Commissionati lavori edilizi: ingiurie, minacce e percosse coronano i lavori difettosi

Nel caso di depenalizzazione prevista dal d.lgs. n. 7/2016 al giudice penale dell’impugnazione è precluso statuire sulle pretese civilistiche perché ciò impedirebbe l’esercizio dell’azione davanti al giudice competente sul risarcimento del danno l’autorità giudiziaria civile ed escluderebbe, di conseguenza, l’irrogazione della sanzione pecuniaria civile per gli illeciti oggetto di pronuncia irrevocabile, così contrastando con la ratio sottesa alla disciplina complessiva del d.lgs. n. 7/2016.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 40259/16, depositata il 27 settembre. Il caso. Il Giudice di Pace aveva condannato l’imputato per i reati di percosse, ingiurie e minaccia, fatti che risultavano l’epilogo di una controversia di natura civilistica con la persona offesa. In particolare, l’imputato aveva commissionato lavori edilizi alla persona offesa ma li aveva giudicati difettosi. Il Tribunale, quale giudice d’appello, confermava la condanna. Ingiuria depenalizzata. Come noto, il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 ha depenalizzato il reato di ingiuria che risulta oggi eliminato dal sistema degli illeciti penali. Logica conseguenza è che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, quanto all’ingiuria, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Relativamente agli altri reati, la pena deve essere rideterminata. La Suprema Corte ritiene che l’ abolitio criminis tolga ogni presupposto alla pretesa risarcitoria esercitata dalla parte civile nella sede del giudizio penale. L’azione civile nel processo penale. Di recente, la Corte Costituzionale è intervenuta precisando i contorni dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, affermando che la disciplina si ispira al principio della separazione e dell’autonomia di giudizi e che, in particolare, il danneggiato ha facoltà di scegliere se esperire l’azione civile in sede penale o attivare la tutela giurisdizionale nella sede naturale. Gli obiettivi propri dell’azione penale sono infatti quelli relativi all’accertamento della responsabilità penale dell’imputato. Qualora opti per la sede civilistica, il danneggiato non subisce alcuna preclusione di ordine temporale. L’esercizio dell’azione penale non comporta, di regola, la sospensione del processo civile nell’ambito del quale il giudicato penale di assoluzione non ha efficacia. Il giudizio civile infatti prosegue autonomamente nonostante la pendenza del processo penale la sospensione è un’ipotesi eccezionale prevista dalla legge in determinati casi. Condanna e statuizioni civili. Regola generale è quella per cui vi è un collegamento in via esclusiva tra la decisione sulle questioni civili e la condanna dell’imputato, regola di cui l’art. 578 c.p.p. costituisce un’eccezione per i casi di estinzione per amnistia o prescrizione. In detti casi, il giudice dell’impugnazione, se nei confronti dell’imputato è stata pronunciata condanna anche generica alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato a favore della parte civile, decide sull’impugnazione limitatamente agli interessi civili. La norma è funzionale ad evitare di frustrare gli interessi della parte civile uscita vittoriosa dal giudizio del grado precedente. La regola generale non è neppure depotenziata dalla previsione che consente al giudice dell’impugnazione di decidere sulla domanda al risarcimento e alle restituzioni a seguito dell’impugnazione della parte civile avverso la sentenza di assoluzione art. 576 c.p.p. . Per effetto dell’impugnazione della sola parte civile, limitatamente agli interessi civili, il giudice dell’impugnazione può rinnovare l’accertamento dei fatti posto a base della sentenza di assoluzione al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per illecito e rimuovere la pronuncia pregiudizievole agli interessi civili della parte civile. Il confine della cognizione del giudice civile a fronte di una sentenza assolutoria irrevocabile è rappresentato solo in alcuni casi da effetti extrapenali e cioè quando il giudice penale abbia accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima. In tali ipotesi, in presenza di una sopravvenuta abolitio criminis , l’impugnazione ai fini civili è lo strumento per contrastare, agli effetti civili, la formazione del giudicato assolutorio e gli effetti pregiudizievoli extrapenali che ne derivano. La depenalizzazione” e gli effetti civili. Solo uno dei decreti depenalizzazione” del 2016 ha previsto che quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Previsione analoga non è invece contenuta nel d.lgs. n. 7/2016 che concerne l’ abolitio criminis del delitto di ingiuria. Stante la natura eccezionale è preclusa un’interpretazione analogica della norma del d.lgs. n. 8/2016. Peraltro i due decreti legislativi hanno fondamenti differenti. Nel caso della depenalizzazione prevista dal d.lgs. n. 8/2016 la sanzione è irrogata dall’autorità amministrativa competente alla quale l’autorità giudiziaria trasmette gli atti residuando al giudice penale dell’impugnazione il compito di provvedere circa le statuizioni civili. Nel caso dell’abrogazione prevista dal d.lgs. n. 7/2016 la sanzione pecuniaria civile è irrogata dal giudice competente a conoscere l’azione di risarcimento del danno ed è questa l’ipotesi dell’ingiuria. Mancata notifica? L’imputato aveva lamentato vizio processuale relativo alla mancata notifica dell’avviso di deposito della sentenza. In proposito la Corte di Cassazione ha richiamato un precedente arresto che aveva chiarito che l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito della sentenza di primo grado comporta una nullità a regime intermedio che, se ritualmente eccepita, non è sanata dalla proposizione dell’appello da parte del difensore dell’imputato, con l’effetto che non decorrono per l’imputato i termini per la proposizione dell’impugnazione, con l’ulteriore conseguenza della nullità del decreto di citazione in appello e della sentenza emessa all’esito del relativo giudizio. Nel caso in esame, la Corte osserva che l’avviso del deposito della sentenza di primo grado effettuato presso il difensore aveva comportato ragionevolmente” per l’imputato la compiuta conoscenza delle motivazioni del provvedimento, ponendo l’interessato nella condizione di esercitare il diritto di impugnare la decisione anche autonomamente. È stato poi precisato che la fattispecie scrutinata attiene una notifica irregolare e non già omessa tout court giacché l’avviso era stato notificato in luogo diverso da quello prescelto dall’imputato mentre la notifica al difensore era immune da irregolarità. Il rapporto fiduciario tra legale ed assistito sana le irregolarità della notifica? La Suprema Corte ritiene che, considerato che il legale era il medesimo per tutte le fasi del processo, alcun vulnus avrebbe subito l’imputato. Sul punto afferma che il rapporto fiduciario esistente tra imputato e difensore – caratterizzato da continue, doverose e reciproche informazioni – rendeva la notificazione al difensore idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, in assenza di specifici elementi di segno contrario. Tale non è la mera allegazione, contenuta nel ricorso, dell’assenza di contatti tra legale ed assistito successivamente alla sentenza del Giudice di Pace, sull’assunto che l’imputato passerebbe vari mesi dell’anno all’estero, giacché la circostanza dell’assenza di contatti è stata meramente allegata e non documentata peraltro potendo esservi contatti anche telefonici o telematici .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 aprile – 27 settembre 2016, n. 40259 Presidente Bruno – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Il difensore di M.C. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito, in data 06/11/2013, dal Giudice di pace di Feltre. L’imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per i reati di percosse, ingiuria e minaccia, in ipotesi commessi in danno di C.A. come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata, i fatti contestati al M. si inseriscono in una controversia di natura civilistica con il C. , avendo l’imputato eseguito lavori edilizi commissionatigli dalla persona offesa, che poi li aveva ritenuti difettosi. Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta - violazione di legge processuale. Secondo la ricostruzione del ricorrente, il M. aveva ritualmente dichiarato domicilio, ex art. 161 cod. proc. pen., presso la propria abitazione di residenza, ma l’avviso conseguente al deposito della motivazione della sentenza di primo grado avvenuto oltre il termine di legge di 15 giorni gli fu notificato presso lo studio del difensore. In tal modo, l’imputato non sarebbe stato posto in condizione di appellare la pronuncia, indipendentemente dal rilievo che l’impugnazione risulta presentata dal suo avvocato. Per quanto la descritta nullità possa intendersi a regime intermedio, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, la relativa eccezione appare qui tempestivamente sollevata con l’erroneo rigetto da parte del Tribunale, sulla base del solo presupposto dell’esistenza di un atto di gravame, il che dimostrerebbe il raggiungimento dello scopo cui la norma è preposta , e ne deriva che la mancanza dell’avviso in favore del M. comporta che per costui non sia mai decorso il termine per proporre impugnazione. - inosservanza ed erronea applicazione di legge penale e processuale . La tesi difensiva è che la condotta di per sé legittima, tesa ad ottenere il pagamento di un proprio credito, qualora, per le modalità con le quali la stessa venga posta in essere, travalichi i limiti del lecito , non possa essere inquadrata nei reati di cui agli artt. 581 e 612 cod. pen. ciò anche nel caso di specie, dove sarebbe stato necessario ravvisare i presupposti del diverso delitto sanzionato dall’art. 393 cod. pen., sottratto alla competenza del Giudice di pace. Il ricorrente richiama plurimi riferimenti giurisprudenziali, secondo cui le minacce o le semplici percosse debbono intendersi assorbite nel reato di ragion fattasi, atteggiandosi ad elementi costitutivi di tale ipotesi criminosa. - violazione degli artt. 581, 594 e 612 cod. pen Il difensore del M. contesta che nel caso in esame sia stata raggiunta la prova della commissione dei reati de quibus ad opera del ricorrente il raffronto tra le versioni dei due protagonisti della vicenda è stato infatti risolto dai giudici di merito privilegiando quella del C. senza spiegare come mai la persona offesa dovrebbe considerarsi attendibile, avendo questi trovato smentita, ad esempio, nelle risultanze di alcuni tabulati telefonici , con l’apodittica affermazione che l’imputato non meriterebbe credito solo perché non gravato dall’obbligo di dire il vero. - inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 59, comma 4, e 599 cod. pen., nonché vizi di motivazione della sentenza impugnata. Quanto all’ingiuria, il Tribunale non avrebbe comunque affrontato il motivo di appello riguardante la ravvisabilità nel caso di specie di un comportamento provocatorio del C. , malgrado la difesa avesse prospettato che può intendersi ingiusto anche un fatto umano realizzato in violazione di norme morali, sociali o di costume, e che il turbamento cagionato nel M. dalla arbitraria ed improvvisa determinazione della controparte di non provvedere al pagamento del dovuto ben poté essere tale da indurlo in errore circa la sussistenza dell’esimente. - violazione di legge, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con riguardo all’entità del danno liquidato. Il difensore dell’imputato segnala che i giudici di merito non avrebbero esposto alcunché circa l’effettiva attitudine delle condotte in rubrica a cagionare un danno alla persona offesa, visto che il Giudice di pace provvide ad una apodittica quantificazione in via equitativa, senza illustrare i criteri seguiti per giustificare la propria decisione, mentre il Tribunale non risulta avere esaminato la doglianza mossa, sul punto, in sede di motivi di appello. 2. Il 06/04/2016 è pervenuta memoria di replica al ricorso del M. , da parte del difensore della parte civile. Sulla questione processuale sollevata con il primo motivo, il difensore del C. segnala che non risulta in alcun modo dimostrato che l’imputato - per effetto della notifica al suo legale, piuttosto che presso il domicilio eletto - non ebbe effettiva conoscenza dell’avvenuto deposito della sentenza di primo grado richiama inoltre la giurisprudenza di legittimità sull’effetto sanante sancito dall’art. 183, lett. b , cod. proc. pen., laddove la parte si sia avvalsa come nella specie, attraverso la presentazione dell’appello ad opera del difensore della facoltà al cui esercizio l’atto nullo si intenda strumentale. Nella vicenda in esame, peraltro, il M. risulta essere stato assente non già contumace nei vari gradi di giudizio, e sempre assistito dal medesimo avvocato. La parte civile non ritiene poi che la condotta dell’imputato sia stata realizzata volendo egli farsi ragione da sé, giacché lo scopo di ottenere il pagamento di un presunto credito risulta sconfessato dalle stesse frasi pronunciate dal ricorrente all’indirizzo del C. . Quanto alla valutazione del materiale probatorio acquisito, il Giudice di pace aveva congruamente chiarito le ragioni della ritenuta inattendibilità dell’imputato, al di là del riferimento all’inesistenza, per costui, dell’obbligo di rendere dichiarazioni secondo verità il M. era infatti stato smentito, ad esempio, sulle condizioni climatiche del giorno del diverbio. Parimenti da escludere era altresì l’invocata provocazione, ben sapendo il ricorrente che il C. aveva riscontrato dei difetti nei lavori eseguiti l’incontro fra i due, in particolare, era stato fissato proprio per valutare i problemi evidenziati, onde poter chiudere i conti. La valutazione equitativa dei danni, infine, costituiva nella fattispecie l’unico criterio praticabile per disporre una liquidazione monetaria in favore della persona offesa, sulla base di parametri discrezionali non suscettibili di sindacato in sede di giudizio di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso è in parte fondato, dovendosi preliminarmente prendere atto che, ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, l’art. 594 cod. pen. risulta abrogato ne deriva che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, in parte qua , perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Nella fattispecie, vi fu costituzione di parte civile con condanna del M. anche al risarcimento del relativo danno ma deve ritenersi che l’anzidetta aboliti criminis tolga ogni presupposto, in questa sede, alla pretesa risarcitoria. 1.1 Nella più recente giurisprudenza di questa Sezione v. Cass., Sez. V, n. 19516/2016, ric. Pianta , il tema è stato affrontato diffusamente, con argomenti che il collegio ritiene opportuno richiamare, prestandovi piena adesione si è osservato, in particolare, che la sentenza n. 12 del 2016 della Corte costituzionale ha delineato la fisionomia generale della disciplina dell’esercizio dell’azione civile nel processo penale, disciplina informata al principio della separazione e dell’autonomia dei giudizi il danneggiato può scegliere se esperire l’azione civile in sede penale o attivare la tutela giurisdizionale nella sede naturale. In questa seconda ipotesi, peraltro, egli non subisce alcuna limitazione di ordine temporale diversamente che sotto l’impero del codice del 1930, l’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto non comporta, di regola, la sospensione del processo civile, nell’ambito del quale l’eventuale giudicato penale di assoluzione non ha efficacia art. 652 cod. proc. pen. . Il giudizio civile di danno prosegue, dunque, autonomamente malgrado la contemporanea pendenza del processo penale art. 75, comma 2, cod. proc. pen. la sospensione rappresenta l’eccezione, che opera nei limitati casi previsti dall’art. 75, comma 3. In questa prospettiva, osserva ancora la sentenza n. 12 del 2016, l’art. 538, comma 1, cod. proc. pen. collega in via esclusiva la decisione sulla domanda della parte civile alla condanna dell’imputato , con l’unica eccezione fortemente circoscritta - stabilita dall’art. 578 cod. proc. pen. riguardante il giudizio di impugnazione. Il collegamento istituito dall’art. 538 cod. proc. pen. tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato riflette il carattere accessorio e subordinato dell’azione civile proposta nel processo penale rispetto agli obiettivi propri dell’azione penale obiettivi che si focalizzano nell’accertamento della responsabilità penale dell’imputato . La sentenza Pianta precisa ancora che il carattere fortemente circoscritto dell’eccezione, posta dall’art. 578 cod. proc. pen., alla regola generale del collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato trova conferma nel costante riferimento della giurisprudenza di questa Corte alla tassatività della previsione v. Cass., Sez. III, n. 22038 del 12/02/2003, Pludwinski, Rv 225321, che ha escluso l’applicabilità dell’art. 578 cod. proc. pen. al caso di estinzione del reato per morte dell’imputato e al carattere speciale della disciplina, non suscettibile di essere estesa analogicamente ad altre cause estintive . Né la regola generale del collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato è smentita dai poteri attribuiti al giudice dall’art. 576 cod. proc. pen. di decidere sulla domanda al risarcimento e alle restituzioni anche su impugnazione della parte civile avverso una sentenza di assoluzione come chiarito da Cass., Sez. U, n. 25083 dell’11/07/2006, ric. Negri, l’art. 576 e l’art. 578 disciplinano situazioni processuali diversificate, mirando l’art. 578, nonostante la declaratoria della prescrizione, a mantenere, in assenza di un’impugnazione della parte civile, la cognizione del giudice dell’impugnazione sulle disposizioni e sui capo della sentenza del precedente grado che concernono gli interessi civili, mentre l’art. 576 conferisce al giudice dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda al risarcimento ed alle restituzioni, pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto . L’art. 578 cod. proc. pen., osservano le Sezioni Unite, non rappresenta l’unica eccezione fatta dal legislatore al principio che il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga a una dichiarazione di responsabilità penale , in quanto l’art. 576 cod. proc. pen. sottolinea come, per effetto dell’impugnazione della sola parte civile, si possa rinnovare l’accertamento dei fatti posto a base della decisione assolutoria, al fine di valutare la sussistenza di una responsabilità per illecito e così ottenere una diversa pronunzia che rimuova quella pregiudizievole per i suoi interessi civili . Infatti, a fronte di una sentenza assolutoria irrevocabile pronunciata a seguito di dibattimento, il confine della cognizione del giudice civile è segnato soltanto in alcuni casi da effetti extrapenali del giudicato assolutorio, e specificamente quando il giudice penale abbia accertato che il fatto non sussista, o che l’imputato non lo abbia commesso o che il fatto sia stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima in tali ipotesi delineate dall’art. 652 cod. proc. pen. , in presenza di una sopravvenuta abolitio criminis , l’impugnazione della parte civile a norma dell’art. 576 cod. proc. pen. è il mezzo necessario per contrastare, agli effetti civili, la formazione del giudicato assolutorio e i pregiudizievoli effetti extrapenali che ne conseguirebbero. Fuori dalle ipotesi eccezionali indicate, resta fermo il principio generale in forza del quale il giudice penale in tanto può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente pervenga a una dichiarazione di responsabilità penale, ossia il collegamento in via esclusiva tra decisione sulle questioni civili e condanna dell’imputato di conseguenza, fuori dai casi in cui la disciplina introduttiva dell’ abolitio criminis preveda che il giudice dell’impugnazione decide sulla stessa ai soli effetti civili, nel giudizio sull’impugnazione dell’imputato avverso una sentenza di condanna agli effetti penali e agli effetti civili, il proscioglimento con la formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato preclude l’esame, ai fini dell’eventuale conferma, delle statuizioni civili . 1.2 La medesima sentenza segnala che non sono in contrasto con la conclusione appena evidenziata le pronunce in tema di revoca della sentenza di condanna per sopravvenuta abolitio criminis , la cui portata viene circoscritta agli effetti penali e con esclusione di quelli civili v. Cass., Sez. V, n. 4266/2006 del 20/12/2005, Colacito ciò in quanto diverso è il caso in esame, in cui una sentenza irrevocabile di condanna non è intervenuta, sicché non può essere superato il collegamento in via esclusiva sancito dall’art. 538, comma 1, cod. proc. pen. tra la decisione sulla domanda della parte civile e la condanna dell’imputato . Elementi di conferma dell’opzione interpretativa si ricavano invece esaminando la diversa disciplina dettata dall’art. 9 del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 come sottolineato nella sentenza Pianta, per gli illeciti oggetto della depenalizzazione introdotta da detto decreto, la seconda parte del comma 3 dell’art. 9 cit. stabilisce che quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili , norma, questa, estranea al d.lgs. n. 7 del 2016, che trova applicazione nel caso di specie. Né può prospettarsi un’applicazione analogica del richiamato art. 9, comma 3, ai casi di abrogazione di cui al d.lgs. n. 7 del 2016, ostandovi, in radice, l’eccezionalità che va riconosciuta alla norma in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità a proposito dell’art. 578 cod. proc. pen. Del resto, non si rinviene, nel raffronto tra le discipline dei due decreti legislativi, il presupposto dell’ eadem ratio . Nel caso di depenalizzazione a norma del d.lgs. n. 8, la sanzione prevista è irrogata dall’autorità amministrativa competente alla quale l’autorità giudiziaria deve trasmettere gli atti ex art. 9, comma 1 , sicché, definendosi nella sede amministrativa l’applicabilità delle sanzioni amministrative alle violazioni anteriormente commesse art. 8 , il legislatore ha attribuito al giudice dell’impugnazione penale il compito di provvedere sulle statuizioni civili. Nel caso, invece, di abrogazione a norma del d.lgs. n. 7, la sanzione pecuniaria civile è irrogata dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno di conseguenza, una previsione analoga a quella dell’art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8 del 2016 e a quella di cui all’art. 578 cod. proc. pen. , impedendo che il giudice civile sia investito dell’azione di risarcimento del danno con riferimento agli illeciti per i quali sia già intervenuta almeno la sentenza di condanna penale in primo grado, risulterebbe del tutto incoerente con la previsione in forza della quale le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili di cui al d.lgs. n. 7 del 2016 si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili art. 12, comma 1 . Per i casi in cui siano intervenuti sentenza o decreto non irrevocabili, l’applicabilità di una disciplina analoga a quella dell’art. 9, comma 3, d.lgs. n. 8 del 2016 e, dunque, la definizione, dinanzi al giudice dell’impugnazione penale, del giudizio quanto alle statuizioni civili impedirebbero l’esercizio dell’azione davanti al giudice competente sul risarcimento del danno e, con esso, escluderebbero, per gli illeciti oggetto di pronunce non irrevocabili, l’irrogazione della sanzione pecuniaria civile, esito, questo, in contrasto con la disciplina di cui all’art. 12, comma 1, d.lgs. n. 7 del 2016 . 2. In ordine alle residue imputazioni, le doglianze dell’imputato non possono trovare accoglimento relativamente al lamentato vizio processuale. Vero è che la giurisprudenza di questa Corte, dopo aver registrato un consolidato orientamento secondo cui la mancata notifica all’imputato dell’avviso di deposito di sentenza o di qualunque altro provvedimento impugnabile configura una nullità di ordine generale a regime intermedio e non assoluta, che resta sanata, per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 183 cod. proc. pen., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale Cass., Sez. I, n. 43665 del 18/10/2007, Dattilo, Rv 238420 , ha più di recente affermato che l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito, ex art. 548, comma secondo, cod. proc. pen., della sentenza di primo grado comporta una nullità a regime intermedio, la quale, ove ritualmente eccepita, non è sanata dalla proposizione dell’appello da parte del difensore dell’imputato in tal caso, infatti alla luce del dictum della sentenza della Corte costituzionale n. 317 del 2009 non decorrono nei confronti dell’imputato i termini per la proposizione dell’impugnazione con conseguente nullità, ex art. 178, comma primo, lett. c , cod. proc. pen., del decreto di citazione in appello e della sentenza emessa all’esito del relativo giudizio Cass., Sez. V, n. 44863 del 07/10/2014, Prudentino, Rv 261314 . Tuttavia, al di là del rilievo che in tali casi si imponga o meno la declaratoria di nullità di una sentenza di appello, comunque intervenuta a seguito di rituale impugnazione, nella fattispecie oggi in esame deve senz’altro ritenersi che l’avviso del deposito della pronuncia di primo grado, per quanto effettuato presso il difensore, comportò ragionevolmente per il M. la compiuta conoscenza delle motivazioni del provvedimento, e pose l’interessato nella condizione di esercitare il diritto di impugnare - anche autonomamente - la sentenza de qua. Innanzi tutto, è necessario rilevare che ci si trova dinanzi ad un caso di notifica irregolare, non già omessa tout court nel corpo del ricorso non si legge che l’avviso di deposito, spettante all’imputato e al difensore per il mancato rispetto del termine di 15 giorni, da parte del Giudice di pace, fu inviato solo al secondo, precisandosi piuttosto che si trattò di un avviso notificato in luogo diverso da quello prescelto dal M. nel contempo, nessuna censura viene mossa quanto alle formalità seguite per l’instaurazione del contraddittorio dinanzi al Tribunale, e deve perciò ritenersi che l’imputato ricevette il relativo decreto di citazione presso il domicilio da lui dichiarato, apprendendo così dell’avvenuta fissazione di un giudizio di secondo grado senza che egli, all’esito, abbia inteso assumere iniziative di sorta ed è altrettanto pacifico che l’odierno ricorrente venne - come è tutt’ora - assistito dal medesimo legale, per tutte le fasi del processo. Ergo, il rapporto fiduciario esistente tra l’imputato ed il difensore, involgente in primo luogo proprio oneri di continue, doverose e reciproche informazioni, rendeva la descritta notificazione comunque idonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario, in assenza di specifici elementi di segno contrario meramente allegata, invece, appare la circostanza che l’avvocato firmatario dell’appello non avrebbe avuto alcun contatto con il proprio cliente dopo la pronuncia del Giudice di pace, sul presupposto non documentato in alcun modo, ed in ogni caso non tale da impedire un mantenimento di rapporti telefonici o via web che il M. passerebbe vari mesi dell’anno in territorio argentino. 3. Appare correttamente motivata la decisione del giudice di appello di confermare il giudizio di attendibilità del querelante, visto l’immediato riferimento a deposizioni testimoniali che ne avevano riscontrato il narrato circa le frasi pronunciate dall’imputato e/o l’esistenza, sul collo del C. , di segni ragionevolmente riferibili ad un’aggressione appena realizzata inoltre, il tema della ravvisabilità di una provocazione intesa espressamente come scriminante nello sviluppo dei motivi di ricorso, e dunque prospettata solo con riguardo alla contestata ingiuria appare assorbito dalla sopravvenuta depenalizzazione del reato anzidetto. Risultano invece fondate le censure del ricorrente a proposito della possibile derubricazione degli addebiti ex artt. 581 e 612 cod. pen. nella diversa ed unitaria fattispecie criminosa sanzionata dall’art. 393 dello stesso codice. Infatti, il Tribunale di Belluno si limita a dare atto delle testimonianze che avevano confermato la dinamica dell’episodio quanto alle intemperanze fisiche e verbali del M. , ma nulla argomenta circa la necessità di inquadrare o meno la vicenda alla luce delle ragioni di credito che questi vantava nei confronti della controparte. Tale aspetto risulta meramente enunciato dal giudice di appello come specifico profilo di doglianza difensiva, ma rimane del tutto privo di disamina. D’altro canto, la frase minacciosa che - come si legge nella memoria curata dalla parte civile - non potrebbe dirsi in collegamento causale con la pretesa creditoria del signor M. ebbe un tenore logicamente in linea con le argomentazioni del ricorrente dire a taluno i soldi che mi devi dare te li faccio spendere tutti dal dentista presuppone infatti che a quel soggetto sia stata rivolta una richiesta di corresponsione di denaro, fondata o meno che sia la pretesa, e che egli non vi abbia dato corso. 4. Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo, con l’ulteriore precisazione che le censure concernenti le statuizioni civilistiche relative ai delitti di percosse e minaccia rimangono giocoforza assorbite. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al delitto di ingiuria, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Annulla la stessa sentenza, con rinvio al Tribunale di Belluno per nuovo esame, quanto alle residue imputazioni.