Non è reato coltivare una piantina di marijuana sul proprio balcone

La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa solo se il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto , ossia quando la condotta sia così trascurabile da rendere irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione della stessa.

È quanto stabilito dalla S.C. con la sentenza n. 40030/16 depositata il 26 settembre. La vicenda. Il gup di Siracusa dichiarava non luogo a procedere nei confronti di un imputato per il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti – per un’unica piantina di marijuana detenuta in terrazzo con principio attivo di THC pari all’1,8%. Il Tribunale ha ritenuto che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta, tale da garantire n. 12 dosi, consente ragionevolmente di apprezzare un uso personale della sostanza e, nell’esclusione di una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione della stessa, escluda altresì la lesione al bene giuridico che la norma mira a proteggere. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa, deducendo l’irrilevanza della quantità di principio attivo ricavabile, rinvenendosi invece l’attitudine della pianta oggetto di coltivazione a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente, riscontrando in concreto l’offensività della condotta. L’esclusione della punibilità. La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa solo se il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto , ossia quando la condotta sia così trascurabile da rendere irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione della stessa, risultando non sufficiente in tal senso l’accertamento della conformità al tipo botanico vietato come già affermato da Cass. n. 8058/2016 . Dunque ai fini dell’offensività della condotta e della correlata punibilità non è sufficiente il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, dovendosi valutare anche l’estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno un produzione potenzialmente idonea a incrementare il mercato. Trattandosi nel caso concreto della coltivazione di un’unica piantina di canapa indiana, curata in un vaso e posizionata su un terrazzo di abitazione collocata in contesto urbano, è evidente l’esclusione che da detta coltivazione possa derivare quell’aumento nella disponibilità e quel pericolo di ulteriore diffusione che sono gli estremi integrativi dell’offensività e punibilità della condotta ascritta.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 – 26 settembre 2016, n. 40030 Presidente Paoloni – Relatore Scalia Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, il Gup del Tribunale di Siracusa ha dichiarato, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen., il non luogo a procedere nei confronti di D.S.C. in ordine al reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, in concorso con altri, al medesimo ascritto artt. 110, 75, comma 5, in relazione all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, per unica piantina di marijuana detenuta in terrazzo con principio attivo di THC pari al 1,8% . Il Tribunale per l’espresso giudizio ha ritenuto che la percentuale di principio attivo ricavabile dalla pianta, tale da garantire n. 12 dosi, ciascuna determinata secondo la dose media singola indicata dal d.m. 11 aprile 2006 in 25 mg., consenta ragionevolmente di apprezzare un uso personale della sostanza e, nell’esclusione di una possibile diffusione o ampliamento della coltivazione della stessa, escluda, altresì, la lesione al bene giuridico che la norma di previsione della contestata fattispecie intende tutelare. 2. Avverso l’indicata sentenza propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Siracusa denunciando violazione di legge penale, in relazione agli artt. 425-428 cod. proc. pen Viene in tal modo dedotta l’irrilevanza della quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza dalla pianta oggetto di coltivazione, rinvenendosi invece nella conformità di quest’ultima al tipo botanico previsto e nella sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione ed a produrre sostanza stupefacente, un riscontro in concreto della offensività della condotta nella specie significativamente rappresentata dal principio attivo, pari ad 1,8%, e quindi superiore alla soglia minima dal peso, pari a 312 mg a fronte dei 25 mg della soglia tabellare dall’altezza della pianta, pari ad un metro . Deduce la pubblica accusa a sostegno del proposto ricorso la distinzione operata dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale tra il reato di coltivazione e quello di detenzione ai fini di spaccio, distinzione per la quale risulta esclusa la prima fattispecie quando i quantitativi prodotti, pur inferiori alla dose media singola determinata dalle tabelle ministeriali, siano privi, in concreto, dell’attitudine ad esercitare, anche in misura minima, gli effetti psicotropi di cui all’art. 14 del d.P.R. n. 309 del 1990. Considerato in diritto 1. Il motivo di ricorso è infondato e come tale determina il rigetto del proposto mezzo. 1.1. La punibilità per la coltivazione non autorizzata di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti va esclusa soltanto se il giudice ne accerti l’inoffensività in concreto” ovvero quando la condotta sia così trascurabile da rendere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità della droga e non prospettabile alcun pericolo di ulteriore diffusione di essa, restando in tal senso non sufficiente l’accertamento della conformità al tipo botanico vietato Sez. 4, n. 3787 del 19/01/2016, Festi, Rv. 265740 Sez. 6, n. 8058 del 17/02/2016, Pasta, Rv. 266168 . Resta escluso quindi che rilevi ai fini dell’offensività della condotta e della correlata punibilità il solo dato quantitativo di principio attivo ricavabile dalle singole piante, dovendosi valutare anche l’estensione e il livello di strutturazione della coltivazione, al fine di verificare se da essa possa derivare o meno una produzione potenzialmente idonea ad incrementare il mercato Sez. 4, n. 3787 cit. . Nella fattispecie, oggetto dell’impugnata sentenza di non luogo a procedere att. 425 e ss. cod. proc. pen. è la coltivazione di una unica pianta di canapa indiana, curata in vaso e posizionata su un terrazzo di abitazione collocata in contesto urbano, evidenze che obiettivamente escludono che da detta coltivazione possa derivare quell’aumento nella disponibilità della sostanza stupefacente e quel pericolo di ulteriore diffusione che sono gli estremi integrativi della offensività e punibilità della condotta ascritta. Il ricorso con cui si censura l’adottato proscioglimento è pertanto infondato e come tale va rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.