Favorisce e sfrutta l’attività di prostituzione della moglie: adeguata solo la misura cautelare custodiale

In tema di arresti domiciliari, la valutazione circa l’inidoneità del luogo domiciliare a svolgere la funzione di contenimento della pericolosità sociale dell’imputato e di neutralizzazione del pericolo di reiterazione criminosa ha valore assorbente e pregiudiziale rispetto alla possibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 43728/16, depositata il 17 ottobre. Il caso. L’indagato era destinatario di un’ordinanza cautelare avente ad oggetto la custodia in carcere per il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione della moglie e di un’altra donna, vittima quest’ultima altresì del reato di estorsione e di tentata estorsione attuata mediante minacce di morte. Il Tribunale del riesame confermava l’ordinanza, non accogliendo neppure la richiesta di sostituzione della misura carceraria con quella domiciliare. Meretricio come spontaneo espediente provvisorio per superare la crisi economica? L’indagato sosteneva nel ricorso di essersi innamorato della moglie e di averla sottratta alla vita di strada e all’attività di meretricio da ella svolta. L’attività veniva a suo dire ripresa a seguito di spontanea decisione della moglie, quale conseguenza di una crisi economica che investì la famiglia e che portò l’uomo vicino al suicidio. Secondo tale ricostruzione, la donna riprese l’attività di prostituta contro il parere del coniuge e per un tempo limitato, quale misura provvisoria per fronteggiare la crisi economica. Quanto all’altra donna, secondo la difesa, anche questa sceglieva di prostituirsi di propria volontà. Di contro, il Tribunale del riesame investito del ricorso avverso l’ordinanza cautelare aveva affermato che il ricorrente accompagnava la moglie sul luogo del meretricio, la coadiuvava nell’attività di prostituzione traendo da tale attività i mezzi di sussistenza. Tali comportamenti integravano i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Agevolare l’attività consapevolmente. Integra infatti il reato di favoreggiamento della prostituzione qualsiasi condotta consapevole che si risolve in una concreta agevolazione dell’altrui meretricio. La giurisprudenza ha chiarito sul punto che accompagnare la prostituta sul luogo di lavoro integra il reato. Sotto il profilo oggettivo, infatti, integra il reato qualunque attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio del meretricio. Sotto il profilo soggettivo, invece, è irrilevante il movente dell’azione integra il profilo soggettivo la consapevolezza di agevolare il commercio altrui del proprio corpo. Sostituzione della custodia cautelare con gli arresti domiciliari? Il provvedimento impugnato, motivando in relazione all’adeguatezza della misura cautelare custodiale ha sottolineato la sistematicità delle condotte illecite ascritte all’indagato nonché l’assenza, da parte dello stesso, di remore nell’approfittare del meretricio della moglie e, infine, la persistente carenza di mezzi autonomi di sussistenza. Tali elementi – in uno con l’assenza di un idoneo domicilio per l’esecuzione degli arresti domiciliari – giustificano la misura della custodia in carcere. Sul punto viene chiarito che l’abitazione della moglie, già in precedenza adibita a residenza coniugale, non poteva identificarsi con il luogo della custodia domestica. Allo stato degli atti, secondo il Tribunale del riesame, era necessario impedire al ricorrente di approfittare di nuove e favorevoli occasioni per continuare a sfruttare la moglie e vivere dei proventi della sua attività. L’abitazione coniugale non è idoneo domicilio per gli arresti domiciliari nel caso di convivenza tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato. Ad avviso del Tribunale sussisteva un concreto ed attuale pericolo di reiterazione criminosa di conseguenza, l’abitazione in cui l’indagato coabitava con la moglie, soggetto passivo dei reati di favoreggiamento e di sfruttamento della prostituzione, non era adatta quale luogo dell’esecuzione degli arresti domiciliari. Al caso in esame non è pertanto applicabile il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere il giudice deve sempre motivare circa l’inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, salve le ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza. Ad avviso della Suprema Corte che condivide la decisione del Tribunale del riesame, il giudizio sull’inidoneità del luogo di abitazione a svolgere la funzione di contenimento della pericolosità sociale dell’imputato ha valore assorbente e pregiudiziale rispetto alla possibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza id est , braccialetto elettronico . In assenza di altre possibili sistemazioni logistiche, infatti, la valutazione di inidoneità dell’abitazione preclude ogni possibilità concreta di custodia domiciliare. Soggetto attivo e soggetto passivo del reato non possono convivere. Nella fattispecie, ad impedire una valutazione positiva è la circostanza che non è giustificato consentire che nello stesso luogo si radicalizzi il contatto tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato. Una tale evenienza renderebbe ancor più concreto e attuale il pericolo della reiterazione criminosa specifica, potendo l’indagato proseguire nello sfruttamento della moglie e vivere dei proventi della prostituzione. Del resto, la Corte non manca di osservare che tale attività può essere esercitata anche in luoghi diversi dal domicilio e su induzione del coniuge che è sprovvisto di autonomi mezzi di sostentamento economico. Ne deriva che non è convincente neppure la tesi del ricorrente secondo cui la necessaria sua presenza nel domicilio sarebbe ostativa alla condotta di accompagnamento della moglie in altri luoghi dove esercitare il meretricio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 settembre – 17 ottobre 2016, n. 43728 Presidente Carcano – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. L.P. ricorre per cassazione impugnando l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame di Venezia ha confermato l’ordinanza cautelare emessa in data 18 marzo 2016 dal Gip del tribunale di Padova per il reato di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione della moglie B.E. , detta M. , e di tale V.C.C. nonché reputando sussistenti in danno della seconda, esercente il meretricio, anche i gravi indizi di colpevolezza del reato di estorsione e di tentata estorsione in relazione a due distinte ipotesi estorsive, attuate anche tramite minacce di morte in danno di P.A. la prima consumata in data omissis ed avente ad oggetto la somma di 140 Euro e la seconda rimasta allo stato del tentativo, realizzata, in ipotesi accusatoria, nel omissis al fine di ottenere parte della pensione riscossa dalla vittima. 2. Per l’annullamento dell’impugnata ordinanza il ricorrente articola, tramite il difensore, due motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione. Con essi il ricorrente deduce l’inosservanza di norme processuali nonché l’illogicità della motivazione articolo 606, comma 1, lettere c ed e del codice di procedura penale , sul rilievo che il tribunale non avrebbe tenuto conto dell’evidenza risultante dalla stessa ordinanza cautelare secondo la quale l’indagato non aveva commesso alcun fatto sussumibile quale sfruttamento della prostituzione di V.C. . Sostiene il ricorrente di essersi innamorato dell’attuale moglie che sottrasse alla vita da strada, sposandola. A seguito di una crisi economica familiare, che vide un tentativo di suicidio da parte del ricorrente, la moglie, spontaneamente e pur con la contrarietà del marito che subordinò l’accettazione di tale decisione alla provvisorietà della condotta, decise di contribuire al mantenimento del nucleo familiare riprendendo provvisoriamente il meretricio. Quanto a V.C. , la stessa domiciliava nel medesimo residence e corrispondeva autonomamente e direttamente alla proprietà locatrice la propria quota dell’occupazione dell’alloggio e pro quota provvedeva anche alla divisione delle spese per gli alimenti, con la conseguenza che non sarebbero ravvisabili i gravi indizi colpevolezza dei reati contestati primo motivo . Lamenta inoltre l’inosservanza di norme processuali e l’illogicità della motivazione del rigetto di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, eventualmente anche con l’uso del braccialetto elettronico articolo 606, comma 1, lettere c ed e del codice di procedura penale , sul rilievo che la V. non abiterebbe più nello stesso immobile e la necessitata presenza in casa dell’indagato impedirebbe l’accompagnamento della moglie sul luogo del meretricio e quindi la misura sostitutiva apparirebbe idonea alla tutela delle esigenze cautelari eventualmente ritenute con riferimento alla ipotesi del favoreggiamento. Siccome risulta dagli atti che quando la moglie riceveva in casa i clienti l’indagato si allontanava, la sua presenza in casa agli arresti domiciliari impedirebbe che la moglie possa esercitare la prostituzione all’interno delle mura domestiche e di conseguenza anche lo sfruttamento della prostituzione stessa secondo motivo . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e per aspecificità dei motivi dedotti, i quali sono stati sollevati prescindendo del tutto dalla motivazione del provvedimento impugnato. 2. Quanto al primo motivo di impugnazione, il Collegio cautelare, nel disattendere la tesi difensiva, secondo la quale le donne si prostituivano di loro spontanea volontà con la conseguenza che le condotte del ricorrente non avrebbero assunto rilevanza penale per non essere sussumibili nell’ambito della fattispecie descritta dall’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, ha affermato che i comportamenti dell’indagato si sono risolti nell’accompagnare la moglie sul luogo del meretricio, nel coadiuvarla nell’attività di prostituzione e nel trarre da tale attività i mezzi di sussistenza, integrando pienamente i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, fattispecie, quest’ultima, integrata anche con riferimento all’attività della V. , atteso l’accompagnamento non occasionale di questa da parte del ricorrente sul luogo del meretricio. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di favoreggiamento della prostituzione, è irrilevante il movente dell’azione, in quanto è sufficiente ad integrare il reato qualsiasi condotta consapevole che si risolve in una concreta agevolazione dell’altrui meretricio e, dunque, anche l’accompagnamento della prostituta sul luogo del meretricio, con qualsiasi modalità o motivo per il quale esso avvenga, integra il reato di favoreggiamento della prostituzione Sez. 3, n. 11575 del 04/02/2009, Piai, Rv. 243121 , che infatti si concreta, sotto il profilo oggettivo, in qualunque attività idonea a procurare favorevoli condizioni per l’esercizio della prostituzione in particolare, nell’accompagnamento, in quanto tale attività conferisce alla persona che si prostituisce la garanzia della presenza ed eventuale assistenza , mentre sotto il profilo soggettivo è sufficiente la consapevolezza di agevolare il commercio altrui del proprio corpo, senza che abbia rilevanza il movente dell’azione che, pertanto, deve essere ritenuto ininfluente ai fini della sussistenza del reato Sez. 3, n. 12791 del 16/10/1987, Vaglini, Rv. 177261 . Quindi, da un lato, il motivo di gravame è manifestamente infondato e, dall’altro, si risolve in una censura generica in quanto la doglianza è del tutto disancorata dalla ratio decidendi dell’ordinanza impugnata. 3. Anche il secondo motivo di gravame è affetto dai medesimi vizi. Sulla reclamata sostituzione degli arresti domiciliari, in luogo della custodia cautelare in carcere, il ricorrente ha del tutto omesso di confrontarsi con la motivazione del tribunale del riesame il quale ha ampiamente sottolineato come la sistematicità delle condotte illecite del ricorrente, l’assenza da parte del L. di remore nell’approfittare del meretricio della moglie e la persistente carenza in capo al ricorrente stesso di autonomi mezzi di sussistenza giustificassero la misura della custodia cautelare in carcere, stante anche la mancanza di un domicilio idoneo per l’esecuzione di eventuali arresti domiciliari non potendo l’abitazione della moglie, sia pure in precedenza adibita ad abitazione coniugale, identificarsi con il luogo della custodia domestica, trattandosi di una valutazione, allo stato degli atti, imposta anche dalla necessità di impedire al ricorrente di approfittare di nuove e favorevoli occasioni per continuare a sfruttare la moglie e vivere ancora dei proventi della sua prostituzione. Nel pervenire a tale conclusione, il Collegio cautelare, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicità, ha ritenuto, in presenza di un concreto ed attuale pericolo di reiteratio criminis , inadatto per l’esecuzione degli arresti domiciliari il luogo in cui coabitano colui che è colpito da gravi indizi di colpevolezza e il soggetto passivo del reato tale è la qualità che deve essere riconosciuta alla prostituta nei reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, per tutte, Sez. 3, n. 44915 del 23/04/2014, Di Primo, Rv. 261382 , tanto in considerazione dell’abituale condotta delittuosa realizzata, nel caso di specie, dal primo nei confronti del secondo. Da ciò consegue che, rispetto al contenuto della mossa doglianza, non è applicabile al caso in esame il principio di diritto affermato recentemente dalle Sezioni Unite secondo il quale, in tema di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 47 del 2015, ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, Lovisi, Rv. 266651 . Infatti, nel caso di specie, il giudizio del tribunale del riesame sull’inadeguatezza degli arresti domiciliari, con riferimento all’inidoneità, allo stato degli atti, del luogo di abitazione sul piano del contenimento, in itinere iudicii , della pericolosità sociale dell’imputato, ha un valore assorbente e pregiudiziale rispetto alla possibilità di impiego di uno degli strumenti elettronici di controllo a distanza previsti dall’art. 275-bis cod. proc. pen., trattandosi di una valutazione che, in difetto di altre possibili sistemazioni logistiche, preclude ogni possibilità concreta di una custodia domiciliare, con o senza braccialetto elettronico Sez. 2, n. 3696 del 15/12/2015, dep. 2016, H., Rv. 265786 , in quanto non si tratta di monitorare continuamente la presenza dell’indagato nel perimetro entro il quale deve rimanere custodito e gli è permesso di muoversi, ma di non consentire che nello stesso luogo si radicalizzi il contatto tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, che renderebbe, sia pure limitatamente al reato di sfruttamento della prostituzione, ancora più concreto ed attuale il pericolo di ripetizione criminosa specifica che la misura cautelare tende invece a contrastare, potendo il ricorrente, come per il passato, proseguire nello sfruttamento della moglie e vivere ancora dei proventi della sua prostituzione, che può essere esercitata anche fuori dal domicilio e su induzione del ricorrente, sprovvisto di autonomi mezzi di sostentamento economico, atteso che lo sfruttamento del meretricio si realizza con il trarre una qualsiasi utilità dall’attività sessuale della prostituta e richiede la cosciente volontà del colpevole di trarre vantaggio economico dalla prostituzione mediante partecipazione totale o parziale di guadagni che la donna ottiene dall’attività di prostituzione Sez. 3, n. 9065 del 11/07/1996, Marrone, Rv. 206418 , derivando da tutto ciò anche la manifesta infondatezza del secondo motivo di impugnazione. 4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.