Sommarie informazioni rese dall’indagato alla polizia giudiziaria: quali sono i limiti di utilizzabilità a fini probatori?

Nel giudizio abbreviato le dichiarazioni spontanee confessorie rese dall’indagato alla polizia giudiziaria nell’immediatezza del fatto sono probatoriamente utilizzabili, essendo l’inutilizzabilità in tal senso limitata al solo dibattimento, e non essendo il requisito della spontaneità inficiato o pregiudicato dalla circostanza che le stesse siano state rilasciate su sollecitazione della p.g

Così si espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 48929/16 depositata il 18 novembre. Il caso. La Corte d’appello di Trento confermava la sentenza di prime cure sulla cui scorta il Giudice per l’udienza preliminare, in esito al giudizio svoltosi con le forme del rito abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di H.E. per i reati ad essa ascritti di appropriazione di cosa smarrita ed utilizzo abusivo di carte di credito. Avverso la decisione de qua ricorreva per Cassazione l’imputata deducendo violazione di legge e vizio motivazionale con riferimento a plurimi aspetti della sentenza impugnata in primis , relativamente alla ritenuta utilizzabilità del verbale di spontanee dichiarazioni confessorie rilasciate da H.E. alla polizia giudiziaria in secundis , con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato di appropriazione di cosa smarrita in ultimo, con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di utilizzo indebito di carte di credito. Infine, la ricorrente lamentava, altresì, la mancata declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto. L’utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee confessorie rese alla polizia giudiziaria. La Corte Regolatrice ha ritenuto condivisibile la valutazione effettuata dai Giudici d’appello relativamente alla utilizzabilità del verbale contenente le dichiarazioni spontanee confessorie rilasciate dall’imputata alla polizia giudiziaria. In particolare, precisa la Suprema Corte, anzitutto le stesse sono state correttamente qualificate giuridicamente ai sensi dell’art. 350 c.p.p. sul punto, in effetti, per giurisprudenza consolidata, nel giudizio abbreviato sono probatoriamente utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla p.g., la cui inutilizzabilità è invece limitata al solo dibattimento. Secondariamente, chiariscono ulteriormente i Supremi Giudici, il fondamentale – in quanto richiesto ad substantiam – requisito della spontaneità delle dichiarazioni non è stato in alcun modo inficiato o pregiudicato dalla circostanza che le stesse siano state rilasciate solo dopo che H.E. era stata rintracciata dalla polizia, e ciò in applicazione del pacifico principio di diritto secondo cui le dichiarazioni spontanee rese dall’indagato nell’immediatezza del fatto, pur se sollecitate dalla polizia giudiziaria, non sono assimilabili all’interrogatorio in senso tecnico, poiché quest’ultimo presuppone la contestazione specifica del fatto oggetto dell’imputazione ed è costituito da domande e risposte raccolte in un verbale sottoscritto dall’interessato, donde non devono essere precedute dall’invito alla nomina del difensore e dall’avvertimento circa la facoltà di non rispondere. Tutto quanto sopra, fermo restando che, in ogni caso, l’omessa trascrizione o produzione del verbale de quo è già, di per se stessa, sic et simpliciter , causa di inammissibilità dello specifico motivo di ricorso, in quanto impedisce comunque alla Suprema Corte adita di analizzarne il contenuto al fine di verificare la sussistenza di eventuali elementi sulla base dei quali dubitare della spontaneità delle dichiarazioni in argomento. Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità. Per ciò che concerne i motivi di ricorso precipuamente afferenti le due fattispecie di reato oggetto di imputazione, la Corte di legittimità, dopo avere acclarato l’intervenuta depenalizzazione del reato di appropriazione di cose smarrite di cui all’art. 647 c.p. ad opera del d.lgs. n. 7/2016, ha poi statuito l’infondatezza della ulteriore doglianza specificamente riferita alla residuale ipotesi criminosa, ovvero quella di utilizzo abusivo di carte di credito. Più precisamente, il rigetto di tale motivo di gravame è determinato dalla circostanza che tramite lo stesso la ricorrente si è limitata a meramente prospettare una ricostruzione fattuale alternativa del compendio probatorio in atti, quindi violando il consolidato principio giurisprudenziale che statuisce l’insindacabilità in sede di giudizio di legittimità delle valutazioni di merito effettuate dai precedenti giudici. La particolare tenuità del fatto è incompatibile con la recidiva. I Supremi Giudici hanno statuito l’inammissibilità della richiesta afferente l’applicazione dell’istituto della particolare tenuità ex art. 131- bis c.p., essendo l’imputata già gravata da numerose condanne, così come acclarato nelle sentenze di merito che hanno affermato anche la sussistenza delle recidiva, oggettivamente incompatibile con il beneficio richiesto dalla ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 21 ottobre – 18 novembre 2016, n. 48929 Presidente Diotallevi – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 1/4/2015, la Corte di appello di Trento confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Trento del 10/10/2013, che aveva condannato H. I. alla pena di giustizia per il reato di appropriazione di cosa smarrita ed utilizzo abusivo di carte di credito. 1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l'atto d'appello, in punto di riconosciuta responsabilità dell'imputata nonché con riguardo al trattamento sanzionatorio inflitto. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso l'imputata, tramite il difensore di fiducia, sollevando i seguenti motivi 2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 62, 63 e 191 cod.proc.pen. evidenzia, al riguardo, che non può condividersi il giudizio di utilizzabilità del verbale di spontanee dichiarazioni confessorie, rilasciate alla Polizia Giudiziaria, in quanto difetterebbe il requisito della spontaneità, essendo state rese dopo essere stata convocata dalla Polizia e dopo aver appreso delle accuse che si muovevano contro di lei. 2.2 violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso nel reato di appropriazione di cosa smarrita, non essendo la ricorrente ma la figlia E. l'autrice del ritrovamento. 2.3 violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del concorso nel reato di utilizzo indebito di carte di credito, dal momento che il prelievo al quale la ricorrente ha assistito è stato materialmente operato dal figlio C. K., senza nessun apporto, neppure morale, all'azione. 2.4. declaratoria di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, avendo l'imputata risarcito il danno e trattandosi di persona in gravi condizioni di indigenza. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso appaiono manifestamente infondati. Occorre tuttavia rilevare d'ufficio l'intervenuta depenalizzazione dell'ipotesi di cui all'art. 647 cod.pen. . Infatti il d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7, pubblicato sulla G.U. n. 17 dei 22 gennaio 2016, all'art. 1, ha abrogato, tra gli altri, il reato di cui all'art. 647 cod.pen Tale evenienza, che comporta l'annullamento della pena irrogata per il reato in parola, fa venir meno l'interesse della ricorrente in ordine al motivo di ricorso n. 2, limitatamente alla parte attinente al reato di appropriazione di cosa smarrita. 2. Passando alla disamina dei residui profili, si rileva, quanto al primo motivo, attinente alla nullità assoluta e conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dall'imputata alla Polizia, la manifesta infondatezza dello stesso. Giova premettere che, non essendo stato trascritto o allegato al ricorso il verbale contenente tali dichiarazioni, il motivo appare già inammissibile per difetto di specificità delle ragioni su cui si fonda. Peraltro, deve condividersi la valutazione operata dalla Corte territoriale, come anche dal giudice di primo grado nel giudizio abbreviato, che considerano fondamentali tali dichiarazioni. II collegio di appello, qualificandole come dichiarazioni spontanee assunte dalla P.G. ai sensi dell'art. 350 u.c. cod.proc.pen., afferma essere le stesse pacificamente utilizzabili ai fini della decisione con rito abbreviato, secondo la consolidata giurisprudenza, che ne limita l'inutilizzabilità al solo dibattimento. La soluzione adottata dal giudice di appello risulta conforme alla giurisprudenza assolutamente maggioritaria della Corte di Cassazione, condivisa dal collegio, secondo la quale nel giudizio abbreviato sono probatoriamente utilizzabili le dichiarazioni spontanee rese dalla persona sottoposta alle indagini alla polizia giudiziaria si veda, tra le tante, sez. 5, sentenza n. 6346 del 16/01/2014, con numerosi precedenti conformi n. 37374 del 2003 rv. 227037, n. 29138 dei 2004 rv. 229457, n. 44637 del 2004 rv. 230754, n. 40050 del 2008 rv. 241554, n. 18064 del 2010 rv. 246865, n. 8675 dei 2011 rv. 252279 . 2.1. Né riveste rilevanza alcuna il fatto che le dichiarazioni siano state rilasciate alla P.G. dopo che l'imputata era stata rintracciata dalla Polizia, posto che tale elemento non inficia né pregiudica la spontaneità delle dichiarazioni, anzi la rende maggiormente verosimili in considerazione della comprensibile difficoltà emotiva vissuta dal soggetto che, messo improvvisamente di fronte alle proprie responsabilità, non ha avuto il tempo di elaborare strategie difensive ed ha avuto un momento di ravvedimento. Come accennato, l'omessa produzione del verbale impedisce poi di analizzarne nel dettaglio il contenuto, al fine di verificare eventuali concreti elementi in forza dei quali dubitare che si sia trattato di spontanee dichiarazioni la tesi difensiva, che vorrebbe vedere in tale atto un interrogatorio di persona sottoposta alle indagini illegittimamente eseguito stante l'assenza delle garanzie difensive di cui all'art. 64 cod.proc.pen. , non trova dunque riscontro alcuno. Del resto, la circostanza che l'imputata abbia reso le dichiarazioni confessorie in questione allorchè ha ricevuto notizia di essere indagata in relazione ai fatti per cui si procedeva non impediva certo agli operanti di raccogliere le spontanee dichiarazioni ai sensi dell'art. 350, comma 7, cod.proc.pen., norma che disciplina proprio tale evenienza in relazione ai soggetti nei cui confronti vengono svolte le indagini. Sul punto deve ribadirsi il costante orientamento di questa Corte, condiviso dal Collegio, in base al quale le dichiarazioni spontanee rese dall'indagato nell'immediatezza del fatto, pur se sollecitate dagli ufficiali di polizia giudiziaria, non sono assimilabili all'interrogatorio in senso tecnico, in quanto quest'ultimo presuppone la contestazione specifica del fatto oggetto dell'imputazione ed è costituito da domande e risposte raccolte in un verbale sottoscritto dall'interessato, sicchè non devono essere precedute dall'invito alla nomina del difensore e dall'avvertimento circa la facoltà di non rispondere sez. 4 n. 15018 del 25/2/2011, Rv. 250228 . E, in tale senso, si è ulteriormente chiarito che alle dichiarazioni spontanee rese dal soggetto indagato non si applicano le disposizioni dell'art. 63 comma 1 e dell'art. 64 cod. proc. pen., giacchè l'una concerne l'esame di persona non imputata o non sottoposta ad indagini e l'altra attiene all'interrogatorio, atto diverso dalle spontanee dichiarazioni sez. 6 n. 34151 dei 27/6/2008, Rv. 241466 . Già in passato, con affermazione a tutt'oggi pienamente condivisibile, si era affermato che nel vigente codice di procedura penale il termine interrogatorio ha un ben preciso significato tecnico e non può quindi essere facilmente interscambiabile con altri termini, anch'essi dotati di un loro specifico e diverso significato, quali sono quelli che definiscono le sommarie informazioni rese dall'indagato art. 350 comma 1, le dichiarazioni spontanee art. 350 comma 7, o l'esame art. 208 sez. 1 n. 2958 del 20/5/1998, Rv. 210727 . 3. Quanto al secondo motivo, limitatamente al profilo attinente il residuo reato, devesi rilevare che la Corte territoriale ha logicamente e adeguatamente illustrato le ragioni per le quali la ricorrente, giunta, tramite la figlia E., nel possesso del portafogli e della carta di credito in esso contenuta, ha preso la decisione di trattenere i beni, al fine evidente di farne uso. La decisione di impossessarsi degli stessi è dunque agevolmente attribuibile alla ricorrente, come ritenuto dai giudici del merito. Il motivo attinente l'indebito utilizzo della carta riproduce pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte d'appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né specificatamente censura. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata. 4. Passando al terzo motivo di ricorso attinente l'utilizzo abusivo della carta di credito , osserva il Collegio che si verte in tema di valutazioni di merito che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l'argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. Sez. U., n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794 Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Jakani, Rv. 216260 Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Petrella, Rv. 226074 . E così, r nel caso di specie,torte territoriale ha dato, adeguatamente, atto del vaglio al quale sono state sottoposte le videoriprese che riproducono le fasi dell'utilizzo della carta dai credito per acquistare le stufe, operazione che si è evidentemente svolta sotto la direzione dell'imputata, che è poi risultata essere anche l'utilizzatrice finale del bene acquistato illecitamente. 5. Inammissibile, infine, appare la richiesta di applicazione dell'istituto di cui all'art. 131 bis cod.pen., essendo l'imputata gravata da numerose condanne, come affermato dai giudici del merito che hanno anche affermato la sussistenza della recidiva contestata, oggettivamente incompatibile con il beneficio richiesto. 6. Per effetto dell'intervenuta depenalizzazione dei reato di appropriazione di cosa smarrita occorre scomputare la relativa pena, operazione che, attese le modalità con la quale è stata determinata quella complessiva da parte del giudice di primo grado, non può essere svolta da questa Corte . Si impone dunque l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 647 cod.pen., con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Trento affinchè provveda alla rideterminazione della pena per il residuo reato. 7. L'esito del ricorso in relazione ai motivi esaminati comporta la definitività dell'accertamento della penale responsabilità in relazione al reato non abrogato. P.q.m. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'art. 647 cod.pen. in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato e dispone la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Trento -sez. dist. di Bolzano per la determinazione della pena in ordine al reato di cui all'art. 55 comma 9 del D. L.vo n. 231\2007. Dichiara irrevocabile l'affermazione di penale responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 55 comma 9 del D.Lvo n. 231\2007 . Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.