La valutazione ex ante dell’offensività nel reato di atti osceni

Il reato di atti osceni ha natura di reato di pericolo e, dunque, la visibilità degli atti e la astratta possibilità che vi assistano dei minori deve essere valutata ex ante, in relazione al luogo e all’ora in cui la condotta sia posta in essere.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 41130/16 depositata il 3 ottobre. Il caso. Il gip condannava un imputato alla pena della reclusione per avere questi, all’interno di un’attività commerciale, compiuto atti osceni consistiti nell’infilare la mano nella tasca dei pantaloni toccandosi i genitali fino a raggiungere l’eiaculazione nonostante la presenza di passanti e impiegati, aggravato dall’aver commesso il fatto all’interno di luoghi aperti al pubblico frequentati anche da minori. Il Procuratore Generale presso la Corte d’appello propone ricorso avverso la suddetta sentenza denunciando violazione di legge penale lamentando l’omessa considerazione dell’inoffensività in concreto della condotta dell’imputato e della lieve tenuità del atto ex art. 131- bis c.p. e denunciando vizio di motivazione in ordine alla lesività in concreto della condotta dell’imputato. Una questione di fatto. La Suprema Corte rileva che il pm tende, in realtà, a conseguire una rivisitazione dell’accertamento della vicenda in punto di fatto compiuto dal giudice di primo grado, prospettando l’inoffensività delle condotte ascritte all’imputato e la loro particolare tenuità, sulla base di una diversa ricostruzione della vicenda. Ciò non è però ammissibile nel giudizio di legittimità se non in presenza di vizi della motivazione, nella specie non ravvisabili. Atti osceni. Il reato di atti osceni ha natura di reato di pericolo e, dunque, la visibilità degli atti e la astratta possibilità che vi assistano dei minori deve essere valutata ex ante , in relazione al luogo e all’ora in cui la condotta sia posta in essere Cass. n. 44214/12 . Tale valutazione è stata correttamente compiuta dal primo giudice che ha ritenuto, con accertamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, sia che gli atti compiuti fossero visibili, sia che il luogo fosse frequentato da minori, comportando dunque l’applicabilità dell’aggravate di cui al comma 2 dell’art. 527 c.p La depenalizzazione. È irrilevante la sopravvenuta depenalizzazione della fattispecie non aggravata di cui all’art. 527, comma 1, c.p. a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 che ha configurato tale fattispecie come illecito amministrativo. Ciò in quanto la responsabilità dell’imputato è stata riconosciuta nel caso di specie in ordine alla fattispecie aggravata di cui al comma 2 dell’art. 527 c.p., rimasta inalterata a seguito della novella legislativa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 aprile – 3 ottobre 2016, n. 41130 Presidente Rosi – Relatore Liberati Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dei 10 luglio 2014 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato G. M. alla pena di un mese e quindici giorni di reclusione per il reato di cui all'art. 527 cod. pen. per avere, all'interno di una attività commerciale, compiuto atti osceni consistiti nell'infilare la mano nella tasca dei pantaloni toccandosi i genitali fino a raggiungere eiaculazione nonostante la presenza di passanti e impiegati , aggravato dall'aver commesso il fatto all'interno di luoghi aperti al pubblico abitualmente frequentati anche da minori. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d'appello, affidato a due motivi, così riassunti entro i limiti previsti dall'art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione di legge penale, in riferimento agli artt. 49 e 527 cod. pen., lamentando l'omessa considerazione della inoffensività in concreto della condotta dell'imputato e della lieve tenuità dei fatto ai sensi dell'art. 131 bis cod. pen. 2.2. Con un secondo motivo ha denunciato vizio di motivazione in ordine alla lesività in concreto della condotta dell'imputato. Considerato in diritto Il ricorso dei Pubblico Ministero è infondato. Mediante le censure formulate con entrambi i motivi di ricorso il Pubblico Ministero tende, in realtà, a conseguire una rivisitazione dell'accertamento della vicenda in punto di fatto compiuto dal primo giudice quanto alle condotte concretamente poste in essere dall'imputato e, soprattutto, alla loro percezione da parte dei passanti ed alle caratteristiche dei luogo in cui le stesse si verificarono , prospettando per tale via l'inoffensività delle condotte ascritte all'imputato e la loro particolare tenuità, sulla base di una diversa ricostruzione della vicenda, secondo cui le condotte dell'imputato non sarebbero state notate dalle persone presenti, e, quindi, sarebbero prive di concreta offensività o, comunque, non punibili per la loro particolare tenuità, deducendo anche un vizio di motivazione al riguardo. Attraverso tale prospettazione, tuttavia, il Pubblico Ministero tende a conseguire una diversa ricostruzione del fatto, fondata sulla mancata percezione da parte di terzi e soprattutto da parte di minori di quanto compiuto dall'imputato, non ammissibile nel giudizio di legittimità se non in presenza di vizi della motivazione, nella specie non ravvisabili, in quanto il Tribunale è pervenuto alla affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine al delitto aggravato, così come contestato, sulla base di quanto riferito dagli astanti a proposito della condotta dell'imputato, sottolineando come questi ne ebbero una chiara ed inequivoca percezione, e delle caratteristiche del luogo in cui vennero poste in essere un esercizio commerciale frequentato da una moltitudine indifferenziata di persone, tra cui anche minori , con la conseguente sussistenza del presupposto per la configurabilità della aggravante contestata. II reato di atti osceni ha, infatti, natura di reato di pericolo e, pertanto, la visibilità degli atti e la astratta possibilità che vi assistano dei minori deve essere valutata ex ante, in relazione al luogo ed all'ora in cui la condotta sia posta in essere Sez. 6, n. 44214 dei 24/10/2012, Natali, Rv. 254794 Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239838 Sez. 3, n. 4954 dei 17/12/1999, Moresco, Rv. 216562 . Tale valutazione è stata correttamente compiuta dal primo giudice, che, sulla base delle natura e delle caratteristiche del luogo in cui venne posta in essere la condotta incriminata un esercizio commerciale di rilevanti dimensioni nel quale si trovavano esposti per la vendita generi vari, come tale potenzialmente frequentato anche da minori , ha ritenuto, con accertamento in fatto non censurabile nel giudizio di legittimità, sia che gli atti compiuti fossero visibili, sia che il luogo fosse frequentato da minori, con la conseguente sussistenza del reato aggravato contestato all'imputato. Ciò comporta l'infondatezza dei rilievi sollevati dal Pubblico Ministero ricorrente, stante la logica ricostruzione della vicenda compiuta dal primo giudice, corretta sul piano del diritto e non sindacabile in linea di fatto. Ne consegue l'irrilevanza della sopravvenuta depenalizzazione della fattispecie non aggravata di cui all'art. 527, comma 1, cod. pen., a seguito della entrata in vigore dei d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 8 pubblicato nella G.U. n. 17 dei 22/1/2016 , che ha configurato tale fattispecie come illecito amministrativo, punito con la sanzione pecuniaria da euro 5.000 ad euro 30.000, lasciando inalterata la rilevanza penale dell'ipotesi di cui al secondo comma della medesima disposizione, con la previsione della applicabilità della reclusione da sei mesi a quattro anni e sei mesi poiché, come evidenziato, è stata riconosciuta la responsabilità dell'imputato in ordine alla fattispecie aggravata di cui all'art. 527, comma 2, cod. pen., quale contestatagli, e tale affermazione di responsabilità non risulta scalfita dal ricorso proposto dal Pubblico Ministero, va esclusa la depenalizzazione del fatto ascritto all'imputato. Per le medesime considerazioni risulta infondato anche il rilievo relativo alla non punibilità del fatto a cagione della sua lieve entità, in considerazione della sua modesta offensività. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno al riguardo chiarito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 . Tale valutazione può essere compiuta anche nel giudizio di legittimità, sulla base di un apprezzamento limitato alla astratta compatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici-criteri e gli indici-requisiti indicati dal legislatore, cui segue in caso di valutazione positiva, sentenza di annullamento con rinvio al giudice di merito Sez. 3, Sentenza n. 38380 del 15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264795, che in motivazione ha sottolineato come ciò consenta di contemperare l'obbligo di rilevazione d'ufficio, discendente dal disposto dell'art. 129 cod. proc. pen., con la fisiologia del giudizio di legittimità, che preclude valutazioni in fatto . Ora, nel caso in esame non emerge alcuna particolare tenuità del fatto, essendo sufficiente, per escluderla, considerare che, con una condotta potenzialmente assai pregiudizievole per l'interesse protetto ed in particolare per i minori potenzialmente esposti alla visione degli atti compiuti dall'imputato , l'imputato ha compiuto gli atti descritti nella imputazione in pieno giorno, all'interno di un esercizio commerciale e nonostante la presenza ed il passaggio di operai ed impiegati, ponendo le premesse per una potenziale ampia diffusione delle proprie condotte, con la conseguenza che essere esclusa l'esiguità del pericolo derivante dal reato commesso dall'imputato e con essa anche l'esclusione della punibilità per la particolate tenuità del fatto. Ne consegue, in definitiva, stante l'infondatezza di entrambi i profili cui è stato affidato, il rigetto del ricorso proposto dal Pubblico Ministero deve essere respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso dei Pubblico Ministero.