Strofinamenti hot: riflettori sulla volontarietà. Condanna in discussione

Vicenda ancora aperta. Ancora uno spiraglio per l’uomo ritenuto colpevole in appello e sanzionato con ben 20 mesi di reclusione. Da rileggere il racconto della presunta vittima, alla luce del contesto in cui si è verificato l’episodio.

Sotto accusa per uno strofinamento hot. A un uomo è contestato il reato di violenza sessuale per alcuni contatti sospetti con una donna in un mezzo pubblico affollato. Ma la condanna è rimessa in discussione alla luce della fragilità del racconto fatto dalla presunta vittima Cassazione, sentenza n. 38496/2016, Sezione Terza Penale, depositata il 16 settembre 2016 . Racconto. Posizione delicata, quella dell’uomo sia in primo che in secondo grado egli viene ritenuto responsabile di violenza sessuale e condannato a 20 mesi di reclusione . Decisiva la denuncia fatta dalla vittima. Ella ha raccontato di avere subito sui propri glutei il reiterato strofinamento dell’organo maschile in erezione . Tutto è avvenuto durante un viaggio su un mezzo pubblico di trasporto . E anche il contesto dell’episodio rende non così solide le parole della donna. Per i giudici della Cassazione, difatti, l’uomo ha sì ammesso contatti fisici , spiegando che essi erano stati involontariamente provocati dagli scossoni del vagone , ma ciò non esclude una errata interpretazione del gesto da parte della donna. A maggior ragione tenendo conto degli elementi di sospetto evidenziati dal difensore del presunto violentatore. Illogico limitarsi ad affermare che la vittima non aveva motivo per dire il falso . Ciò non è certo sufficiente per ritenerne credibile il racconto, e motivare così la condanna per violenza sessuale . Vicenda tutta da approfondire, quindi, e affidata per questo motivo ai giudici della Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 maggio – 16 settembre 2016, n. 38496 Presidente Fiale – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1.I1 sig. D.S. ricorre per l'annullamento della sentenza del 03/12/2014 della Corte di appello di Roma che, per quanto qui rileva, integralmente confermando la pronuncia di primo grado da lui solo impugnata, lo ha definitivamente condannato alla pena principale di un anno e otto mesi di reclusione per il reato di cui all'art. 609-bis, u.c., cod. pen., per aver costretto, agendo in modo repentino, la sig.ra T. S. a subire, contro la di lei volontà, il reiterato strofinamento dei suo pene in erezione contro i glutei della donna mentre viaggiavano su un mezzo pubblico di trasporto il fatto è contestato come commesso in Roma il 10/01/2013. 1.1.Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., vizio di omessa e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata lamentando che la credibilità della persona offesa è stata ribadita dai Giudici distrettuali senza nemmeno prendere in considerazione gli specifici spunti critici devoluti in appello con i quali si sollecitava un esame critico e puntuale della coerenza intrinseca ed estrinseca della sua testimonianza sotto i vari profili del rapporto di conoscenza con l'imputato, della ricostruzione stessa del fatto, del contrasto con le testimonianze rese dalla guardia giurata testimone d'accusa e dalla C. compagna dell'imputato e testimone della difesa , della attendibilità del testimone A. che la persona offesa aveva affermato esser presente sul vagone, della reticenza della vittima a indicare i nomi degli altri suoi conoscenti che lei stessa aveva affermato aver viaggiato sul suo stesso vagone. 1.2.Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. e , cod. proc. pen., il vizio di omessa e/o contraddittoria e/o illogica motivazione in relazione all'affermata assenza di ipotesi alternative alla propria responsabilità penale. Deduce, al riguardo, che diversamente da quanto affermato in sentenza, non ha mai ammesso alcun contatto con la persona offesa se non quelli, non intenzionali, provocati dagli scossoni del treno, stracolmo di gente come ammesso dalla stessa vittima. Inoltre, prosegue, la Corte di appello ha ritenuto di trarre dalla revoca della costituzione di parte civile la prova della assenza di qualsivoglia intento calunnioso della donna, ma non ha considerato che la revoca è stata effettuata perché separatamente risarcita dopo la condanna senza alcuna espressa ammissione di responsabilità. 1.3.Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. b ed e , cod. proc. pen., inosservanza dell'art. 164, cod. pen., e vizio di motivazione contraddittoria ed illogica in punto di ritenuta sussistenza di cause ostative alla concessione dei benefici di legge, in contrasto con le ragioni della revoca della misura cautelare decisa dal Tribunale con ordinanza del 17/07/2013. Considerato in diritto 2.I1 ricorso è fondato. 3.Sono fondati, in particolare, il primo ed il secondo motivo. 3.1.Con troppa facilità, ed in modo alquanto contraddittorio, la Corte di appello liquida le specifiche questioni poste dall'imputato in ordine alla credibilità della persona offesa. 3.2.Va innanzitutto evidenziato che non v'è alcun nesso logico tra l'ammissione di contatti fisici involontariamente provocati dagli scossoni del vagone e le conseguenze che la Corte territoriale vuol trarne circa l'insostenibilità dell'ipotesi dell'errata interpretazione del gesto, ovvero dell'intento calunnioso, alternative alla tesi accusatoria. 3.3.11 vizio logico sta nel fatto che per escludere l'ipotesi dell'errata interpretazione del gesto, la Corte territoriale si adagia apoditticamente proprio sul racconto della persona offesa senza però affrontare nemmeno una delle pur numerose questioni poste dall'imputato sulla credibilità di quest'ultima. 3.4.Allo stesso, modo, l'intento calunnioso viene escluso sul rilievo, logicamente e giuridicamente erroneo, che nemmeno la difesa aveva argomenti persuasivi al riguardo, tant'è vero - si legge nella sentenza - che la persona offesa aveva revocato la costituzione di parte civile. 3.5.Orbene, a parte il fatto che la persona offesa aveva già ottenuto una forma di risarcimento fuori dal processo il che toglie sostanza fattuale al ragionamento della Corte di appello , l'argomento utilizzato dai Giudici distrettuali determina una sostanziale inversione dell'onere della prova ai danni dell'imputato che, a sua volta, presuppone un inammissibile atto di fede nei confronti della persona offesa, la cui testimonianza può esser sì assunta anche da sola come fonte di prova ricostruttiva del fatto per il quale si procede, purché sottoposta ad un rigoroso e penetrante indagine positiva sulla sua credibilità, sopratutto quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 . 3.6.Tale interesse, dunque, non può essere aprioristicamente escluso quando la revoca della costituzione di parte civile intervenga successivamente alla sentenza di condanna in primo grado a causa dei risarcimento comunque ottenuto. 3.7.Più volte questa Corte ha affermato che, al pari di qualsiasi altra testimonianza, anche quella della vittima di abusi sessuali è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutarne criticamente il contenuto, verificandone l'attendibilità, non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza così, da ultimo, Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104 cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza & gt & gt . 3.8.Allorquando questi elementi di sospetto si traducano in specifici motivi di impugnazione avverso la sentenza di condanna, la Corte di appello non può sottrarsi al dovere di esaminarli limitandosi ad affermare puramente e semplicemente che la vittima non aveva motivo per dire il falso, perché è evidente la carenza di motivazione su questioni devolute e rilevanti ai fini del decidere. 3.9.La fondatezza dei primi due motivi di ricorso che riguardano l'an della punibilità assorbe le questioni poste con il terzo anche se non può non stigmatizzarsi anche qui il mancato esame della specifica questione posta con l'appello e relativa alla contraddizione tra la decisione del Tribunale di revocare la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla PG per mancanza di pericolo di reiterazione del reato e il giudizio prognostico negativo ostativo alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. 3.10.La sentenza va dunque annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.