Scarichi di acque reflue industriali: come orientarsi tra tabelle e modifiche legislative

Con la l. n. 36/2010, concernente la disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue, il legislatore ha ridimensionato l'ambito applicativo delle sanzioni penali e la conseguenza della modifica dell'art. 137, comma 5, d.lgs. n. 152/2006 è che si configura un reato soltanto qualora il superamento dei limiti tabellari sia riferito alle sostanze di cui alla tabella 5 dell'Allegato 5, parte terza. L'art. 452-bis c.p. incrimina chiunque determini una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di acqua, aria, suolo o sottosuolo, ecosistema, biodiversità.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46904/2016, depositata il 9 novembre. Il caso. Alcuni amministratori locali, nelle loro funzioni di sindaco pro tempore e responsabile del settore tecnico, e i legali rappresentanti di una s.r.l., cui era affidata la gestione tecnica di depuratori, venivano indagati per illeciti connessi alla materia ambientale. In particolare, erano ipotizzati a loro carico i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv. concorso c.p. e 137, comma 5 e 6, d.lgs. n. 152/2006 sanzioni per violazione delle autorizzazioni per lo scarico di acque reflue . Ai soggetti veniva contestato quanto sopra per la carente funzionalità degli impianti di depurazione e per il mancato mantenimento dei parametri delle sostanze inquinanti nei limiti di legge la acque dei suddetti impianti, infatti, risultavano immesse, nel suolo e in corsi d'acqua superficiali, in spregio di quanto disposto dalla tabella 4, dell'allegato 5, richiamato dalla norma indicata come violata. Agli indagati venivano contestati, sempre in concorso, anche gli illeciti di cui agli artt. 635, comma 2, n. 3 c.p. danneggiamento , 181, comma 1– bis , d.lgs. n. 42/2004 alterazione di beni pubblici , 674 c.p. getto pericoloso di cose , 452- bis c.p. inquinamento ambientale . Il gip presso il Tribunale competente rigettava l'istanza di applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo dei depuratori coinvolti nelle fattispecie incriminate, ma il tribunale del riesame, cui si era rivolto in appello il pm, propendeva per l'applicazione della misura cautelare, anche se con riferimento ad alcuni soltanto degli illeciti contestati. In particolare, il tribunale escludeva la sussistenza del fumus boni iuris in relazione ai reati di cui all'art. 137, comma 5 e 6, d.lgs. n. 152/2006 e 452- bis c.p A parere del Collegio, non poteva configurarsi l'art. 137 di cui sopra, in quanto gli scarichi incriminati non coinvolgevano le sostanze indicate nelle tabelle 5 o 3/A dell'allegato 5. Parimenti riteneva il tribunale che dovesse escludersi la sussistenza dell'art. 452- bis c.p., non essendo misurabile la compromissione o il deterioramento delle acque o del suolo. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge in relazione all'art. 137 d.lgs. n. 152/2006 e sottolineando come, nel caso di scarichi di acque direttamente sul suolo, la tabella di riferimento dovesse essere la n. 4 dell'allegato 5 la tabella 5 e 3/A dell'allegato concernendo, invece, lo scarico di sostanze nelle acque superficiali . Secondo l'impugnante, inoltre, sussisteva una violazione del disposto dell'art. 452-bis c.p., incriminante anche le situazioni intermedie e non soltanto quelle cagionanti un danno irreversibile. Le tabelle di riferimento. La Suprema Corte ha, in primo luogo, rilevato la correttezza della argomentazioni del provvedimento impugnato, in relazione alla non configurabilità dell'art. 137, comma 5 e 6, d.lgs. n. 152/2006. Gli Ermellini hanno, infatti, ricordato che la suddetta norma sanzionava, in passato, lo scarico di acque reflue industriali realizzato con superamento dei valori – limite fissati dalla Tabella 3/A, nel caso di scarico sul suolo, dalla Tabella 4 dell'Allegato 5, ovvero dei limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall'autorità competente a norma dell'art. 107, comma 1, con riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell'Allegato 5 . Con la l. n. 36/2010, concernente la disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue, il legislatore ha ridimensionato l'ambito applicativo delle sanzioni penali e la conseguenza della modifica dell'art. 137, comma 5, è che si configura un reato soltanto qualora il superamento dei limiti tabellari sia riferito alle sostanze di cui alla tabella 5 dell'Allegato 5, parte terza. In ogni altro caso, è rinvenibile esclusivamente un illecito amministrativo. Nel caso di specie, le sostanze con riferimento alle quali sono stati superati i parametri di legge non coincidono con quelle riportate nella sopra citata tabella. Deterioramento o compromissione misurabili. I Giudici di Piazza Cavour hanno, invece, ritenuto fondate le rimostranze relative alla carenza motivazionale del provvedimento impugnato sulla non configurabilità dell'art. 452- bis c.p La norma in esame, hanno spiegato gli Ermellini, è stata introdotta dalla l. n. 68/2015, la quale ha inserito nel libro secondo del codice, la parte sesta – bis, incentrata sui delitti contro l'ambiente. La disposizione, hanno rimarcato i Giudici del Palazzaccio, incrimina chiunque determini una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili di acqua, aria, suolo o sottosuolo, ecosistema, biodiversità. A parere del Collegio, nel caso di specie, il tribunale del riesame ha fornito delle argomentazioni contraddittorie in relazione alla configurabilità della fattispecie, escludendola in considerazione della mancata estensione e misurabilità del deterioramento o della compromissione. Il tribunale della libertà, infatti, ha affermato la sussistenza del fumus boni iuris in relazione agli illeciti di cui agli artt. 635 e 674 c.p., rilevando una situazione di inquinamento esteso, un danno all'ambiente e un pericolo per la salute umana lo stesso organo giudiziario, però, non ha spiegato per quale motivo questa situazione non potrebbe integrare un deterioramento oppure una compromissione dell'ecosistema oppure un danno significativo e misurabile. Ritenendo necessaria una motivazione corposa e precisa sul punto, la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 luglio – 9 novembre 2016, n. 46904 Presidente Ramacci – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 15/01/2016 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Salerno rigettò l’istanza di applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo proposta, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, in relazione a due depuratori del Comune di omissis , uno sito in località [], l’altro ubicato in località omissis . Tali beni, secondo quanto ritenuto dal richiedente, dovevano ritenersi pertinenti alla consumazione di taluni reati ambientali, ipotizzati a carico di alcuni amministratori locali e, precisamente, di R.G. e L.G. , entrambi in qualità di sindaco pro tempore del comune di omissis , il primo sino al omissis e, l’altro, sino al omissis C.P. e N.N. , entrambi in qualità di responsabile del settore tecnico del comune di omissis , il primo sino al omissis e, l’altro, sino al omissis ad oggi LE.Ma.Ro. e S.E. , rispettivamente in qualità di legale rappresentante e di responsabile tecnico della Neotes S.r.l., con sede legale in omissis , società a cui era stata affidata la gestione tecnica dei depuratori sino al omissis . Nel dettaglio, le fattispecie contestate erano quelle previste dagli artt. 110, 81 cpv., cod. pen., 137, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 152/06, perché in concorso fra loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, con più condotte reiterate nel tempo, gli indagati sopra indicati, agendo quali titolari e/o responsabili dello scarico di acque reflue urbane e del funzionamento dei depuratori del comune di omissis , senza trattare adeguatamente le acque che fuoriuscivano da detti impianti e che venivano dapprima sversate sul suolo e poi immesse anche in corsi d’acqua superficiale fiume [] per poi confluire nel mare, agivano in violazione di legge e delle prescrizioni contenute nelle autorizzazione allo scarico nn. 1/11-8/15 e 2/11-9/15 . Ciò in quanto non veniva mantenuta la funzionalità dei depuratori, atteso che l’impianto in loc. []era tenuto in funzione con grigliatura meccanica non funzionante ed in pessimo stato di conservazione il dosaggio temporizzato di ipoclorito di sodio non era funzionante, né era stato installato un misuratore di portata dei reflui in ingresso ed in uscita ed atteso altresì che l’impianto di omissis era tenuto in funzione irregolarmente, in quanto spesso risultava ricolmo di rifiuti, con vasca di clorazione con residui di fanghi, corpi solidi e schiuma in sospensione, e non essendo stato installato un misuratore di portata dei reflui in ingresso ed in uscita non venivano resi agibili alle autorità i punti stabiliti per il controllo né venivano mantenuti i parametri delle sostanze inquinanti nei limiti di legge. In questo modo, risultavano venire immesse, dapprima sul suolo e poi in corsi d’acqua superficiali da cui confluivano in mare, le acque scaricate da detti impianti di depurazione, senza rispettare i parametri previsti dalla tabella 4 dell’allegato 5, i parametri solidi sospesi totali, azoto ammoniacale, nh4, escherichiacoli, sia nell’impianto di loc. omissis che in quello sito in località []. Fatti accertati in omissis sino al omissis capo G . Ai suddetti soggetti, sempre nelle rispettive qualità, furono altresì contestati il reato previsto dagli artt. 81 e 635, comma 2, n. 3 cod. pen., per avere, con condotte reiterate nel tempo, come descritte al capo G , mediante l’immissione delle acque contaminate chimicamente e biologicamente, provenienti dai predetti depuratori, danneggiato il suolo in località omissis , e le acque del fiume []e del mare capo H il reato previsto dagli artt. 81 cod. pen. e 181, comma 1-bis del d.lgs. n. 42/2004, per avere, con condotte reiterate nel tempo, come descritte al capo G , alterato beni pubblici protetti ex lege n. 42/2004, ovvero i corsi di acque recettori, mediante l’illecito sversamento, nonché il suolo, rendendo le acque dei corsi d’acqua inidonee all’irrigazione e modificandone il colore capo I il reato previsto dagli artt. 81 e 674 cod. pen., per avere, con condotte reiterate nel tempo, come descritte al capo G , gettato in luogo pubblico cose idonee ad imbrattare o molestare persone, in particolare acque torbide e maleodoranti che venivano immesse sul suolo, nel fiume []e nelle acque del mare capo L il reato previsto dagli artt. 110 e 452-bis cod. pen., per avere, con condotte reiterate nel tempo, come descritte al capo G , cagionato una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque e di porzioni estese o significative del suolo, in particolare alterando e deteriorando il omissis , le acque del fiume []e le acque del mare capo M . Fatti accertati in omissis sino al 29/10/2015, con condotta in atto. 2. A seguito di appello proposto dal Pubblico ministero procedente, il Tribunale del riesame di Salerno, con ordinanza del 3/03/2016, dispose il sequestro preventivo dei suddetti impianti di trattamento dei reflui i urbani del comune di omissis , sia pure con riferimento soltanto ad alcuni dei reati contestati, e segnatamente quelli di cui agli artt. 635 cod. pen. capo H , 181-bis d.lgs. n. 52/2004 capo I e 674 cod. pen. capo L , escludendo invece la configurabilità del requisito del fumus e, quindi, rigettando l’appello quanto ai reati di cui agli artt. 137, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 152/2006 capo G e 452-bis cod. pen. capo M . Secondo il Tribunale del riesame, sulla base delle notizie di reato 2/123-5 del 11/12/2014 e 2/123 del 4/11/2015 dei CC NOE di Salerno e dalla nota ARPAC 73539/14 era possibile affermare che le acque reflue indicate nell’imputazione non fossero state depurate in maniera adeguata, senza che però potesse configurarsi il reato di cui all’art. 137 del D.Lgs. n. 152/2006, che per il combinato dei commi 6 e 5 dello stesso articolo, poteva realizzarsi solo ove si fosse in presenza di scarichi delle sostanze indicate nelle Tabelle 5 o 3/A dell’Allegato 5, tra cui non vi sarebbero state quelle indicate in contestazione al capo G , non assumendo rilevanza il fatto che lo scarico provenisse da un depuratore ricevente le acque provenienti da pubblica fognatura, destinate ad essere qualificate come scarichi di acque urbane, quantomeno in mancanza di concreti elementi per ritenere la prevalenza quantitativa dei reflui di provenienza industriale su quelli da insediamenti civili. Secondo il Tribunale del riesame, doveva invece ritenersi sussistente la fattispecie di cui all’art. 181 del d.lgs. 22/01/2004 n. 42, avuto riguardo alla compromissione dei valori ambientali realizzata attraverso le immissioni dei reflui contaminati con solidi sospesi totali, azoto ammoniacale, nh4, escherichiacoli, sversate in un bene tutelato ambientalmente ed idonee ad alterarne le caratteristiche naturali. Al contempo, il Tribunale salernitano rinvenne gli estremi del delitto di cui all’art. 635, comma 2 n. 3, cod. pen., essendosi in presenza dell’immissione, senza soluzione di continuità, di sostanze dannose in una risorsa idrica della collettività, considerate le gravi e negative ricadute economiche nello sfruttamento turistico-commerciale dei beni ambientali interessati dallo sversamento, con particolare riguardo alla balneabilità delle coste marine e fluviali e alla coltivazione ittica. Parimenti sussistente fu, altresì, ritenuta la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen., la cui natura di reato di pericolo richiede una capacità lesiva del getto pericoloso di cose nei confronti delle persone che da esso vengono imbrattate, offese, molestate o turbate nella loro integrità fisica e, dunque, della salute pubblica. Ciò che, secondo il Tribunale, sarebbe derivato nel caso di specie dagli scarichi di cui si discute, anche in relazione alle patologie da essi potenzialmente derivanti dovendo, del resto, i luoghi degli sversamenti ritenersi pubblici o aperti al pubblico . Il Tribunale, invece, escluse la sussistenza dell’ipotesi ex art. 452-bis cod. pen., avuto riguardo al richiamo letterale a espressioni quali compromissione o deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, di un ecosistema, della biodiversità anche agraria, della flora o della fauna , con le quali il legislatore avrebbe inteso sanzionare condotte inquinanti aventi aspetti quantitativi e qualitativi rilevanti ed estesi, in maniera tale da probabilmente escludere che la fattispecie che ci occupa possa in esse ricomprendersi . Inoltre, il ricorso all’aggettivo misurabile starebbe quasi a significare che la punibilità possa configurarsi solo ove si sia effettuato un accertamento tecnico specifico sul grado degli agenti inquinanti e sul loro rapporto con gli elementi naturali del corpo fisico recettore . Quanto, infine, alle esigenze cautelari il Tribunale ritenne che l’uso degli impianti di depurazione fosse pacificamente idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dalla commissione dei reati di cui al capo G . 3. Con atto depositato in data 24/03/2016, avverso l’ordinanza resa dal Tribunale del Riesame di Salerno ha presentato ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, in relazione alla reiezione della richiesta di sequestro preventivo relativamente ai capi G ed M dell’imputazione cautelare. In particolare, secondo il ricorrente, l’ordinanza sarebbe affetta, ex art. 606, comma 1, lett. b del cod. proc. pen., da inosservanza ed erronea applicazione di norme di legge nonché, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e del cod. proc. pen, da mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo dello stesso provvedimento. Con riferimento al reato contestato al capo G , il Tribunale del riesame avrebbe affermato che esso possa realizzarsi solo ove si sia in presenza di scarichi di sostanze indicate nella tabella 5 o 3/a dell’allegato 5 , laddove tra queste non vi sarebbero quelle indicate in contestazione nel capo A rectius capo g . Tale affermazione non potrebbe, tuttavia, condividersi atteso che, nel caso in esame, sarebbe contestato anche lo scarico di acque direttamente sul suolo e che, in una tale ipotesi, le tabelle di riferimento sarebbero quelle indicate nella tabella 4 dell’allegato 5 e non quelle della tabella 5 e 3/a dell’allegato 5, indicate dal Tribunale del riesame, alle quali, invece, si farebbe riferimento solo nel caso di scarico diretto nelle acque superficiali. Pertanto, risultando superati i parametri previsti dalla tabella 4 relativamente ai solidi sospesi totali, bod5, cod, azoto ammoniacale, nh4, escherichiacoli, la condotta accertata integrerebbe la contestata violazione dell’art. 137, comma 5, d.lgs. n. 152/2006. Quanto, poi al capo M , concernente il delitto previsto dall’art. 452-bis cod. pen., il ricorrente ritiene che la nuova fattispecie, stando al suo significato letterale, sanzioni le condotte intermedie che vanno a collocarsi fra le mere violazioni formali, sanzionate dalle contravvenzioni previste dal d.lgs. n. 156/2006, ed il cd. disastro ambientale di cui all’art. 452-quater cod. pen., così realizzandosi un sistema penale di tutela crescente . In questa prospettiva, mentre nell’ipotesi di cui all’art. 452-quater cod. pen. vengono sanzionate le condotte che arrecano un danno irreversibile ovvero una alterazione all’ecosistema che può essere eliminato solo in maniera particolarmente onerosa e conseguibile con provvedimenti eccezionali ed in assenza di offesa alla pubblica incolumità , tali elementi non devono, invece, sussistere nel caso contemplato dall’art. 452-bis cod. pen., che dunque si caratterizza per la sua portata residuale. Inoltre, l’interpretazione letterale dell’art. 452-bis cod. pen., in specie attraverso l’utilizzazione della disgiuntiva o , evidenzierebbe che la nuova norma incriminatrice preveda, al suo interno, due diverse ipotesi di reato, una di pericolo ed una di danno, secondo quanto sarebbe confermato dall’art. 300 del d.lgs. n. 152/06, contenente la disciplina di attuazione in Italia della direttiva 2004/35/CE. La prima condotta corrisponderebbe ai casi di compromissione del bene ambientale, nella quale rientrerebbero tutte le ipotesi di esposizione a rischio di danno all’ambiente, conformemente ai principi di provenienza comunitaria, riconosciuti dal d.lgs. n. 152/06 di precauzione e prevenzione . La seconda, evocata dal concetto di deterioramento , sanzionerebbe invece le condotte di danno , da accertare in concreto. Nondimeno, anche la compromissione dovrebbe essere misurabile e significativa , sia pure nella sola prospettiva del danno potenziale conseguente ad una effettiva esposizione a rischio di danno . Così delineata la fattispecie astratta, il ricorrente ha posto in luce come lo stesso Tribunale del riesame, nel ritenere sussistenti le fattispecie di cui agli artt. 635 e 674 cod. pen. abbia ritenuto di configurare una situazione di inquinamento esteso, di danno per le matrici ambientali suolo, fiume e mare , di pericolo per la salute umana. Una situazione, dunque, che avrebbe determinato un deterioramento o una compromissione estesi di un ecosistema e, quindi, un danno ambientale dovuto ad deterioramento significativo e misurabile , in atto da oltre tre anni dal 2012 sino ad oggi , insistente in maniera diretta e significativamente negativa sullo stato ecologico, chimico e/o quantitativo ovvero sul potenziale ecologico delle acque interessate, contaminante il terreno e idoneo a creare un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana a seguito dell’introduzione nel suolo, sul suolo o nel sottosuolo di sostanze, preparati, organismi o microrganismi nocivi per l’ambiente. 4. Con memoria depositata il 2/07/2016 il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata. Quanto al reato di cui al capo G , il Procuratore generale ha escluso che lo sversamento dei reflui sul suolo ed il superamento dei parametri previsti dalla tabella 4 dell’allegato 5 sia sufficiente a integrare il reato di cui all’art. 137, commi 5 e 6, T.U.A., atteso che, successivamente alla modifica del comma 5 ad opera della legge n. 36 del 2010, il superamento dei limiti tabellari configurerebbe reato solo ove riguardi le sostanze indicate nella tabella 5 dell’allegato 5 alla parte terza del D.lgs. n. 152 del 2006, diversamente integrandosi un mero illecito amministrativo. Principio che sarebbe applicabile anche nel caso di superamento dei valori-limite di emissione da parte del gestore di impianti di trattamento di acque reflue urbane, stante la previsione dell’art. 137, comma 6, T.U.A. che rinvia al comma 5 per quanto riguarda la condotta e le sanzioni. Riguardo al reato di cui al capo M , il Procuratore generale, dopo avere proposto una approfondita ricostruzione della fattispecie di nuovo conio, ha rilevato come la motivazione offerta sul punto dal Tribunale del riesame sia meramente apparente e come la stessa eluda il confronto con la portata applicativa della nuova ipotesi di reato di cui all’art. 452-bis cod. pen Considerato in diritto 1. Preliminarmente va osservato che il ricorso per cassazione in materia di misure cautelari reali può essere esaminato solo in relazione al vizio di violazione di legge non essendo consentita, nella subiecta materia, la deduzione del vizio di motivazione, secondo la chiara previsione dell’art. 325 cod. proc. pen. cfr., ex multis, Sez. 3, n. 45343 del 6/10/2011, P.M. in proc. Moccaldi e altro, Rv. 251616 . Tuttavia, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ricorre violazione di legge non soltanto in caso di errores in iudicando o in procedendo, ma anche laddove ricorrano dei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento impugnato del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, tanto da determinarne l’inidoneità a rendere comprensibile la vicenda contestata e l’iter logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . È il caso, ad esempio, in cui il provvedimento impugnato non contenga l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione su un punto decisivo del giudizio ed il cui esame sia stato del tutto pretermesso. In tale evenienza, difatti, considerato l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene a mancare un elemento essenziale dell’atto, sicché, in definitiva, la motivazione mancante o meramente apparente finisce per integrare gli estremi della violazione di legge di cui all’art. 125 cod. proc. pen. Sez. 5, n. 40731 in data 11/07/2006, Magrone e altro, Rv. 235758 più di recente v. Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, P.M. in proc. Baronio e altro, Rv. 264011 . Viceversa, non rientra pacificamente nell’ambito del vizio in questione il caso dell’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e del comma 1 dell’art. 606 stesso codice, non attivabile nel caso della cautela reale Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, p.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129 Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916 . 2. Non appare superfluo ricordare, sempre in premessa, che se anche in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede l’acquisizione di un quadro probatorio altrettanto solido di quello previsto per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare, ai fini dell’adozione della cautela reale, un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. È, invece, necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di fumus, al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata ed è, inoltre, necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all’Accusa nonché che siano valutati gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, P.M. in proc. Macchione, Rv. 265433 Sez. 5, n. 49596 del 16/9/2014, Armento, Rv. 261677 Sez. 5, n. 28515 del 21/5/2014, Ciampani e altri, Rv. 260921 Sez. 4, n. 15448 del 14/3/2012, Vecchione, Rv. 253508 Sez. 3, n. 27715 del 20/5/2010, Barbano, Rv. 248134 Sez. 3, n. 26197 del 5/5/2010, Bressan, Rv. 247694 Sez. 3, n. 18532 del 11/3/2010, D’Orazio, Rv. 247103 Sez. 2, n. 2808/09 del 2/10/2008, Bedino, Rv. 242650 . E a tale valutazione, poi, dovranno aggiungersi quelle in tema di periculum in mora che, necessariamente, devono essere riferite ad un concreto pericolo di prosecuzione dell’attività delittuosa ovvero ad una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca del bene in sequestro. 3. Fermo quanto precede, ritiene il Collegio che il ricorso in parola - in punto violazione di legge - sia parzialmente fondato e che, pertanto, esso debba essere accolto per quanto di ragione. Nel caso in esame, innanzitutto, il provvedimento impugnato ha correttamente escluso, alla stregua di una condivisibile ricostruzione dell’ambito applicativo della fattispecie contestata, la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 137, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 152/06. Infatti, l’art. 137, comma 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, originariamente sanzionava lo scarico di acque reflue industriali realizzato con superamento dei valori-limite fissati dalla Tabella 3/A, nel caso di scarico sul suolo, dalla Tabella 4 dell’Allegato 5, ovvero dei limiti più restrittivi fissati dalle regioni o dalle province autonome o dall’autorità competente a norma dell’art. 107, comma 1, con riferimento alle sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5. Per il superamento anche dei valori limite fissati per le sostanze indicate nella tabella 3/A dell’Allegato 5 la sanzione era di maggiore entità. Anche a causa dei contrasti interpretativi, sorti con riferimento alla norma in questione dopo l’entrata in vigore dell’abrogato D.Lgs. n. 152 del 1999, che sanzionava analoghe condotte, il legislatore, con l. 25 febbraio 2010, n. 36 recante Disciplina sanzionatoria dello scarico di acque reflue , intervenne per ridimensionare, in modo significativo, l’applicazione delle sanzioni penali. Per effetto della conseguente modifica del citato art. 137, comma 5, effettuata dalla predetta legge n. 36/2010, il superamento dei limiti tabellari integra ora il reato soltanto nel caso in cui esso riguardi le sostanze indicate nella Tabella 5 dell’Allegato 5 alla Parte Terza, diversamente integrandosi un mero illecito amministrativo. E di tale modifica ha conseguentemente preso atto la giurisprudenza di questa Corte Sez. 3, n. 12969 5/03/2015, D’Aloisio, non massimata Sez. 3, n. 11884 del 21/2/2014, Palaia, Rv. 258704 Sez. 3, n. 19753 del 19/4/2011, Bergamini, Rv. 250338 . Nel caso in esame, le sostanze relativamente alle quali risultano superati i limiti tabellari non rientrano tra quelle contemplate dalla menzionata tabella 5 dell’allegato 5 si tratta, infatti, di Bod5, Cod, azoto ammoniacale, Nh4, escherichiacoli . Pertanto, la condotta contestata non costituisce reato ma rientra nell’ipotesi di cui all’art. 133, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006, il quale, salvo che il fatto costituisca reato, punisce con sanzione amministrativa lo scarico con superamento dei limiti indicati nelle tabelle dell’Allegato 5. 4. Diversamente è a dirsi con riferimento alla fattispecie contestata la M , rispetto alla quale deve, invece, ritenersi che il tribunale salernitano non abbia adeguatamente motivato le ragioni per le quali le condotte accertate non integrino al delitto di cui all’art. 452-bis del codice penale, introdotto con la legge 22/05/2015, n. 68, la quale ha disposto l’inserimento nel codice penale, nel Libro Secondo, della Parte Sesta-bis, relativa ai delitti contro l’ambiente. Sul punto basti ricordare che il comma 1 della nuova fattispecie incriminatrice, punisce con la pena della reclusione da due a sei anni e con la multa da 10.000 a 100.000 Euro, chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili 1 delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo 2 di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna e che il comma 2 prevede una ipotesi aggravata, la quale ricorre quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette . 5. Nell’atto di appello presentato dal Pubblico ministero, si era offerta una articolata ipotesi ricostruttiva della fattispecie incriminatrice, alla stregua della quale era stato osservato, in fatto, che da anni, pur in presenza di auto-analisi che evidenziavano il cattivo funzionamento dei depuratori e che le acque inquinavano, si era proceduto allo sversamento di sostanze certamente pericolose per la salute delle persone, quali, ad esempio, l’escherichia coli. Inoltre, sul piano della qualificazione giuridica si era sostenuto come tale situazione fosse riconducibile alla fattispecie di nuovo conio, sussistente, secondo la prospettazione del Pubblico ministero appellante, nei casi in cui l’agente abbia cagionato abusivamente e in alternativa tra loro due tipologie di eventi, uno di pericolo, la compromissione , l’altro di danno, il deterioramento di alcune matrici ambientali specificamente individuate acqua, aria, porzioni estese di sottosuolo, bio-diversità anche agraria, flora e fauna selvatica ovvero dell’ecosistema definito dal ricorrente come l’insieme di tutti gli esseri viventi che si trovano in un determinato ambiente fisico chimico, e le relazioni reciproche che intercorrono sia tra di essi che tra essi e l’ambiente circostante . Il Tribunale del riesame, giudicando avverso il predetto gravame, ha testualmente affermato che il legislatore, con la fattispecie di nuovo conio, abbia voluto sanzionare condotte inquinanti che assumessero aspetti quantitativi e qualitativi davvero rilevanti ed estesi in maniera tale da probabilmente escludere che la fattispecie che ci occupa possa esse ricomprendersi. Di certo il richiamo all’aggettivo misurabile inserisce un elemento di fatto della condotta non certo di agevole interpretazione, quasi a significare che la punibilità possa configurarsi solo avi si sia effettuato un accertamento tecnico specifico sul grado degli agenti inquinanti e sul loro rapporto con gli elementi naturali del corpo fisico recettore. Con la conseguenza tra l’altro, che sarebbe esclusa, per tale reato, la forma del tentativo se per il perfezionamento della condotta è necessario che sia cristallizzato l’elemento della misurabilità della compromissione o del deterioramento, appare consequenziale, per la materializzazione del reato, procedere in facto a tale misurazione, con la conseguenza che una volta eseguita, il delitto potrebbe solo o consumarsi o restare in configurabile . Come correttamente osservato dalla Procura generale, quella appena riportata si configura come una motivazione meramente apparente, che omette sia di ricostruire compiutamente la fattispecie ipotizzata, sia di analizzare le considerazioni sviluppate, sia in fatto che in diritto, dal Pubblico ministero in sede di appello e che, sostanzialmente, qualifica la situazione di fatto accertata, in maniera del tutto apodittica, come non connotata da aspetti quantitativi e qualitativi davvero rilevanti ed estesi . Ciò appare tanto più significativo ove si consideri, come correttamente posto in luce dal ricorrente, che gli stessi giudici salernitani, nell’affermare il fumus in relazione alle fattispecie previste dagli artt. 635 e 674 cod. pen., hanno contraddittoriamente riconosciuto l’esistenza di una situazione di inquinamento esteso, di danno per le matrici ambientali suolo, fiume e mare e di pericolo per la salute umana, rispetto alla quale gli stessi non hanno in alcun modo spiegato perché essa non possa configurare un’ipotesi di deterioramento o di compromissione dell’intero ecosistema, o, comunque, un danno ambientale riconducibile ad un deterioramento significativo e misurabile, idoneo a determinare un rischio significativo di effetti nocivi, anche indiretti, sulla salute umana. Ciò che, per le ragioni esposte in premessa, realizzando un omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata la mancata emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, P.M. in proc. Baronio e altro, Rv. 264011 . Consegue alle argomentazioni appena riportate, la necessità che il Tribunale del riesame esponga, con motivazione più articolata e puntuale, le ragioni per le quali abbia ritenuto di non ravvisare il fumus della nuova fattispecie delittuosa. 6. Sulla base delle considerazioni che precedono, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Salerno. P.Q.M. Annulla con rinvio l’ordinanza impugnata al Tribunale di Salerno.