Atti processuali in sardo? Se vi è espressa richiesta vanno tradotti a pena di nullità

Il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta ha il diritto alla traduzione nella sua lingua, a pena di nullità, degli atti del procedimento a lui indirizzati, successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all’autorità investita del procedimento.

Questo il principio di diritto affermato dalla sezione III della Corte di Cassazione con la sentenza n. 45216/16, depositata il 26 ottobre che si è pronuncia su una vicenda che ebbe notevole eco nei mass media. I fatti storici. Nell'agosto del 2008 si registra, infatti, una singolare iniziativa di un indipendentista sardo che mira al riconoscimento internazionale dell’isola di Mal di Ventre, quale Repubblica Indipendente di Malu Entu, rifacendosi ai principi di autodeterminazione dei popoli sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite. Salvatore Meloni, protagonista di altre storiche battaglie per l’indipendenza della Sardegna, ha provveduto a inviare il progetto sia alle Nazioni Unite ed ai suoi membri che all’allora presedente del Consiglio dei Ministri Berlusconi. Il Meloni, che da più di vent’anni trascorre gran parte delle sue giornate sull'isoletta assieme ad altri indipendentisti, nel febbraio 2009 ha avviato una causa civile per l’usucapione dell’isola di Mal di Ventre, di proprietà del demanio marittimo nelle parti relative ai lidi e agli arenili e alla società napoletana Turistica Cabras s.r.l. per la restante area. Meloni ha pure fatto stampare banconote con la sua faccia, i Soddus Sardos . Le imputazioni. Il 30 gennaio 2009, dopo 5 mesi dalla data di autoproclamazione della Repubblica, un blitz del Corpo forestale e di vigilanza ambientale e della Capitaneria di porto ha sgomberato gli indipendentisti. Nel processo giunto in Cassazione, il Meloni e altro coimputato sono stati accusati in concorso e in continuazione di invasione di terreni destinati a uso pubblico artt. 633 e 639- bis c.p. , di abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata art. 1161 cod. nav. per avere invaso una porzione di arenile, apportando modifiche ad un rifugio preesistente, realizzando un tetto in legno e realizzandovi sopra un telone impermeabile, installando tende da campeggio, tagliando la vegetazione, rivendicando un’occupazione stabile dell’isola e riprendendo tali condotte anche dopo l’intervento della polizia. Inoltre, gli imputati vengono tratti in giudizio anche per rispondere del reato punito dall’art. 181, comma 1- bis , lett. a , d.lgs. n. 42/2004 perché in mancanza di autorizzazione paesaggistica realizzavano i suindicati valori installando finanche una pala eolica. Si prescrive in appello il reato del codice della navigazione. Trattandosi di reato contravvenzionale, l’art. 1161 cod. nav. viene dichiarato prescritto dalla Corte d’appello di Cagliari in quanto interamente decorso il termine di cinque anni. La tesi dell’assorbimento di quest’ultima nell’alveo della fattispecie incriminatrice dell’art. 633 c.p.p. è stata in passato respinta dalla Suprema Corte che ha invece ritenuto la contravvenzione di cui all’art. 1161 cod. nav. concorrere con il delitto di cui all'art. 633 c.p., stante la obiettiva diversità degli interessi tutelati e delle condotte illecite previste dalla due norme, consistente nell’introduzione arbitraria e per un congruo lasso di tempo in terreni o edifici altrui allo scopo di occuparli e trarne profitto nell'ipotesi di cui all’art. 633 c.p., e nell'effettiva occupazione del demanio nell’altra ipotesi Cass., sez. III, n. 48520/04 . Niente incompatibilità del giudice. I ricorrenti assumono la violazione dell’art. 34 c.p.p. in quanto nel collegio che ha deliberato la sentenza gravata faceva parte uno stesso giudice che si era già pronunciato nello stesso procedimento in sede di riesame sul sequestro preventivo e che era stato estensore . La Suprema Corte dichiara inammissibile il motivo in quanto la pronuncia in tema di misura cautelare reale prescinde da una valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza. Solo qualora il giudice anticipi in quella sede la sua opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato, senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato, può essere ricusato. Ma deve essere dedotta in Cassazione la ricorrenza in concreto dei presupposti dell’indebito convincimento in quanto non è sufficiente che il giudice si sia già pronunciato in sede cautelare reale. Inoltre, la causa di incompatibilità non determina la nullità del provvedimento adottato ma costituisce solo motivo di ricusazione che deve essere fatto valere nei termini previsti dall’art. 37 c.p.p. il che non è avvenuto nel caso di specie. Omessa traduzione in sardo della vocatio in ius in appello. Viene invece accolto il motivo di ricorso relativo alla mancata traduzione in sardo richiesta dal Meloni ex art. 109, commi 2 e 3, c.p.p. del decreto di citazione nel giudizio di appello. Ciò in quanto la l. n. 482/1999 prevede quale minoranza ‘storica’, facendola rientrare nella categoria delle minoranze ‘riconosciute’ quella parlante il sardo. Di conseguenza, il cittadino italiano appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta ha il diritto, qualora lo richieda all’autorità giudiziaria procedente, di primo grado o di appello, alla traduzione nella sua lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati così, già, Cass., sez. IV, n. 51812/14 . Per rivendicare il diritto all’applicazione delle disposizioni dettate a tutela delle minoranze linguistiche, il richiedente è tenuto a fornire la prova della formale inclusione del territorio nel quale risiede tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi provinciali e comunali. Gli Ermellini precisano che nel definire le minoranze storiche” il legislatore ha fatto generale riferimento ai parlanti la lingua sarda, senza operare alcuna distinzione tra i vari dialetti nei quali la lingua si suddivide. Il sardo è una lingua madre. La Corte d’appello, richiamando un certo orientamento di legittimità, aveva comunque ritenuto che il sardo non sarebbe una lingua madre ma semplicemente una forma linguistica dialettale non riferibile al concetto giuridico e alla nozione tecnica di lingua utilizzata da minoranza linguistiche riconosciute, ai sensi dell’art. 109, comma 2, c.p.p. La sentenza odierna supera tale affermazione, ritenendo il contrario, in quanto la Regione autonoma della Sardegna ha adottato nel 2006 sperimentalmente uno standard comune per gli atti e i documenti emessi dalla stessa Regione, dando facoltà ai cittadini di scrivere all’Ente nella propria varietà istituendo lo sportello linguistico regionale. Il giudice di merito non può verificare la legittimità della delibera. Il Comune di Terralba, quale luogo di residenza del Meloni, era stato incluso tra quello in cui i residenti avevano il diritto di invocare l’applicazione della disposizioni a tutela delle minoranze linguistiche. E l’imputato ha prodotto la deliberazione del Consiglio provinciale di Oristano in cui, al termine del procedimento previsto dall’art. 3 l. n. 482/1999, si era avuto tale inclusione dell’ambito territoriale di Terralba quale minoranza linguistica sarda da tutelare. Per i Giudici di legittimità contrariamente a quanto affermato dai giudici d’appello il controllo della legittimità della delibera non è compito del giudice penale, il quale deve limitarsi a rilevare macroscopiche violazioni di legge risultante dall’atto, nei soli casi in cui l’atto costituisca presupposto di reato. Prescrizione del reato paesaggistico. Infine, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 56/16, è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo, in parte qua , per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 181, comma 1- bis , d.lgs. n. 42/2004, il quale stabilisce, nel caso di opere eseguite su beni paesaggistici vincolati in assenza di autorizzazione o in difformità da essa, un trattamento sanzionatorio deteriore reclusione da uno a quattro anni rispetto a quello previsto per identiche condotte poste in essere su beni paesaggistici vincolati ex lege che, attraverso il rinvio all'art. 44, comma 1, lett. c , d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, Testo unico Edilizia, vengono puniti con l’arresto fino a due anni e l’ammenda . L’equiparazione del sistema sanzionatorio delle due fattispecie di reato ha comportato che la mutatio del reato di cui all’art. 181, comma 1- bis , d.lgs. n. 42/2004, da delitto a contravvenzione, ha abbassato il termine di prescrizione da sette anni e mezzo a cinque. Termine, quest’ultimo già trascorso al momento della deliberazione della sentenza di appello e di quella presente di Cassazione, trattandosi peraltro di un fatto in cui la permanenza è cessata dalla data del sequestro il 30 gennaio 2009 .

Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 31 maggio – 26 ottobre 2016, n. 45216 Presidente Rosi – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza dell’11 giugno 2012, il Tribunale di Oristano ha - per quanto qui rileva - condannato gli imputati odierni ricorrenti, anche al risarcimento del danno in favore delle parti civili WWF-Italia e Turistica Cabras s.r.l., in relazione ai reati di cui A agli artt. 110, 81, primo comma, 633, 639 bis cod. pen., 54 e 1161 cod. nav., perché, in concorso tra loro e con altri, approdati sull’ omissis , di proprietà del demanio marittimo nelle parti relative ai lidi e agli arenili e della Turistica Cabras s.r.l. per la restante area, invadevano una porzione di arenile, apportando modifiche a un rifugio preesistente, realizzandovi un tetto in legno e sistemandovi sopra un telone impermeabile, installando tende da campeggio, tagliando la vegetazione, rivendicando un’occupazione stabile della citata isola, e riprendendo tali condotte anche dopo l’intervento della polizia municipale, con il ripristino dei loro presidi in data 15 settembre 2008 e con l’impianto di nuovi teloni a copertura del rifugio dal 25 agosto 2008 fino all’11 settembre 2008 e dal 15 settembre 2008 con condotta in atto B agli artt. 110 cod. pen., 181, comma 1-bis, lettera a , del d.lgs. n. 42 del 2004, perché, in concorso tra loro, in mancanza di autorizzazione paesaggistica, realizzavano i lavori di cui sopra, installando anche una pala eolica dell’altezza di circa 2 m, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico nelle date sopraindicate . Con sentenza del 4 marzo 2015, la Corte d’appello di Cagliari ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in relazione alla contravvenzione di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav. e ha applicato la diminuzione per il rito abbreviato - ritenendo riferibile al caso di specie la sentenza della Corte costituzionale n. 273 del 2014 -, riducendo la pena nei confronti di M. a un anno e ventisei giorni di reclusione e nei confronti di Ma. a otto mesi e ventisei giorni di reclusione. 2. - Avverso la sentenza l’imputato M. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo 1 la violazione dell’art. 34 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione, essendo stata pronunciata la sentenza di merito da un giudice che era già stato estensore di un’ordinanza del Tribunale del riesame in materia di sequestro preventivo nell’ambito dello stesso procedimento 2 l’erronea applicazione degli artt. 633 e 639 bis cod. pen., perché non si sarebbe considerata la valenza politico-mediatica della vicenda, allorquando il coimputato M. aveva proclamato l’indipendenza dell’isola, dandone notizia ai mezzi di comunicazione 3 la mancanza di motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, perché non si sarebbe considerato che la rimozione delle opere abusive da parte della polizia giudiziaria aveva impedito l’autonoma determinazione degli imputati di rimettere in pristino lo stato dei luoghi, così da usufruire della causa di estinzione del reato prevista dal successivo comma 1-quinquies dello stesso articolo, essendo stata l’ipotesi delittuosa contestata solo prima del dibattimento, mentre all’esito delle indagini vi era stata la sola la contestazione dell’ipotesi contravvenzionale di cui al precedente comma 1. 3. - La sentenza è stata impugnata, tramite il difensore, anche nell’interesse dell’imputato M. . 3.1. - Con un primo motivo di doglianza, si denuncia la violazione dell’art. 6 Cost. e dell’art. 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche , nonché della deliberazione del Consiglio provinciale di Oristano del 2 febbraio 2001, n. 9. La difesa afferma espressamente di impugnare anche l’ordinanza della Corte d’appello che ha respinto l’eccezione di nullità del decreto di citazione a giudizio in appello dell’imputato, perché non tradotto in lingua sarda. Si richiama, in particolare, la giurisprudenza di legittimità secondo cui il soggetto appartenente alla minoranza linguistica sarda ha diritto di ricevere tradotti in tale lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all’autorità procedente. La Corte d’appello, non tenendo conto di tali principi, avrebbe richiamato la circostanza che la legge regionale non individua unitariamente la lingua sarda e che la delibera del consiglio provinciale di Oristano del 2001 è generica, limitandosi ad indicare i comuni che hanno presentato la relativa richiesta . 3.2. - La difesa svolge poi censure analoghe a quelle del coimputato Ma. , sopra riportate. 4. - Con memoria depositata in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte nell’interesse di entrambi gli imputati, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2016, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 181, comma 1 bis, del d.lgs. n. 42 del 2004. Si deduce altresì l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A dell’imputazione. Considerato in diritto 5. - I ricorsi sono fondati nei limiti che seguono. 5.1. - Il primo dei motivi di doglianza proposti nell’interesse dell’imputato M. con cui si denunciano la violazione dell’art. 6 Cost. e dell’art. 2 della legge n. 482 del 1999, nonché l’erronea interpretazione della deliberazione del Consiglio provinciale di Oristano del 2 febbraio 2001, n. 9, in relazione alla mancata traduzione in sardo del decreto di citazione per il giudizio di appello - è fondato. Risulta pacifico in atti che l’imputato M. abbia precedentemente richiesto la traduzione degli atti in lingua sarda, ai sensi e per gli effetti dell’art. 109, commi 2 e 3, cod. proc. pen., e che il decreto di citazione per il giudizio di appello non sia stato tradotto in tale lingua. 5.1.1. - La materia è disciplinata dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche , la quale, all’art. 2, definisce quale minoranza storica - così riconoscendola e, dunque, facendola rientrare nella categoria delle minoranze riconosciute - quella parlante il sardo. In forza della previsione del successivo art. 9, comma 3, della stessa legge, nei procedimenti davanti al giudice di pace è consentito l’uso della lingua ammessa a tutela. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 109 del codice di procedura penale . Ne deriva - secondo quanto già osservato da questa Corte con la sentenza sez. 4, 12 dicembre 2014, n. 51812 - che il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta ha diritto di ricevere tradotti nella sua lingua, a pena di nullità, gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla corrispondente richiesta dallo stesso avanzata all’autorità investita del procedimento. Quanto all’ambito territoriale di applicazione della tutela, lo stesso coincide con quello individuato attraverso il procedimento amministrativo previsto dall’art. 3 della richiamata legge n. 482 del 1999, destinato a concludersi con un provvedimento del Consiglio provinciale territorialmente competente. In particolare, detto Consiglio, su richiesta di almeno il 15% dei cittadini iscritti nelle liste elettorali e residenti nei comuni stessi, ovvero di un terzo dei consiglieri comunali dei medesimi comuni, provvede a delimitare detto ambito territoriale, sentiti i comuni interessati. Nel caso in cui le menzionate condizioni non si realizzino, e tuttavia sul territorio comunale insista una minoranza linguistica storica, il procedimento amministrativo inizia qualora si pronunci favorevolmente la popolazione residente, attraverso apposita consultazione promossa dai soggetti aventi titolo e con le modalità previste dai rispettivi statuti e regolamenti comunali. Ne deriva che, per rivendicare il diritto all’applicazione delle disposizioni dettate a tutela delle minoranze linguistiche, il richiedente è tenuto a fornire la prova della formale inclusione del territorio nel quale risiede tra quelli espressamente individuati nei provvedimenti amministrativi provinciali o comunali. Tali provvedimenti non hanno, infatti, natura normativa, essendo quanto meno privi del carattere dell’astrattezza, e non devono perciò essere conosciuti d’ufficio dal giudice Cass., sez. 4, 3 dicembre 2014, n. 3815/2015 . 5.1.2 - E nel definire le minoranze storiche il legislatore ha fatto generale riferimento ai parlanti la lingua sarda, senza operare alcuna distinzione fra i vari dai dialetti nei quali tali lingua si suddivide principalmente e il campidanese e il logudorese, con ulteriori partizioni con la conseguenza che il riferimento legislativo deve intendersi operato al sardo nel suo complesso, nelle possibili varianti che lo stesso assume nelle varie province e comuni. E va ricordato, del resto, che la Regione Autonoma della Sardegna, con delibera della Giunta regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006 Limba Sarda Comuna . Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell’Amministrazione regionale ha adottato sperimentalmente uno standard comune per gli atti e i documenti emessi dalla stessa Regione fermo restando che ai sensi dell’art. 8 della legge n. 482 del 1999 ha valore legale il solo testo redatto in lingua italiana , dando facoltà ai cittadini di scrivere all’Ente nella propria varietà e istituendo lo sportello linguistico regionale Ufitziu de sa limba sarda . Deve ritenersi dunque superata l’affermazione contenuta nella sentenza Cass. sez. 1, 8 maggio 2012, n. 20530 - richiamata dalla Corte d’appello - secondo cui il sardo non sarebbe una lingua madre ma semplicemente una forma linguistica dialettale non riferibile al concetto giuridico e alla nozione tecnica di lingua utilizzata da minoranze linguistiche. Quanto al caso di specie, la stessa Corte d’appello afferma che l’imputato ha prodotto la deliberazione del Consiglio provinciale di Oristano 2 febbraio 2001, n. 9, la quale include il Comune di Terralba - luogo di residenza dell’imputato M. - tra quelli i cui residenti hanno diritto ad invocare l’applicazione delle disposizioni a tutela delle minoranze linguistiche, ai sensi del richiamato art. 3 della legge n. 482 del 1999. Contrariamente a quanto asserito dalla Corte d’appello, non è compito del giudice penale svolgere una verifica della legittimità di tale delibera sotto il profilo del rispetto delle condizioni previste dal richiamato art. 3 per la sua adozione, perché il suo sindacato deve ritenersi limitato al riscontro di macroscopiche violazioni di legge risultanti dall’atto nei soli casi - diversi da quello qui in esame - in cui l’atto costituisca presupposto di reato ex plurimis, sez. 1, 11 giugno 2009, n. 28849, rv. 244296 . Ed è pacifico che il comune di Terralba sia stato incluso tra quelli nei quali è presente una minoranza linguistica sarda da tutelare. 5.1.3. - Da quanto precede consegue, per il caso di specie, che il decreto di citazione per il giudizio di appello deve essere ritenuto nullo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 109, commi 2 e 3, cod. proc. pen. con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla posizione di M.S. , in relazione alla quale residua come si vedrà - la sola condotta di cui al capo A dell’imputazione. 5.2. - Venendo ora al primo dei motivi di doglianza comuni ai due imputati - con cui si contestano la violazione dell’art. 34 cod. proc. pen. e la mancanza di motivazione, essendo stata pronunciata la sentenza di merito da un giudice che era già stato estensore di un’ordinanza del Tribunale del riesame in materia di sequestro preventivo nell’ambito dello stesso procedimento - deve rilevarsi che lo stesso è inammissibile. Va premesso che questa Corte ha costantemente affermato il principio secondo cui non integra indebita manifestazione del convincimento del giudice il solo fatto di aver applicato nel corso del procedimento una misura cautelare reale, atteso che l’adozione di quest’ultima prescinde da qualsiasi valutazione sulla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza in capo all’imputato. Nondimeno, costituisce indebita manifestazione di convincimento del giudice, integrante l’ipotesi di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, lettera b , cod. proc. pen., l’anticipazione della sua opinione sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato, senza che essa sia imposta o giustificata dalle sequenze procedimentali, e senza che vi sia necessità e nesso funzionale con il provvedimento incidentale adottato quindi, al di fuori di qualsiasi collegamento o legame con l’esercizio delle funzioni giurisdizionali inerenti al fatto esaminato ex multis, sez. un., 27 settembre 2005, n. 41623, rv. 232067 sez. 1, 15 giugno 2007, n. 35208, rv. 237627 sez. 4, 7 marzo 2013, n. 24769 . Ne deriva, quanto al giudizio di cassazione, che la ricorrenza in concreto dei presupposti per ritenere configurabile un indebito convincimento del giudice deve essere espressamente dedotta dalla parte, non essendo di per sé sufficiente, a tal fine, che il giudice si sia già pronunciato in sede cautelare reale. A ciò deve aggiungersi che, in ogni caso, l’esistenza di cause di incompatibilità ex art. 34 cod. proc. pen., non incidendo sulla capacità del giudice, non determina la nullità dei provvedimenti adottati, ma costituisce esclusivamente motivo di ricusazione, che deve essere fatto valere tempestivamente con la procedura di cui all’art. 37 cod. proc. pen. ex plurimis, sez. 2, 5 marzo 2015, n. 12896, rv. 262780 sez. 6, 4 giugno 2013, n. 25013, rv. 257033 sez. 3, 4 febbraio 2016, n. 20744, rv. 266567 . E non risulta che gli imputati abbiano mai proposto istanza di ricusazione nel caso in esame. 5.3. - Il secondo motivo - riferito alla valenza politico-mediatica della vicenda, collegata alla proclamazione dell’indipendenza dell’isola - è formulato in modo non specifico. La difesa si limita a dedurre l’erronea applicazione degli artt. 633 e 639 bis cod. pen., sostenendo - senza alcun riferimento critico alla motivazione della sentenza impugnata - che non vi sarebbe stata invasione di terreni richiama, inoltre, una circostanza del tutto irrilevante ovvero che l’isola è una nota meta turistica sulla quale si recano ogni anno migliaia di persone, tra le quali gli imputati. E, in contraddizione con tale ultima affermazione, attribuisce agli stessi imputati l’ aver mantenuto il possesso dell’isola per il tempo. 5.4. - Quanto, poi, al motivo di doglianza relativo all’erronea applicazione dell’art. 181, comma 1-bis, del d.lgs. n. 42 del 2004, deve rilevarsi che lo stesso non ha per oggetto la responsabilità penale in quanto tale, ma solo l’applicabilità della causa di estinzione del reato prevista dal successivo comma 1-quinquies dello stesso articolo. Si tratta di una censura formulata in modo non specifico, perché riferita alla rimozione delle opere da parte della polizia giudiziaria, che avrebbe impedito, per ragioni non precisate, una del tutto ipotetica ed eventuale rimozione delle stesse da parte degli imputati. La questione - irrilevante ai fini della responsabilità civile - risulta comunque superata, ai fini penali, dall’intervenuta prescrizione del reato. Deve infatti ricordarsi che la Corte costituzionale, con sentenza 11 gennaio - 23 marzo 2016, n. 56 in G.U. la s.s. 30 marzo 2016, n. 13 , ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 , nella parte in cui prevede a ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori b ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed . La conseguenza di tale pronuncia sul reato oggetto del presente procedimento è la sua la riqualificazione ai sensi dell’art. 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, fattispecie contravvenzionale residuale alla quale l’abuso paesaggistico commesso dagli imputati risulta riconducibile. E, quanto alla prescrizione di tale reato, dall’esame degli atti risulta che il relativo termine complessivo - che è di cinque anni trattandosi di reato contravvenzionale - è ampiamente decorso prima della pronuncia della sentenza impugnata e della presente sentenza, trattandosi di un fatto la cui permanenza risulta cessata alla data del sequestro 30 gennaio 2009 , senza che risultino dagli atti cause di sospensione della prescrizione. 5.5. - Deve essere inoltre rilevata l’intervenuta prescrizione del reato di cui al capo A dell’imputazione, limitatamente alla condotta dell’11 settembre 2008, essendo già decorso il relativo termine di sette anni e sei mesi termine che non è invece ancora decorso per la condotta successiva, contestata come in atto almeno fino al momento del sequestro 30 gennaio 2009 . 6. - In conclusione la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, per essere il reato di cui al capo A , limitatamente alla condotta dell’11 settembre 2008, e il reato di cui al capo B , riqualificato ai sensi dell’articolo 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, estinti per prescrizione con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari, quanto alla residua condotta di cui al capo A dell’imputazione, limitatamente alla posizione di M.S. . Il ricorso di Ma.Sa. deve essere nel resto rigettato, con conferma delle statuizioni civili nei suoi confronti. L’intervenuta dichiarazione di prescrizione del reato paesaggistico impone la revoca dell’ordine di rimessione in pristino impartito. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, per essere il reato di cui al capo A , limitatamente alla condotta dell’11 settembre 2008, e il reato di cui al capo B , riqualificato ai sensi dell’articolo 181, comma 1, del d.lgs. n. 42 del 2004, estinti per prescrizione con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari, quanto alla residua condotta di cui al capo A dell’imputazione, limitatamente alla posizione di M.S Rigetta nel resto il ricorso di M.S. , con conferma delle statuizioni civili nei suoi confronti. Revoca l’ordine di rimessione in pristino.