrimonio del genitore, M.D. classe , e sulle modalità della divisione della relativa eredità, mai formalmente completata V.V. , inoltre, avrebbe dovuto testimoniare sull’avvenuta concessione in locazione non regolarizzata dell’immobile di omissis di proprietà della B. , i cui proventi, secondo pratica diffusa, non erano stati dichiarati fiscalmente gli operai che ebbero a lavorare alla ristrutturazione dell’immobile di omissis avrebbero dovuto deporre sulle modalità ed i tempi di esecuzione dei lavori di ristrutturazione e sulle condizioni del bene. La Corte di appello, in realtà, pare giustificare l’esclusione dei testi sulla base di una presunzione di inattendibilità, sebbene gli elementi offerti dall’accusa siano consistiti in buona parte in dichiarazioni di soggetti ai quali era stato riconosciuto il diritto di mentire impunemente. Se, al contrario, le testimonianze fossero state assunte si sarebbe consentito di far entrare nel procedimento conoscenze che avrebbero modificato la decisione, non affidandola ad argomentazioni illogiche e contraddittorie, tanto più che la confisca è stata disposta nei riguardi di beni ed attività asseritamente caratterizzati da illiceità derivata , ossia reimpiego di denaro provento di reato, rispetto ai quali non si è avuta materialmente la possibilità di provare alcunché. Inoltre, risulta non corretto l’uso della testimonianza resa da P.G. laddove ha descritto il locale adibito ad ufficio del proposto, situato accanto all’attività commerciale del figlio D. , poiché il teste, chiamato a portare a conoscenza dell’organo inquirente circostanze completamente diverse da quelle che sono oggetto del presente procedimento di prevenzione, aveva genuinamente affermato che M.C. svolgeva le sue attività illecite in un locale con un autonomo ingresso e separato da quello del figlio, sicché le sue dichiarazioni non offrono dimostrazione del mantenimento da parte del proposto della signoria sui beni e sulle attività commerciali formalmente riconducibili ai componenti del suo nucleo familiare. Del pari, le modalità di acquisto da parte di M.D. dell’Audi A3, targata , ed i proventi al medesimo derivati dall’aver concesso in locazione alla PGF Snc di S.G. un locale deposito facente parte della villa di omissis , prima che fosse ristrutturata, sono state oggetto della testimonianza di S.G. , oltre che dimostrate dal contratto di locazione avvenuto tra quest’ultimo ed il terzo intestatario, ma la Corte di Appello ha egualmente sottoposto a confisca quei beni avendo ritenuto inverosimile la circostanza dell’esistenza del contratto di locazione solo perché non registrato, ritenendo insussistente il reddito ricavato. 3. Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, Antonio Gialanella, con requisitoria scritta ha rassegnato le proprie conclusioni, chiedendo il rigetto del ricorso. Secondo il P.G., la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del disposto dell’art. 2-ter l. n. 575 del 1965, che stabilisce una presunzione relativa di appartenenza al proposto dei beni intestati a moglie e figli conviventi, e del criterio della sproporzione tra beni acquisiti e redditi e attività svolte, specie se, come nel caso, i terzi siano sprovvisti di effettiva capacità economica, circostanza ritenuta sintomatica dell’intestazione solo formale. Anche in riferimento alla mancata ammissione delle prove testimoniali, sostiene che il provvedimento è corretto, poiché nel procedimento di prevenzione non è applicabile il disposto dell’art. 603 cod. proc. pen., quanto il principio del costante adeguamento della situazione di diritto a quella di fatto, sicché il giudice del gravame può avvalersi di elementi non esaminati in primo grado, dei quali può disporre l’acquisizione ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., comma 5, richiamato dall’art. 4 l. n. 1423 del 1956. La Corte di appello ha motivato in ordine alla superfluità ed aspecificità delle prove richieste e non soltanto perché non assistite da riscontro o da un principio di prova documentale, mentre il ricorso prospetta una ricostruzione alternativa che pretende sia ritenuta più attendibile dal giudice di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e merita accoglimento nei limiti in seguito specificati. 2. Non ha fondamento l’assunto difensivo che addebita alla Corte di appello la violazione, nella forma dell’erronea applicazione, delle norme di legge, art. 2-ter, commi 2, 3 e 5 ed art. 2-bis, comma 3, l. n. 575 del 1965, che regolano la confisca di prevenzione di beni intestati a terzi diversi dal proposto. 2.1. il provvedimento in esame non ha affermato e nemmeno applicato alcuna presunzione assoluta in danno dei ricorrenti, in quanto soggetti già legati al proposto da convivenza e da stretto vincolo familiare, di coniugio e di parentela. Riscontrata la pericolosità sociale non qualificata del M. , sottoposto a misura di prevenzione personale, in quanto ritenuto rientrare nella categoria prevista dal n. 1 dell’art. 1, primo comma, n. 1, l. n. 1423 del 1956, quale soggetto dedito ad attività delittuosa ed in quella prevista al n. 2 del primo comma del medesimo articolo quale persona che abitualmente vive, almeno in parte, dei proventi ricavati dal crimine, i giudici di appello hanno osservato come l’applicazione della misura di prevenzione reale nei confronti di quella particolare categoria di terzi che annovera gli stretti congiunti conviventi sia agevolata dalla presunzione relativa, non assoluta, di appartenenza al proposto dei beni loro intestati prevista dall’art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 tale disposizione autorizza il sequestro e la confisca dei beni di cui la persona sottoposta a procedimento di prevenzione risulta poter disporre direttamente o indirettamente, includendovi i beni del coniuge, dei figli e degli altri conviventi sulla base del presupposto per cui il soggetto pericoloso dispone l’assegnazione formale della disponibilità giuridica dei beni ottenuti illecitamente alle persone di maggiore fiducia, cui è comunque consentita la possibilità di offrire la prova idonea a vincere la presunzione ed a dimostrare l’avvenuto acquisto dei beni nella loro titolarità con mezzi autonomi e la conservazione della loro esclusiva disponibilità, onde esentarli da confisca. 2.2. Piuttosto, la Corte territoriale ha altrettanto correttamente ricordato la condivisa linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità, secondo la quale per i beni di coniuge, figli e conviventi del proposto, anche se acquisiti al di fuori del biennio antecedente la formulazione della proposta, nel qual caso opera la presunzione di cui al comma tredicesimo dell’art. 2-ter l. n. 575 del 1965, il rapporto personale che lega gli intestatari al proposto e l’assenza di mezzi propri in capo a costoro costituiscono circostanze significative dell’attribuzione soltanto apparente e formale di tali beni alle persone di maggior fiducia da parte del proposto non in grado di dimostrare la loro lecita provenienza, senza la necessità di condurre specifici accertamenti Sez. 5, n. 8922 del 26/10/2015, Poli, Rv. 266142 Sez. 1, n. 5184 del 10/11/2015, Trubchaninova, Rv. 266247 Sez. 1, n. 17743 del 07/03/2014, Rienzi, Rv. 259608 Sez. 6, n. 49878 del 06/12/2013, Mortellaro, Rv. 258140 . Sulla base del rilievo assegnato al legame personale ed alla condivisione di interessi e abitudini di vita, si è giustificato il diverso trattamento riservato a detta categoria di soggetti rispetto a tutti gli altri terzi estranei, persone fisiche o giuridiche, nei cui confronti non opera alcuna presunzione ma devono essere acquisiti precisi elementi di prova circa il carattere fittizio dell’intestazione. 3. È, invece, fondato il secondo motivo di doglianza, che pone il tema delle facoltà difensive spettanti ai terzi coinvolti dalla presunzione relativa di appartenenza al proposto dei beni loro intestati e, in termini più generali, la questione dell’ampiezza e delle modalità di esercizio delle facoltà difensive del proposto o dei terzi in tema di prova. Al riguardo la Corte di merito ha confermato la decisione del Tribunale che aveva escluso di poter ammettere le prove testimoniali articolate dalla difesa dei terzi per contrastare la presunzione di fittizia intestazione, rilevando - la superfluità della testimonianza di M.R. in ordine alle forniture effettuate dalla ditta facente capo alla B. per l’intervenuta revoca del sequestro dell’impresa e dei relativi beni aziendali e di quella del geom. T. sulla stima dell’immobile ristrutturato di San Sebastiano al Vesuvio per l’avvenuta acquisizione della relativa relazione - l’inammissibilità delle prove testimoniali che avrebbero dovuto essere acquisite da M.R. e P. , fratelli del proposto, sulle modalità di suddivisione tra gli eredi dei beni loro pervenuti per successione paterna, perché, non essendo questi stati oggetto di denuncia di successione, erano da ritenersi illeciti da B.P. sui lavori effettuati ed i relativi costi della ristrutturazione dell’immobile acquistato da M.D. da V.V. sui proventi riscossi dalla locazione della casa di vacanze della B. . A giustificazione di tale giudizio i giudici di merito hanno riscontrato che, vertendo le prove sulla disponibilità di flussi o derivazioni finanziarie, non corroborate da un principio di prova scritta costituita da documentazione contabile, le stesse erano incompatibili col procedimento di prevenzione, e comunque relative a circostanze generiche o provenienti da soggetti titolari di interessi coinvolti dalla procedura. Ha quindi aggiunto che in materia di percezione o dismissione di flussi di denaro le allegazioni di lecita provenienza per essere ammissibili devono essere serie, fondate e credibili, sicché affermazioni generiche sulla disponibilità di determinate risorse non riscontrate e non riscontrabili mediante risultanze scritte incorrono nella sanzione dell’inammissibilità. 3.1 In primo luogo osserva il Collegio che il provvedimento in esame afferma che in linea di principio non essere strutturalmente compatibile la prova testimoniale con il sistema della prevenzione ed il relativo procedimento. Non constano, tuttavia, disposizioni di legge, di valenza generalizzata, oppure disciplinanti lo specifico procedimento di prevenzione, che autorizzino siffatta conclusione, poiché il richiamo alla facoltà del giudice del procedimento di cognizione di selezionare i mezzi di prova articolati dalle parti per escluderne quelli superflui o irrilevanti, conferita dall’art. 495, comma 4, cod. proc. pen., non offre copertura normativa alla sanzione dell’inammissibilità della prova affermata soltanto in relazione alla sua natura dichiarativa e non documentale. Non correttamente si pretende, dunque, di ricavare in via interpretativa e con effetti generalizzanti dalle peculiarità del processo prevenzionale, perché solo parzialmente assimilabile a quello penale di cognizione, una disciplina limitativa alla facoltà del proposto e del terzo interessato coinvolto dal provvedimento di confisca di richiedere l’ammissione di prove contrarie a quelle acquisite per iniziativa dell’accusa e si propugna l’assunto per cui la testimonianza, in relazione alle circostanze di fatto sulle quali dovrebbe essere assunta, in sé non è idonea ad offrire elementi di conoscenza attendibili e persuasivi se non, in quanto prova debole , asseverata da un atto documentale. 3.2 In realtà, la rassegna delle disposizioni regolatrici la materia non consente di ricavarne il principio generale propugnato dai giudici di merito. L’art. 4 l. n. 1423 del 1956 al comma 2 stabiliva espressamente che nel procedimento di prevenzione dovessero essere osservate in quanto applicabili, le disposizioni degli artt. 636 e 637 del codice di procedura penale allora vigente, rinvio da intendersi riferito alle simmetriche ed attuali norme degli artt. 678 e 666 cod. proc. pen., dettate per il procedimento di esecuzione e di sorveglianza. L’art. 2-ter, comma 5, l. n. 575 del 1965 disponeva se risulta che i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati dal tribunale, con decreto motivato, ad intervenire nel procedimento e possono, anche con l’assistenza di un difensore, nel termine stabilito al tribunale, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca . La previsione non introduceva alcuna limitazione tipologica agli strumenti processuali deducibili dalla parte al fine di veicolare nel processo ogni elemento utile , pretendendo solamente sul piano contenutistico la pertinenza e la rilevanza al thema decidendum dei dati offerti. Del pari l’art. 7 d.Lgs. n. 159 del 2011 in tema di misure di prevenzione personali richiama in sostanza la previgente disposizione dell’art. 4 l. n. 1423 del 1956 e quindi al comma 7 contempla la possibilità che sia necessario interrogare il proposto e, se questi non si presenti in via spontanea all’udienza, che ne venga disposto l’accompagnamento a mezzo di forza pubblica al comma 8 aggiunge una previsione testuale significativa, per la quale l’esame a distanza dei testimoni può essere disposto dal presidente del collegio nei casi e nei modi indicati all’articolo 147-bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., e al successivo comma 9 prevede che per quanto non espressamente previsto dal presente decreto, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nell’articolo 666 del codice di procedura penale . A sua volta per le misure patrimoniali l’art. 23 del d.lgs. n. 159 del 2011 al comma 1 sottopone il procedimento applicativo al rispetto, in quanto compatibili, delle disposizioni dettate dal titolo I, capo II, sezione I ed al terzo comma, riproducendo la formulazione dell’art. 2-ter, comma 5, l. n. 575 del 1965, stabilisce 3. All’udienza gli interessati possono svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, nonché chiedere l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca . Deve dunque concludersi che, allo stato della disposizioni vigenti, la regolamentazione del rapporto processuale di prevenzione, pur con i necessari adattamenti, condizionati dall’assunzione di una decisione giudiziale non preceduta da un accertamento irrevocabile di responsabilità penale, viene mutuata da quella del processo di esecuzione rileva in particolare che l’art. 666, comma 5, cod. proc. pen. conferisca al giudice la facoltà di chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno , mentre se occorre assumere prove, procede in udienza nel rispetto del contraddittorio . Come avvertito dalla più attenta dottrina, favorevole a riconoscere alla parte privata la più ampia facoltà di prova e controprova anche nel procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, la norma offre indicazioni del favore privilegiato accordato dal legislatore per il processo esecutivo alla prova documentale, ma al contempo ammette che si ponga la necessità di allargare la platea dei mezzi in grado di fornire dati conoscitivi rilevanti per la decisione senza al contempo limitarne l’ammissibilità in dipendenza della loro natura non precostituita. Pertanto, gli elementi deducibili dall’interpretazione testuale dei parametri normativi essenziali contraddicono l’assunto espresso nel provvedimento in esame. Anche sul piano sistematico le emergenze sono conformi, poiché indicazioni ancor più persuasive e di concludente evidenza si traggono dall’art. 185 disp. att. cod. proc. pen., che in funzione integrativa della previsione dell’art. 666 citata, sotto la rubrica assunzione delle prove nel procedimento di esecuzione , prevede il giudice, nell’assumere le prove a norma dell’art. 666 comma 5 del codice, provvede senza particolari formalità anche per quanto concerne la citazione e l’esame dei testimoni e l’espletamento della perizia , consentendo di superare qualsiasi obiezione sull’inammissibilità di attività istruttoria perché incompatibile con la struttura dell’udienza camerale a sua volta l’art. 327-bis, comma 2,cod. proc. pen., riconosce la legittima praticabilità di indagini difensive per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito comma 1 , in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione e per promuovere il giudizio di revisione , tanto implicando la facoltà di sottoporre al vaglio critico del giudice i documenti così formati o di chiedere l’esame delle fonti dichiarative individuate e previamente compulsate. 3.3. Venendo ora alla considerazione della natura del processo di prevenzione, finalizzato a contenere la pericolosità individuale mediante imposizione di limitazioni della libertà personale ed a colpire l’accumulo di forme di ricchezza illegalmente acquisita mediante la sottrazione ai loro titolari, tenendo conto dell’interpretazione ormai consolidata della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale, non è discutibile che si tratti di procedimento giurisdizionale, sottoposto al rispetto di principi fondamentali del processo penale e qualificato come tale dall’intervento decisionale di autorità giudicante terza rispetto alle parti, dalla contestazione di una forma specifica di pericolosità e dalla formulazione di precisa proposta nel rispetto dei principi di legalità e tassatività della stessa e delle misure da applicarsi, dal contraddittorio in tutte le fasi procedimentali, dall’inviolabilità del diritto di difesa, dal doppio grado di giurisdizione di merito e dalla possibilità di esperire mezzi d’impugnazione per ottenere la revisione della decisione denunciata come ingiusta o illegittima. Pur senza voler negare la diversità di struttura e di finalità rispetto al processo penale che connota il procedimento di prevenzione, in quanto, il primo volto ad accertare un determinato fatto-reato per il quale è stata esercitata l’azione penale dal magistrato requirente, il secondo riguardante la pericolosità del soggetto, rivelata da condotte non necessariamente quanto costituenti ex se reati, a seguito dell’assunzione dell’iniziativa di formulare la domanda da parte di soggetti estranei all’ordine giudiziario, perché appartenenti all’apparato amministrativo dello Stato C. cost., sentenza n. 275 del 1996 , ciò nonostante, come avvertito dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 13426 del 25/03/2010, Cagnazzo, Rv. 246271 in riferimento alla riconosciuta estensione al processo di prevenzione del divieto di utilizzo probatorio delle intercettazioni illegalmente disposte nel corso delle indagini preliminari, l’autonomia dei due procedimenti quanto a decisioni e forme processuali sta a denotare la reciproca insensibilità delle acquisizioni dell’una sede rispetto a quelle dell’altra e, dunque, l’assenza di connotati di pregiudizialità dei relativi moduli di giudizio dei due procedimenti . In altri termini, l’oggetto dell’accertamento differisce ed impone una diversa grammatica probatoria che deve sostenere i rispettivi giudizi . Tanto però, ad avviso del Collegio, non legittima la conclusione della sottoposizione del giudizio di prevenzione ad una disciplina - individuata in via interpretativa e in assenza di precisi indici normativi, anzi con previsioni opposte - che in materia di contraddittorio e del diritto alla prova imponga al proposto o al terzo interessato al procedimento limitazioni alle facoltà deduttive legate soltanto alla natura del mezzo istruttorio, con esiti incoerenti con i principi del giusto processo. In particolare, sul tema del necessario rispetto del contraddittorio, esigenza di matrice costituzionale perché elevata a principio generale di ogni processo dall’art. 111 Cost., sin dal 1993 la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che Il processo di progressiva giurisdizionalizzazione del sistema delle misure di prevenzione, favorito dalla costante evoluzione giurisprudenziale, impone, in linea di principio, l’osservanza delle garanzie del diritto di difesa, in tutte le possibili estrinsecazioni sez. 5, n. 3311 del 25/10/1993, Ascione, Rv. 196298 . Il diritto di difesa con l’ampiezza così riconosciuta non può non estendersi anche al settore delle prove ed alla facoltà di difendersi provando , indicata dall’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali quale garanzia perché il processo sia equo, che esplicita come tale facoltà si possa esercitare mediante il diritto di interrogare e fare interrogare i testi che riferiscono circostanze a carico, di ottenere la citazione e l’esame dei testi a discarico e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova che incrementi la base conoscitiva a disposizione del decidente in riferimento ai fatti oggetto della decisione. Se così è, non pare accettabile che il diritto alla prova sia comprimibile per effetto di divieti applicativi legati alla natura del mezzo di reperimento dei dati di conoscenza che non siano ragionevolmente imposti da disposizione di legge a tutela di altri valori di eguale rilevanza costituzionale. Con ciò - si ripete - non s’intende negare che, per le già richiamate sue peculiari finalità e per la sua disciplina positiva, non possa operarsi la perfetta assimilazione del processo di prevenzione a quello penale di cognizione sul piano della regolamentazione delle indagini preliminari e della formazione della prova in dibattimento, ma si vuole soltanto affermare che la deroga ai principi del giusto processo non può ricavarsi per effetto di opzioni interpretative non supportate da chiara previsione normativa e che si pongono in contrasto, sia con l’art. 6 CEDU che, in quanto norma interposta in relazione all’art. 117 Cost., rappresenta anche il paradigma di riferimento nella ricostruzione del significato e nella finalità delle disposizioni degli ordinamenti nazionali, sia con i pronunciamenti della giurisprudenza della Corte EDU e di quella costituzionale in materia. Al riguardo, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la riferibilità delle disposizioni di cui l’art. 6 della Convenzione sul giusto processo anche al procedimento di prevenzione italiano e ha osservato che l’ammissibilità delle prove dipende essenzialmente dalle norme del diritto nazionale e spetta in linea di principio ai giudici interni, in particolare ai tribunali, di interpretare tale legislazione. Il ruolo della Corte è limitato alla verifica della compatibilità con la Convenzione degli effetti di tale interpretazione ed escluso l’iniquità del procedimento di prevenzione, come delineato dalla legislazione nazionale anche mediante il ricorso a presunzioni - istituto ritenuto compatibile con le norme convenzionali Corte EDU, sez. 2, sentenza del 17/06/2014, Cacucci e Sabatelli contro Italia ed espressamente previsto nella Direttiva del Parlamento Europeo n. 2014/42/UE, approvata il 25/2/2014 -, per la sufficiente garanzia di effettività del contraddittorio e del diritto di difesa che assicura, a ragione dell’essere il proposto rappresentato da un avvocato di fiducia del riconoscimento della facoltà di partecipare alla procedura e presentare memorie ed i mezzi di prova necessari per tutelare i suoi interessi in contraddittorio con la parte pubblica dinanzi a tre organi di giudizio successivi e dell’obbligo per i giudici italiani della prevenzione di basare la loro decisione, non su meri sospetti, ma sull’accertamento e sulla valutazione oggettiva dei fatti rappresentati dalle parti tra le più recenti Corte EDU Sez. 2 sentenza del 26/7/2011, Pozzi e altri contro Italia Sez. 2, sentenza del 17/5/2011, Capitani e Campanella contro Italia Sez. 2, sentenza del 26/7/2011, Paleari contro Italia . Su posizioni analoghe anche le Sezioni Unite di questa Corte, che nella recente pronuncia n. 4880 del 26/06/2014, Spinelli, Rv. 262606, hanno ribadito l’inviolabilità del contraddittorio nel giudizio di prevenzione, in quanto in tema di confisca di prevenzione, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 2-ter, comma terzo, primo periodo, della legge n. 575 del 1965, dalla legge 24 luglio 2008 n. 125, spetta alla parte pubblica l’onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto, nonché della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre è riconosciuta al proposto la facoltà di offrire prova contraria . E proprio in riferimento ad un sistema processuale che ammette come legittimo anche il ricorso alla prova presuntiva dalla valenza relativa per la possibilità di offrire prova contraria, accordata al soggetto destinatario della confisca mediante la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ragionevolmente e plausibilmente, siano atti ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale e siano, ovviamente, riscontrabili Sez.U. Spinelli, citata , la legalità dello statuto probatorio non può che postulare l’estensione delle facoltà deduttive della parte privata anche all’indicazione di qualsiasi controprova pertinente ed alla richiesta della sua ammissione, non costituendo sufficiente garanzia di parità tra le parti e di corretta ed efficace esplicazione del contraddittorio, la mera prospettazione di fatti favorevoli quando non si accompagni anche all’individuazione del mezzo per poter far entrare quei fatti nel patrimonio conoscitivo del decidente ed alla possibilità di ottenerne l’assunzione. 4. Resta verificare a questo punto entro quali limiti la mancata ammissione da parte del giudice di merito di controprova richiesta dai terzi nel processo prevenzionale possa essere dedotta nel giudizio di legittimità. 4.1 È noto l’orientamento meno recente, ma riaffermato in verità in modo meramente ripetitivo, senza un’illustrazione puntuale delle ragioni giustificatrici ed un raffronto con le garanzie del giusto processo e senza considerare la necessità di adottare un’interpretazione adeguatrice delle norme processuali, secondo il quale, nei procedimenti che si svolgono in camera di consiglio - come è per quelli di prevenzione, di sorveglianza e di esecuzione - non sono applicabili le norme sulla mancata assunzione di una prova decisiva art. 606, comma 1, lett. d, cod. proc. pen., e sul diritto dell’imputato all’ammissione della prova a discarico sui fatti oggetto di prova a carico, poiché, a norma dell’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., il diritto all’ammissione alla prova a discarico è previsto soltanto per il giudizio dibattimentale Sez. 5, n. 45139 del 23/04/2013, Casamonica, Rv. 257542 Sez. 1, n. 8641 del 10/02/2009, Giuliana, Rv. 242887 Sez. 1, n. 38947 del 01/10/2008, Greco, Rv. 241309 Sez. 3, n. 1779 del 12/08/1993, Cova, Rv. 195977 . 4.2 Tale affermazione di principio, pur ricevendo innegabile alimento dalla previsione testuale dell’art. 606 e dal raccordo sistematico tra la tassatività dei vizi rappresentabili nel giudizio di cassazione ed il regime di deducibilità della controprova, stabilito dall’art. 495 per il solo processo di cognizione, non può essere contraddetta in linea generale. Ciò nonostante, in riferimento alla specifica condizione processuale del terzo partecipe del processo di prevenzione - gravato ai sensi dell’art. 2-ter l. n. 575 del 1965 dell’onere di controdedurre in ordine alla proposta applicativa, esito di complesse indagini patrimoniali e non, per non dovere soggiacere agli effetti pregiudizievoli in termini di privazione definitiva della proprietà dei beni del regime presuntivo, superabile soltanto mediante prova contraria, di fittizietà del trasferimento e delle intestazioni di beni, effettuate a titolo gratuito, fiduciario o comunque anche oneroso in suo favore nei termini temporali stabiliti -, è direttamente la legge ordinaria, mediante le disposizioni dei citati artt. 2-ter l. n. 575 del 1965 e 23 d.lgs. n. 159 del 2011 - a prevedere ed esigere non soltanto un generico potere di sollecitazione al giudice per approfondimenti istruttori su temi fattuali rilevanti, ma l’assunzione di iniziative volte alla formulazione di richieste probatorie, aventi ad oggetto strumenti conoscitivi utili ai fini della decisione sulla confisca. Il diniego di tali mezzi, se non supportato da alcuna motivazione, oppure da motivazione incongrua ed irragionevole perché elusiva delle norme positive generali quali l’art. 666 cod. proc. pen. e di quelle specificamente riguardanti la posizione del terzo, sostanzia dunque il vizio di violazione di legge deducibile quale motivo di ricorso per cassazione. Tale soluzione appare frutto dell’analisi testuale delle disposizioni e dell’interpretazione della disciplina sul ricorso per cassazione che la conforma alle previsioni convenzionali dell’art. 6 CEDU, laddove stabilisce a favore dei soggetti terzi un nucleo di garanzie minime, inclusivo della facoltà di dedurre mezzi di prova Corte EDU, Sez. 2, sentenza del 5/1/2010, Bongiorno ed altri contro Italia , e rende effettivo ed accessibile il diritto alla prova anche attraverso la possibilità di revisione da parte del giudice di legittimità della decisione che lo abbia compresso. Del resto, anche nella recentissima pronuncia Sez. U, n. 27620 del 28/04/2016, Dasgupta, Rv. 267486, si è ripetuto che I principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come definiti nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione - convenzionalmente orientata - ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell’applicazione delle norme interne . Va quindi formulato il seguente principio di diritto Il terzo interessato chiamato a partecipare al procedimento per l’applicazione di misure di prevenzione, compresa la confisca con effetti ablatori definitivi del diritto di proprietà e destinatario della presunzione relativa di fittizia intestazione di beni in realtà riferibili al proposto, può dedurre col ricorso per cassazione il vizio di violazione di legge in caso il provvedimento impugnato non offra alcuna motivazione al rigetto delle istanze istruttorie, o la motivazione sia in contrasto con la disciplina positiva e con i principi del contraddittorio e del diritto alla prova ed alla controprova, come stabiliti dagli artt. 2-ter l. n. 575 del 1965 e 23 d.lgs. n. 159 del 2011 e dall’art. 6 Convenzione EDU, che costituisce il parametro d’interpretazione delle norme dei singoli ordinamenti statuali . 5. In definitiva il panorama degli interventi esegetici come sopra riassunti ed il riferimento nelle disposizioni positive che presiedono al processo di prevenzione alla possibilità da parte del giudice di ammettere testimonianze da assumere all’udienza camerale o a distanza, da intendersi come riferite a prove sia disposte d’ufficio sia richieste dalle parti, compreso il proposto e gli eventuali terzi, avvalora la conclusione dell’insussistenza di alcuna preclusione all’ammissibilità della prova per testi e dell’assenza di ostacoli normativi o logici alla sua introduzione in riferimento ad uno specifico oggetto, ossia ai fatti di cui s’intende offrire dimostrazione, quand’anche riguardanti flussi finanziari. Non s’ignora che nella prassi giudiziaria l’istruttoria ha natura prevalentemente cartolare con assegnazione di principale rilievo alle informative di polizia, ai documenti acquisiti in base ad indagini patrimoniali, alle sentenze emesse in altri procedimenti ed ai verbali di prove in questi formati. Ciò non esclude, tuttavia, che possa farsi ricorso, anche, a prove dichiarative. Deve, perciò, pervenirsi alla formulazione del seguente principio di diritto nel procedimento di prevenzione, né la sua natura speciale rispetto al processo penale, né esigenze di speditezza nella trattazione e di più agevole consultazione degli atti, consentono di ritenere vietate le prove dichiarative, specie se queste costituiscano l’unico strumento a disposizione del proposto o dei terzi per superare un giudizio presuntivo e quindi per avvalersi del diritto di difesa rispetto alla contestazione di pericolosità o di illecita accumulazione di ricchezza e neppure è consentito subordinarne l’ingresso nel processo di prevenzione secondo una sorta di gerarchia delle prove che orienta le scelte decisionali all’ammissione degli atti già costituiti e solo in via residuale anche delle testimonianze o di altre prove diverse a condizione che i primi vi offrano almeno un parziale riscontro . 6. Nel caso specifico, il decreto in esame rivela un errore giuridico di fondo, sia per avere ritenuto che la natura del procedimento fosse incompatibile in assoluto ed in via generale con la prova testimoniale, sia per avere espresso una presunzione di inattendibilità della stessa in dipendenza della qualità personale dei soggetti che avrebbero dovuto fornirla senza si fosse trattato dei soggetti direttamente coinvolti dalla procedura e portatori di interessi da questa intaccati, in tal modo anticipando in modo improprio e metodologicamente scorretto il giudizio conducibile dopo l’avvenuta escussione della fonte in relazione alla possibilità concreta di apprezzarne il contenuto. Con tali rilievi non s’intende affermare che il diritto di difesa ed al contraddittorio implichi per la parte l’ammissione incondizionata della prova per testi in ogni caso e ad ogni condizione la prova dichiarativa, come ogni tipo di prova, è sempre soggetta al vaglio preliminare di pertinenza e congruità al thema decidendum e di specificità delle relative circostanze, anche ai fini che in questo caso interessano, della decisione sulla confisca, come stabilito dall’art. 2-ter l. n. 575 del 1965 e dall’art. 23, comma 3, d. Lgs. n. 159 del 2011. Per le ragioni esposte, e in tali limiti, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio alla Corte di appello di Napoli, che procederà, in diversa composizione alla luce dei principi generali dell’art. 34 cod. proc. pen., alla rinnovata valutazione dell’appello alla luce dei principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.