Goal e il tifoso festeggia lanciando un fumogeno: condannato

L’oggetto gettato dagli spalti è finito sul terreno di gioco, nella zona del corner. Irrilevante il fatto che ci fossero o meno, in quel settore del campo, giocatori e arbitri. Logico presumere che il tifoso fosse consapevole del potenziale pericolo provocato dal suo gesto. Confermata la condanna a due mesi di reclusione.

Fumogeno lanciato dagli spalti durante la partita di calcio. Tifoso subito beccato e poi condannato a due mesi di reclusione. Irrilevante il fatto che egli abbia con quel gesto sfogato la gioia per il goal della propria squadra Cassazione, sentenza n. 38133/2016, sezione terza penale, depositata il 14 settembre . Fumogeno. Ricostruito facilmente l’episodio. Durante un match valido per il campionato di ‘serie C’ un tifoso viene fermato per avere acceso e lanciato un fumogeno , finito ovviamente sul campo . Evidente, per i giudici, il pericolo per la pubblica incolumità . Così si spiega la condanna, decisa in Tribunale e confermata in Appello, a due mesi di reclusione . Il legale, però, contesta duramente la sentenza sfavorevole al suo cliente. In questa ottica sostiene che il lancio del fumogeno non avrebbe mai potuto provocare conseguenze l’oggetto, difatti, era finito nella zona della bandierina del calcio d’angolo , lontano dai protagonisti in campo, e non a caso l’arbitro non aveva decretato la sospensione della gara . A corredo di questa tesi, peraltro, viene anche richiamata la decisione del giudice sportivo, riportata da un comunicato ufficiale della Lega Professionisti in cui si può leggere che il lancio era avvenuto senza conseguenze . E sempre per dare forza alla linea difensiva il legale ricorda anche che i fumogeni furono lanciati da alcuni supporter per festeggiare la segnatura della loro squadra , quindi senza alcuna finalità offensiva . Conseguenze. Tutte le obiezioni mosse si rivelano però inutili. Anche per i magistrati della Cassazione, difatti, il gesto compiuto dal tifoso è di facile lettura egli ha gettato il fumogeno raggiungendo il campo, occupato, in quel momento, sia dai calciatori che da altre persone coinvolte nella manifestazione sportiva . Ciò rende logico presumere la consapevolezza che ci potessero essere conseguenze negative a livello fisico per i soggetti presenti sul terreno da gioco. Di conseguenza, il richiamo difensivo al festeggiamento per la segnatura della propria squadra diventa assolutamente irrilevante. E, per chiudere il cerchio, viene respinta anche l’ipotesi che l’uomo abbia agito in una situazione di emergenza, cioè per evitare che il fumogeno finisse nelle mani del fratello minore. Se davvero ci fosse stato questo pericolo, spiegano i giudici, sarebbe stato giusto custodire il fumogeno , non certo lanciarlo in campo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 giugno – 14 settembre 2016, n. 38133 Presidente Andreazza – Relatore Renoldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16/05/2011 il Tribunale di Arezzo, sezione distaccata di Montevarchi, condannò A.S., riconosciutegli le attenuanti generiche, alla pena di due mesi di reclusione in relazione al delitto di cui all'art. 6-bis, legge 13 dicembre 1989 n. 401, per avere acceso e lanciato, nel corso della partita di calcio tra Sangiovannese e Foggia, un artifizio fumogeno, caduto sul campo di gioco, con pericolo per la pubblica incolumità fatto accertato in San Giovanni Valdarno il 15 gennaio 2006. 2. Avverso la predetta sentenza l'imputato propose impugnazione, che fu però rigettata con sentenza in data 20/05/2014 della Corte d'Appello di Firenze, la quale confermò integralmente la condanna pronunciata in primo grado. 3. Con atto depositato in data 24/02/2015 A.S. propone ricorso per cassazione sulla base di due distinti motivi di impugnazione. Con il primo motivo il ricorrente deduce carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione per travisamento dei fatti e delle risultanze processuali, nonché erronea applicazione della legge processuale ex art. 603, cod. proc. pen. per mancata acquisizione di una prova necessaria ai fini della decisione . Da un lato, secondo il ricorrente, l'istruttoria dibattimentale avrebbe consentito di accertare che il fatto si era svolto con modalità assai differenti da quelle riportate nel capo di imputazione essendo risultato che il fumogeno era caduto non in prossimità della porta, quanto della bandierina dei calcio d'angolo e dall'altro lato, la Corte d'appello avrebbe ingiustificatamente rigettato la richiesta di acquisizione di una prova asseritamente decisiva, rappresentata dal referto arbitrale della partita, sulla base del quale era stata successivamente adottata la decisione dei giudice sportivo n. 180/533, riportata da un comunicato ufficiale della Lega Professionisti del 17 gennaio 2006, ove il lancio di bengala veniva definito come senza conseguenze , diversamente da quanto avvenuto in occasione di altre gare, allorché l'applicazione di sanzioni pecuniarie alle società sportive era stato motivato proprio con la causazione di pericoli per l'incolumità individuale. Secondo il ricorrente, dunque, l'acquisizione del referto avrebbe consentito di chiarire una altrimenti insuperabile situazione di incertezza probatoria, anche considerato che l'arbitro e i suoi collaboratori hanno, in genere, una visuale privilegiata rispetto agli accadimenti sul campo di gioco ed avrebbero, quindi, potuto offrire una migliore e più completa ricostruzione dei fatti di causa. Con il secondo motivo, S. censura la inosservanza ed erronea interpretazione ed applicazione di legge penale sostanziale in relazione all'art. 6 bis della legge n. 401/1989, modificata dalla legge n. 88/2003 e contraddittorietà della motivazione in relazione alla sussistenza del pericolo concreto nonché dell'elemento soggettivo del reato . Se per un verso la sentenza impugnata ha affermato la pericolosità del lancio del fumogeno sul presupposto che lo spazio interessato dallo stesso fosse occupato in quel momento sia dai giocatori che da altri soggetti a vario titolo coinvolti nella manifestazione sportiva , per altro verso la sentenza non sarebbe riuscita ad identificare l'esatto punto di caduta dello stesso fumogeno, che alcune testimonianze avrebbero indicato in prossimità della bandierina del calcio d'angolo, ove al momento della caduta non erano presenti dei giocatori. Dall'assenza di pericolo per l'incolumità sarebbe derivato che l'arbitro non aveva decretato la sospensione della gara, che alla società non era stato contestato l'illecito sportivo e che il giudice sportivo non aveva applicato una adeguata sanzione. Con la decisione impugnata, opina ancora il ricorrente, la Corte d'appello avrebbe trasformato una fattispecie di pericolo concreto in fattispecie di pericolo astratto . Inoltre, la sentenza sarebbe incorsa in una insuperabile contraddizione nella parte relativa al mancato riconoscimento dello stato di necessità, in particolare laddove, dopo aver affermato che il fumogeno era pericoloso, avrebbe soggiunto che l'imputato, per evitare che il fratello minore potesse disporne, avrebbe dovuto trattenerlo a sé anziché lanciarlo in campo condotta che sarebbe chiaramente incompatibile con l'affermazione della pericolosità dell'artifizio. Infine, la sentenza avrebbe omesso di considerare quanto riportato nel comunicato ufficiale della gara, e cioè che i fumogeni sarebbero stati lanciati dai tifosi del Foggia per festeggiare la segnatura della propria squadra ciò che ad avviso del ricorrente dimostrerebbe la assenza di una qualunque finalità offensiva perseguita con il suddetto lancio. Considerato in diritto 1. II ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Giova preliminarmente osservare che l'art. 6-bis della legge n. 401 del 1989 sanziona il lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive. Per quanto qui interessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive e a condizione che i fatti avvengano in relazione alla manifestazione sportiva stessa, lancia , in modo da creare un concreto pericolo per le persone, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l'emissione di fumo o di gas visibile, ovvero bastoni, mazze, materiale imbrattante o inquinante, oggetti contundenti, o, comunque, atti ad offendere . La fattispecie, come si ricava dallo stesso tenore letterale della norma incriminatrice, è strutturata come reato di pericolo concreto , con la conseguenza che, per la sua configurabilità, non è richiesto che si cagioni un evento lesivo, posto che, coerentemente con tale assunto, gli eventuali eventi del danno alle persone o del ritardo rilevante dell'inizio, la sospensione, l'interruzione o la cancellazione della manifestazione sportiva costituiscono ipotesi di delitti aggravati dall'evento così Sez. 3, n. 7869 dei 13/01/2016, Zagli, Rv. 266282 sulla natura di reato di pericolo concreto v. altresì Sez. 3, n. 13956 del 28/01/2016, Bisegna, non massimata . Peraltro, la circostanza che il lancio debba necessariamente determinare un concreto pericolo per le persone rende evidente la natura plurioffensiva della fattispecie in esame, che accanto al bene giuridico della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive così Sez. 3, n. 37830 del 20/06/2007, Italiano, Rv. 237821 è certamente e primariamente posta a tutela del fondamentale interesse alla incolumità delle persone. Tale protezione si realizza attraverso il paradigma del reato di pericolo e, dunque, attraverso un modello di tipizzazione dell'illecito che punisce le condotte a cagione delle quali, al momento della loro realizzazione, si sia determinata una situazione di probabile futura lesione dell'interesse protetto, secondo lo schema che la dottrina definisce come della cd. prognosi postuma. In altri termini, è penalmente rilevante la condotta che, ponendosi nell'ottica dell'agente al momento della sua realizzazione, avrebbe potuto prevedibilmente determinare l'offesa lesiva del bene giuridico, non verificatasi per ragioni legate alle concrete modalità esecutive del proposito criminoso. Mentre deve, al contrario, escludersi la rilevanza penale della condotta che, ex ante, non avrebbe comunque potuto determinare una reale situazione di rischio del bene protetto come, ad esempio, nel caso in cui l'agente indirizzi l'oggetto potenzialmente offensivo verso un luogo che, in quello specifico momento, sia - e debba essere - assolutamente deserto . Inoltre, trattandosi di delitto doloso è necessario che la situazione di pericolo, che rappresenta pacificamente uno degli elementi significativi della fattispecie cfr. Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364 , sia oggetto di rappresentazione e volizione in capo al soggetto agente, sia pure nelle sole forme del dolo eventuale. Tanto premesso sul piano generale, deve osservarsi che le circostanze di fatto accertate dalla Corte d'appello, benché non abbiano individuato con certezza il punto preciso della caduta del fumogeno, consentono di ricostruire puntualmente il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. La Corte territoriale, infatti, ha accertato che lo spazio interessato dal lancio era occupato in quel momento sia dai giocatori che da altri soggetti a vario titolo coinvolti nella manifestazione sportiva . Ciò significa, da un lato, che appariva obiettivamente prevedibile, al momento del getto dell'artificio, che esso potesse attingere taluna delle persone presenti sicché la sentenza motiva correttamente in ordine alla sussistenza dei requisiti oggettivi della fattispecie. E, dall'altro lato, che il soggetto attivo non poteva non rappresentarsi questa eventualità e che, agendo nonostante ciò, egli abbia accettato il rischio che la lesione si verificasse, sicché anche sotto il profilo dell'elemento soggettivo è corretto affermare, con la sentenza impugnata, che la causazione di una situazione di pericolo per l'incolumità delle persone fosse pienamente coperta dal dolo. Sul punto è, peraltro, inconferente l'osservazione difensiva secondo cui, essendo avvenuto il lancio per festeggiare la segnatura della squadra pugliese, esso non potesse avere alcuno scopo offensivo, atteso che l'assenza di un tale scopo era ben compatibile, sul piano logico, con l'accettazione del rischio, da parte dell'imputato, che si verificasse una situazione di pericolo per l'incolumità delle persone presenti. La ricostruzione accolta dalla sentenza impugnata dimostra, altresì, la superfluità del richiesto approfondimento istruttorio, atteso che l'accertamento della presenza, nell'area interessata dal getto del fumogeno, di una pluralità di persone, rendeva evidentemente non necessaria l'acquisizione del referto arbitrale. Quest'ultimo, infatti, costituì la base della decisione del giudice sportivo, il cui contenuto fece comunque ingresso all'interno del materiale istruttorio del processo e, incidentalmente, tale decisione attestò unicamente il lancio di qualche bengala, senza alcuna conseguenza . E', peraltro, evidente che la circostanza, peraltro pacifica, che il dispositivo non abbia attinto alcuna persona e che, quindi, il lancio sia stato senza alcuna conseguenza , non rappresenta certo un elemento in grado di inficiare l'accertamento della presenza di una pluralità di persone nell'area interessata dal getto e che sarebbero potute essere attinte dallo stesso sicché, si ribadisce, la Corte di secondo grado ha correttamente e motivatamente ritenuto di non dover procedere alla ulteriore acquisizione istruttoria. Conclusivamente sul punto, deve ritenersi che la sentenza impugnata sia corredata da adeguata motivazione in ordine all'accertamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità, circa il concreto pericolo corso dalle persone in conseguenza del lancio del fumogeno da parte dell'imputato sicché le deduzioni formulate a riguardo dal ricorrente devono essere integralmente respinte. Quanto poi al secondo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha spiegato, in maniera corretta e puntuale, le ragioni per le quali ha ritenuto di non ravvisare, nella specie, i requisiti della esimente dello stato di necessità. Secondo quanto previsto dall'art. 54 cod. pen., infatti, la responsabilità penale deve essere esclusa quando l'agente abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile . E la Corte d'appello ha chiarito, con motivazione del tutto adeguata, come il pericolo fosse evitabile da parte dell'imputato, sia custodendo il fumogeno in modo che il fratello minore non potesse disporne, sia respingendo le sue richieste di utilizzarlo e comunque impedendo che se ne impossessasse. Tanto è certamente sufficiente a escludere la configurabilità dell'esimente, essendo dunque sostanzialmente irrilevante l'ulteriore passaggio motivazionale, effettivamente contraddittorio, in cui si ipotizza che S. avrebbe potuto trattenere presso di sé il fumogeno, il quale una volta acceso costituiva, per le ragioni già indicate, una obiettiva fonte di pericolo. Consegue, conclusivamente, alle argomentazioni fin qui svolte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese dei procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.