Sospensione dei termini di custodia cautelare e impugnazione: ora o mai più

In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, essendo consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, l’omessa presentazione dell’appello da parte dell’imputato nel termine perentorio ex art. 310, comma 2, c.p.p. comporta l’inammissibilità della successiva – e, dunque, tardiva – richiesta di declaratoria di estinzione della misura restrittiva per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 48056/16 depositata il 14 novembre. Il caso. A seguito della pronuncia dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, l’imputato ricorreva al Tribunale del riesame per ottenerne la declaratoria di inefficacia per decorrenza dei termini di fase ex art. 303, comma 2, c.p.p Il giudice del riesame respingeva l’appello ritenendo corretto il presupposto per cui il termine di un anno e sei mesi decorrente dalla condanna in primo grado non poteva ritenersi decorso al momento della sentenza emessa nel giudizio di appello in considerazione delle cause di sospensione che avevano determinato una proroga del termine stesso con dilazione della scadenza. L’impugnazione dell’ordinanza di sospensione dei termini. L’imputato ricorre dinanzi alla Corte di Cassazione dolendosi, in primo luogo, della violazione di legge conseguentemente al fatto che la causa di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare era stata erroneamente applicata in quanto il verbale di differimento dell’udienza non evidenziava il motivo prevalente di rinvio, rendendo inutilizzabile a fini processuali la relativa sospensione dei termini. La Corte di legittimità ritiene infondata la censura sotto un differente profilo il ricorrente non aveva infatti proposto appello avverso il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare, ma si limita ad ipotizzare il sopravvenuto decorso dei termini di fase nel giudizio di cassazione, in violazione dunque dei perentori termini previsti per l’impugnazione dell’originaria ordinanza sospensiva di cui all’art. 304, commi 1 e 4, c.p.p Come già affermato dalla giurisprudenza infatti, in tema di termini di durata massima della custodia cautelare, essendo consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata impugnazione nel termine perentorio ex art. 310, comma 2, c.p.p. comporta, in virtù della c.d. preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione. Sospensione dei termini per impegni del difensore. Tale argomentazione consente di ritenere infondata anche la seconda censura con la quale il ricorrente affermava che il provvedimento di differimento adottato sulla base dell’istanza presentata dal difensore per ragioni personali, non poteva comunque superare il termine massimo di 60 giorni. Il termine temporale invocato dal ricorrente e affermato dalla sentenza n. 4909/14 delle Sezioni Unite, non è infatti pertinente al caso di specie in quanto relativo alla sospensione del termine di prescrizione del reato e non alla sospensione dei termini di fase di custodia cautelare, oggetto del presente ricorso. Il principio che regge la soluzione del caso di specie è dunque quello per cui in materia di termini di durata della custodia cautelare, nel computo del limite temporale massimo del doppio dei termini di fase si tiene conto anche dei periodi di sospensione collegati al tempo di sospensione o rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore o comunque per loro richiesta, sempre che non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova o per concessione dei termini per la difesa, e, ancora, al tempo di sospensione per la pendenza dei termini per il deposito della sentenza Cass. n. 21247/07 . In conclusione, il ricorso viene rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 ottobre – 14 novembre 2016, n. 48056 Presidente Di Tomassi – Relatore Centonze Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 16/05/2016, a norma dell’art. 310 cod. proc. pen., il Tribunale del riesame di Napoli respingeva l’appello avverso il rigetto dell’istanza finalizzata a ottenere la declaratoria di inefficacia dell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di D.F.M. per decorrenza dei termini di fase, ai sensi dell’art. 303, comma 2, cod. proc. pen. Il provvedimento impugnato veniva adottato sul presupposto che il termine di un anno e sei mesi, così come previsto dall’art. 303, comma 2, lett. c , n. 3, cod. proc. pen., decorrente dalla pronuncia della sentenza di condanna emessa nei confronti del D.F. nel giudizio di primo grado, non era decorso all’atto della pronuncia della sentenza di condanna emessa nel giudizio di appello, in conseguenza delle cause di sospensione che avevano determinato una proroga complessiva di 517 giorni, dilazionando la data di scadenza dal 26/11/2014 al 28/05/2016. Queste ragioni processuali imponevano la conferma dell’ordinanza impugnata. 2. Avverso questa ordinanza il D.F. , a mezzo del suo difensore, ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 303, comma 2 e 304, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., conseguente al fatto che non potevano ritenersi legittima la causa di sospensione dei termini di fase della custodia cautelare applicata al D.F. , relativa al rinvio disposto dalla Corte di assise di appello di Napoli all’udienza del 18/12/2015. Secondo la difesa del ricorrente, nel verbale di udienza del 18/12/2015, si specificava che il differimento veniva disposto per la diversa composizione del collegio giudicante e per lo svolgimento della discussione finale del procedimento. L’indicazione contestuale di due ragioni di differimento non consentiva di enucleare il motivo prevalente del rinvio, con la conseguenza di rendere inutilizzabile, ai presenti fini processuali, la relativa sospensione dei termini di custodia cautelare. Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 303, comma 2 e 304, comma 1, lett. a , cod. proc. pen., conseguente al fatto che il rinvio disposto dalla Corte di assise di appello di Napoli all’udienza dell’08/07/2015, inerendo a un’istanza presentata dal difensore del D.F. , non poteva comunque superare il termine di sessanta giorni, conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, espressamente richiamata sul punto cfr. Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, Torchio, Rv. 262914 . Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata. 2.1. A sostegno di tali argomentazioni, in data 25/10/2013, la difesa del ricorrente depositava una memoria difensiva con la quale si ribadivano le censure giurisdizionali proposte con l’originario ricorso e si allegavano i verbali delle udienze nelle quali erano stati disposti i differimenti oggetto di censura, alla quale faceva seguito un’ulteriore nota di produzione documentale del 27/10/2016. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Deve, innanzitutto, rilevarsi che con il primo motivo di ricorso la difesa del D.F. censurava le ragioni processuali per le quali veniva disposto il differimento dell’udienza del 18/12/2015, che veniva concesso dalla Corte di assise di appello di Napoli in via preliminare rispetto alla celebrazione dell’udienza, dopo la costituzione delle parti. Nel caso di specie, dalla lettura del verbale di udienza del 18/12/2015, si evince che il differimento di tale udienza discendeva sia dalla diversa composizione del collegio giudicante davanti al quale il processo era in corso di celebrazione sia dalle esigenze processuali connesse alla discussione finale del processo medesimo. A entrambe tali ragioni processuali, dunque, la Corte di assise di appello di Napoli faceva espressamente riferimento e con le medesime ragioni la difesa del D.F. si confrontava analiticamente nel primo motivo del suo ricorso, mediante pertinenti richiami testuali dell’ordinanza di differimento censurata, allo scopo di evidenziare l’illegittimità del provvedimento di rinvio dell’udienza in questione. Pur in presenza delle incontrovertibili carenze argomentative denunziate, le censure giurisdizionali proposte nell’interesse del D.F. non colgono nel segno sotto un differente profilo processuale, che deve ritenersi assorbente rispetto alle censure sollevate, conseguente al fatto che, nel caso in esame, il ricorrente non risulta avere interposto appello avverso il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare che era stato adottato dalla Corte di assise di appello di Napoli all’udienza del 18/12/2015, limitandosi a postulare tardivamente l’estinzione della misura coercitiva per il sopravvenuto decorso del termine di fase, relativi al giudizio di appello pendente davanti alla Corte di assise di appello di Napoli, omettendo conseguentemente di rispettare i termini perentori previsti per l’impugnazione dell’originaria ordinanza sospensiva dall’art. 304, commi 1 e 4, cod. proc. pen. Ne discende che l’impugnazione in esame risulta proposta senza l’osservanza dei termini processuali richiamati, in riferimento ai quali occorre richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo la quale In tema di termini di durata massima della custodia cautelare, poiché a norma dell’art. 304, commi 1 e 4, cod. proc. pen. è consentita l’immediata appellabilità dell’ordinanza che ne dispone la sospensione, la mancata presentazione, da parte dell’interessato, dell’atto di appello nel termine perentorio stabilito dall’art. 310, comma 2, stesso codice, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, a nulla rilevando l’illegittimità dell’originaria sospensione cfr. Sez. 1, n. 43566 del 05/12/2002, Filippo, Rv. 223071 . In altri termini, prevedendo la disposizione dell’art. 304, commi 1 e 4, cod. proc. pen. l’appellabilità immediata dell’ordinanza di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, l’omessa presentazione dell’appello da parte del soggetto interessato dell’atto di appello, nel rispetto dei prescritti termini perentori, per effetto del fenomeno della preclusione endoprocessuale, comporta l’inammissibilità della successiva e conseguentemente tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura restrittiva e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase cfr. Sez. 1, 28/05/2008, Patanè, Rv. 240207 . Ne deriva che, analogamente a quanto si verifica nel caso in esame, è precluso alle parti processuali discutere sulla questione concernente la legittimità o meno dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 304 cod. proc. pen. - laddove non impugnata ritualmente - e della richiesta di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase, basata su una pretesa illegittimità della prima ordinanza divenuta irretrattabile. Sul punto, si ritiene indispensabile richiamare il passaggio motivazionale della pronuncia di questa Corte, da ultimo intervenuta sulla questione che si sta esaminando nel solco ermeneutico sopra richiamato, in cui si afferma In definitiva, poiché è consentita dall’art. 304 c.p.p., commi 1 e 4, l’immediata appellabilità dell’ordinanza di sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, l’omessa presentazione da parte dell’interessato dell’atto di appello, nel termine perentorio stabilito dall’art. 310 c.p.p., comma 2, comporta, in virtù del fenomeno della preclusione endoprocessuale, l’inammissibilità della successiva e tardiva richiesta di declaratoria di estinzione della misura e di scarcerazione per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, sull’assunto, non interessa discutere se fondato o meno, dell’illegittimità dell’originario provvedimento sospensivo cfr. Sez. 1, 28/05/2008, Patanè, cit. . Queste considerazioni impongono di ritenere inammissibile la richiesta di declaratoria di illegittimità dell’ordinanza del 18/12/2015, proposta tardivamente nell’interesse del D.F. al fine di sostenere la intervenuta scadenza dei termini cautelari di fase. 2. Le ragioni processuali che si sono esposte nel paragrafo precedente, in ordine alla tardività della richiesta di declaratoria di estinzione del provvedimento restrittivo e di scarcerazione del D.F. per sopravvenuta scadenza dei termini cautelari di fase, impongono di ritenere infondato anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si censurava il provvedimento di differimento adottato dalla Corte di assise di appello di Napoli all’udienza dell’08/07/2015, con il quale il processo veniva differito all’udienza del 30/10/2015, sul presupposto che, conseguendo tale differimento a un’istanza del difensore del D.F. , presentata per ragioni personali, non poteva comunque superare il termine massimo di sessanta giorni. A tali dirimenti considerazioni processuali, per le quali ci si deve limitare a richiamare le considerazioni esplicitate nel paragrafo precedente, deve aggiungersi l’incongruità del richiamo giurisprudenziale effettuato dalla difesa del ricorrente a sostegno delle censure proposte con la doglianza in esame, mediante il richiamo del principio di diritto secondo cui Qualora il giudice, su richiesta del difensore, accordi un rinvio della udienza, pur in mancanza delle condizioni che integrano un legittimo impedimento per concorrente impegno professionale del difensore, il corso della prescrizione è sospeso per tutta la durata del differimento, discrezionalmente determinato dal giudice avuto riguardo alle esigenze organizzative dell’ufficio giudiziario, ai diritti e alle facoltà delle parti coinvolte nel processo e ai principi costituzionali di ragionevole durata del processo e di efficienza della giurisdizione cfr. Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, Torchio, cit. . Questo richiamo giurisprudenziale, invero, non può essere ritenuto pertinente ai presenti fini processuali, in ragione del fatto che il limite temporale di sessanta giorni, così come prefigurato dalle Sezioni unite nell’arresto ermeneutico richiamato dalla difesa del D.F. , riguarda la sospensione del corso della prescrizione del reato e non già la sospensione dei termini di fase di custodia cautelare, di cui si controverte in questa sede, per il cui inquadramento occorre fare riferimento a un differente principio di diritto, che occorre richiamare nella sua interezza, secondo cui In materia di termini di durata della custodia cautelare, nel computo del limite temporale massimo del doppio dei termini di fase si tiene conto anche dei periodi di sospensione collegati al tempo di sospensione o rinvio del dibattimento per impedimento dell’imputato o del suo difensore o comunque per loro richiesta, sempre che non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova o per concessione di termini per la difesa, e, ancora, al tempo di sospensione per la pendenza dei termini per il deposito della sentenza cfr. Sez. 1, n. 21247 del 26/04/2007, Di Fede, Rv. 236794 . D’altra parte, l’inapplicabilità al caso di specie dell’arresto giurisprudenziale richiamato dalla difesa del D.F. è reso evidente dalla lettura della motivazione della pronuncia delle Sezioni unite in questione, nell’ambito della quale, in riferimento al quesito rimesso al loro vaglio giurisdizionale, così concludevano L’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen., a condizione che il difensore prospetti l’impedimento appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni, indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo e rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro con difensore che possa validamente difendere l’imputato, nonché l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio con conseguente congelamento del termine fino ad un massimo di sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento stesso cfr. Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, Torchio, cit. . Né la lettura del verbale dell’udienza dell’08/07/2015 consente interpretazioni alternative a quella posta a fondamento di questa decisione, essendo stato disposto il rinvio dell’udienza, dopo il deposito della sentenza emessa dal G.I.P. del Tribunale di Napoli il 24/09/2012, effettuato in via preliminare, conformemente alla richiesta presentata dal difensore del D.F. , che risultava fondata su contestuali impegni personali e di programmazione delle difese . Queste ragioni processuali impongono di ritenere infondato il secondo motivo di ricorso. 3. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell’interesse di D.F.M. deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. A tali statuizioni consegue la trasmissione, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att., cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen