Tempestata di messaggi e pedinata: solida l’ipotesi dello stalking

Vittima una donna, perseguitata da un’altra donna. Inequivocabili i comportamenti ossessivi messi in atto, tra cui pedinamenti e messaggi intimidatori e denigratori. Significativa la reazione della persona presa di mira ella ha addirittura preso l’abitudine di tenere le finestre completamente chiuse stando in casa.

Messaggi intimidatori e pedinamenti. Vittima una donna. A sorpresa, però, la presunta responsabile della persecuzione è un’altra donna. A prescindere dai soggetti coinvolti, però, gli effetti delle condotte messe in atto sono evidenti difficile non parlare di stalking. Cassazione, sentenza n. 44355/16, sezione Quinta Penale, depositata il 20 ottobre Stile di vita . Nessun dubbio per i giudici del Tribunale inevitabile la condanna per il reato di atti persecutori . Di parere opposto, invece, i giudici d’appello, che escludono l’ipotesi dello stalking , esaminando in maniera frazionata i comportamenti della donna finita sotto accusa. E proprio questa ottica viene ritenuta non corretta dai magistrati della Cassazione. Molto più logica, difatti, sarebbe stata una valutazione organica dell’intera vicenda, così da leggere in maniera complessiva non solo le azioni della stalker ma anche le ripercussioni subite dalla vittima. Su quest’ultimo fronte, in particolare, viene evidenziato che la donna presa di mira, oggetto di messaggi intimidatori e denigratori e di veri e propri pedinamenti , ha modificato radicalmente il proprio stile di vita, rinunciando spesso ad uscire, cambiando i percorsi nelle strade che percorreva abitualmente e arrivando addirittura a tenere sempre chiuse le finestre quando era in casa . Una volta considerati questi elementi, va riesaminata con attenzione l’intera vicenda, concludono i magistrati, affidando il compito ai giudici d’appello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 settembre – 20 ottobre 2016, numero 44355 Presidente Nappi – Relatore Morelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Genova ha parzialmente riformato la sentenza dei Tribunale di Genova dei 10.10.13, che aveva condannato T. J. in ordine al reato di atti persecutori in danno di G. S., ritenendo configurabili i diversi reati di ingiuria e molestie, con declaratoria di prescrizione della contravvenzione, rideterminazione della pena e conferma delle statuizioni civili. 2. Propone ricorso il Pubblico Ministero denunziando la mancanza e e la manifesta illogicità della motivazione, essendo stato omesso qualunque riferimento alle risultanze processuali valorizzate, invece, dal giudice di primo grado, vale a dire il numero ed il tenore dei messaggi inviati dall'imputata alla parte offesa, dal contenuto fortemente denigratorio, minatorio ed offensivo l'intrusione sistematica nella vita della parte offesa, attuata tramite pedinamenti ed appostamenti il timore, in capo alla G., per la propria incolumità e la necessità di modificare il proprio stile di vita, così da scongiurare qualunque contatto, anche causale, con l'imputata Considerato in diritto 1. In tema di motivazione della sentenza, il giudice di appello che, in radicale riforma della sentenza di condanna di primo grado, pronunci sentenza di assoluzione ha l'obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di condanna, essendo necessario scardinare l'impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova Sez. 5, numero 21008 del 06/05/2014 Rv. 260582 Sez. 2, numero 50643 del 18/11/2014 Rv. 261327 e giurisprudenza conforme . 1.1. La sentenza impugnata non rispetta il principio di diritto enunciato in quanto analizza soltanto una parte delle prove indicate dal giudice di primo grado, oppone ad una valutazione organica di esse un esame frazionato e nega, infine, l'esistenza della prova dell'evento dei reato in termini non rispondenti ai principi più volte espressi da questa Corte sul tema. 1.2. Va infatti ricordato che In tema di atti persecutori, la prova dello stato d'ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato può essere dedotta anche dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente, qualora questi siano idonei a determinare in una persona comune tale effetto destabilizzante Sez. 5, numero 24135 del 09/05/2012 Rv. 253764. 2. La motivazione della sentenza impugnata si presenta quindi del tutto carente nei punti in cui - apoditticamente limita a due sole occasioni i contatti fra imputata e parte offesa, mentre nella sentenza di primo grado si fa riferimento ad una situazione continua e protratta nel tempo, neppure interrotta dalle denunce e dalla esecuzione della misura cautelare - svaluta il tenore intimidatorio e denigratorio dei messaggi, anche in questo caso apoditticamente affermando che non vi è prova che l'imputata abbia inviato il messaggio ti uccido e trascurando, inoltre, i messaggi in cui si fa riferimento alla morte della madre della parte offesa per mano del compagno convivente - esclude la prova dell'evento del reato affermando che' il delitto non è apprezzabile sotto un profilo soggettivo se la soggettività non ha radici in una comprovata oggettività , dimenticando che la prova dello stato di ansia e di paura può essere dedotta dalla natura dei comportamenti tenuti dall'agente e, comunque, apoditticamente svalutando le risultanze enunciate dal Tribunale, secondo cui la G. aveva modificato il proprio stile di vita rinunciando spesso ad uscire, tenendo sempre chiuse le finestre quando era in casa e cambiando i percorsi nelle strade che percorreva abitualmente. 3. Per esprimere un giudizio di insussistenza della piena prova degli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 612 bis c.p., in difformità rispetto a quanto ritenuto dal primo giudice, la Corte d'Appello, a cui si rinviano gli atti per un nuovo esame, dovrà prendere in considerazione e congruamente confutare tutti gli elementi e tutti gli argomenti esaminati dal Tribunale. 4.La parte civile non può ottenere la rifusione delle spese processuali all'esito dei giudizio di legittimità che si è concluso con l'annullamento con rinvio, ma può far valere le proprie pretese nel corso ulteriore del processo, in cui il giudice di merito dovrà accertare la sussistenza, a carico dell'imputato, dell'obbligo di rifusione delle spese giudiziali in base al principio della soccombenza, con riferimento all'esito dei gravame Sez.5 numero 25469 del 23.4.14 Rv.262561 5. La natura dei reati impone particolari cautele nella diffusione del presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi P.Q.M. Annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Genova per nuovo esame Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 d.lgs.196/03