Non basta la gravità della malattia ma è anche necessario che fuori dal carcere siano fruibili cure “migliori”

Discutendo di differimento dell’esecuzione per ragioni di salute e comunque di incompatibilità della condizione carceraria per ragioni di salute, l’aspetto umanitario” ha certamente un ruolo rilevante, ma, nello stato attuale delle cose, non anche davvero essenziale.

Del resto, la sentenza in oggetto, sostanzialmente condivisibile de iure condito , non ha fatto altro che ribadire che per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica devono ricorrere due autonomi presupposti la gravità oggettiva della malattia la possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura . Ma quando ciò accade? La Corte sul punto ha espresso il seguente inciso non è sufficiente che l’infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità . Si è poi precisato che ciò si verifica sostanzialmente quando vi sia incompatibilità della terapia con lo stato di detenzione e ciò si avrebbe allorché la grave infermità fisica [offra] una prognosi infausta quoad vitam o [necessiti] di cure e trattamenti indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura . Considerando tali principi si comprende come, in realtà, il margine di apprezzamento nel merito sia amplissimo e come sia arduo, in assenza di ragionamenti chiaramente illogici, contestare la decisione specie se negativa a cui giudice il giudice del merito deve pervenire sul punto. In realtà, infatti, la valutazione della situazione in questione dipende da caso a caso ed è praticamente impossibile stilare una tassonomia definitiva. Accade così che il sistema accetti il rischio dell’opinabilità e, dunque, della decisione non pienamente condivisibile e dipendente da valutazioni non censurabili. Ciò non è di per sé errato, posto che la sovranità del giudicare non si esprime mediante algoritmi o formule perfette, ma con l’esercizio di poteri discrezionali e di correlative responsabilità. Se non che assai spesso, quanto meno nelle situazioni di dubbio, è fondamentale avere un criterio di giudizio, che sostenga” il giudice nel suo giudicare e che manifesta il valore preminente che il processo ciascun processo non deve ledere. Nella materia de qua , se il senso di umanità fosse fondamentale, nel dubbio dovrebbe esservi un giudizio pro libertate se ciò non avviene e se, dunque, fuor di metafora, è indispensabile provare”, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’effettiva incompatibilità della detenzione con lo stato di salute del detenuto, ciò che rileva è il grado di in efficienza del sistema carcerario e del sistema sanitario ad esso connesso, sotto il profilo della effettiva capacità di prestare tutela o cura alla salute del recluso. La questione, dunque, diviene di tipo amministrativo” o, se si preferisce, burocratico” e non anche di umanità” in senso stretto, se a tale concetto vuol darsi un rilievo non puramente materiale”. Non può stupire, in definitiva, che in questo contesto sia valutato quasi sempre” come inammissibile il ricorso che censuri” sostanzialmente nel merito il giudizio del Tribunale di sorveglianza o che faccia leva sul dubbio per fondare un giudizio di incompatibilità tra il carcere e le condizioni di salute del detenuto. Che poi, come nel caso di specie, in effetti la decisione del Tribunale di sorveglianza fosse accettabile e sebbene la Suprema corte abbia comunque analizzato la decisione impugnata, non muta la situazione giudica” a cui la Corte di cassazione da tempo si è assestata e che qui si è riferita. Spiace soltanto che, ancora una volta, solo in sede di decisione si è evidenziata l’inammissibilità, con la conseguente condanna a carico del ricorrente ed in favore della cassa delle ammende, non essendosi eccepito tale vizio né prima né durante la relazione sulla presente causa ma di tale atteggiamento non è il caso di discutere in questa sede.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 2 marzo – 12 settembre 2016, n. 37836 Presidente Vecchio – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 28.01.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Ancona dichiarava inammissibile l’istanza di detenzione domiciliare e rigettava quella di differimento dell’esecuzione per motivi di salute, avanzate da M.A. , detenuto in espiazione della pena di anni sette e mesi undici di reclusione di cui al provvedimento di cumulo n 216/2013 emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Fermo per rapina, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali, violazione della normativa sulle armi ed altro. Nel provvedimento il Tribunale di Sorveglianza rilevava che il M. è un soggetto portatore di un disturbo bipolare con aspetti fobico-ossessivi insorti in soggetto con lunga storia di uso di cocaina e di alcune patologie fisiche diabete, arteriopatia agli arti inferiori, apnee notturne, obesità tutte trattate in carcere. Così, in relazione alla patologia psichica, si evidenziava che essa era regolarmente curata con adeguata terapia e non se ne segnalava una particolare gravità quanto alle patologie fisiche, quella di rilievo era la broncopneumopatia cronica ostruttiva, la quale era trattata in carcere con bombola di ossigeno e dispositivo CPAP che crea una pressione di aria nelle vie aeree i Sanitari non avevano evidenziato alcuna incompatibilità di questa condizione con la detenzione carceraria né una necessità di costanti contatti con presidi sanitari. Si sottolineava che il detenuto fruiva in carcere dei dispositivi di cui aveva bisogno che in una dimora privata non avrebbe trovato cure migliori che era sottoposto a continui controlli da parte dei sanitari che, per assicurargli una buona qualità di aria, era stato allocato in cella singola senza fornello a gas. Ed ancora, la difesa aveva sottolineato che ciò precludeva al condannato l’alimentazione con cibi caldi, ma il Giudice precisava che ciò non era rispondente al vero poiché l’Istituto di Pena assicurava cibi caldi e freddi e poiché il fornello a gas era predisposto soltanto per cucinare il c.d. sopravvitto e cioè quelli acquistati dal detenuto o ricevuti dai familiari, i quali erano vitto ulteriore rispetto a quanto fornito dall’Istituto . Per la richiesta di detenzione domiciliare, la pena residua superava i quattro anni di detenzione. Infine si sottolineava la pericolosità sociale del detenuto, pluripregiudicato e ben collegato a varie forme di criminalità anche organizzata, tanto che i suoi problemi di salute non avevano intaccato questa parte del suo essere. Avverso detta ordinanza propone ricorso l’interessato a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge in relazione agli artt. 147 cod.pen. e 47 ter, comma 1 ter, 0.P. si documenta una serie di patologie del condannato, segnalate sin dall’inizio della detenzione e tali da determinare una concreta impossibilità di trattamento adeguato, attestata dal fatto che il M. era stato allocato solo per breve periodo in un CDT, finendo poi per essere assegnato a vari Istituti di Pena, che sempre avevano segnalato le sue difficoltà e la necessità di costante controllo nelle ore notturne per evitare che egli, nel sonno, rimanesse senza maschera o senza ossigeno pertanto non veniva in rilievo una incompatibilità assoluta con la detenzione, ma un elevato rischio di morte improvvisa durante il sonno. Come secondo motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione quanto alla possibilità di idoneo trattamento extramurario si sostiene che tutta la documentazione in atti rende evidente che la patologia polmonare non è trattabile adeguatamente in carcere e l’eventualità che nel sonno egli perda contatto con la maschera rappresenta un pericolo per la sua vita, che non verrebbe ovviato dall’allocazione in cella singola a qualche piano di distanza da un centro clinico. Come terzo motivo si deduceva la mancanza di motivazione relativa alla pericolosità sociale del condannato si evidenziava che i reati posti in essere dal M. erano riferibili ad un periodo in cui godeva di piena prestanza fisica mentre ormai la sua condizione non gli consentirebbe di proseguire nelle condotte del passato. Il P.G. chiede il rigetto del ricorso. Il Difensore ha depositato una memoria di replica, rilevando che il ricorso si riferiva alla errata valutazione del requisito della grave infermità fisica, che sarebbe stato escluso con ricorso ad elementi estranei alla valutazione richiesta e disattendendo la documentazione medica che il detenuto non può essere trattato adeguatamente in carcere e ciò non è una semplice difficoltà organizzativa che il percorso logico dell’ordinanza è solo apparente, non considerando che i Sanitari hanno ritenuto la patologia non validamente trattabile in carcere e che attualmente il condannato è collocato fuori dal centro clinico. Considerato in diritto Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Per come precisato in precedenza, al M. è stata rigettata una istanza volta ad ottenere il differimento dell’esecuzione per ragioni di salute il condannato ha fatto presente di soffrire di varie patologie diabete, arteriopatia agli arti inferiori, apnee notturne, obesità e broncopneumopatia cronica ostruttiva , le quali non potrebbero trovare adeguata terapia e trattabilità in ambiente penitenziario. Il Tribunale di Sorveglianza di Ancona ha respinto le prospettazioni del ricorrente, valorizzando il contenuto delle relazioni sanitarie ricevute ed evidenziando che non viene mai in rilievo un’assoluta incompatibilità tra la condizione sanitaria del condannato e la sua restrizione carceraria si elencano i provvedimenti posti in essere dall’Amministrazione, il percorso terapeutico impostato, i dispositivi sanitari messi a disposizione del condannato, i continui controlli medici e l’insussistenza di un supporto migliore all’esterno del carcere questi rilievi, poi, erano stati connessi con le connotazioni di pericolosità sociale del condannato, tratte dal numero e dalla tipologia di precedenti penali a suo carico. Il ricorso contesta, fondamentalmente, la valutazione di non gravità espressa dal Tribunale di Sorveglianza circa la serie di patologie che affliggono il condannato, la mancata allocazione in un CDT, la valutazione dei rischi per la sua incolumità e quella relativa alla pericolosità sociale del ricorrente. Ma si tratta di ragioni di doglianza che, sotto lo schermo della violazione di legge, sostanzialmente prospettano questioni di merito, chiedendo a questa Corte una nuova valutazione delle relazioni sanitarie e della gravità delle patologie sofferte. In altri termini, si tratta di censure in fatto il ricorrente non concorda con la decisione assunta dal Tribunale di Sorveglianza, ma va subito detto che la motivazione dell’ordinanza impugnata è congrua in ogni sua parte. Giova ribadire che, in linea di principio, per legittimare il rinvio dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica devono ricorrere due autonomi presupposti. Il primo di essi è costituito dalla gravità oggettiva della malattia, implicante un serio pericolo per la vita del condannato o la probabilità di altre rilevanti conseguenze dannose gravità da intendersi in modo particolarmente rigoroso, tenuto conto sia del principio di indefettibilità della pena sia del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di condizioni personali principi che implicano appunto, al di fuori di situazioni eccezionali, la necessità di pronta esecuzione delle pene legittimamente inflitte . Il secondo requisito consiste nella possibilità di fruire, in stato di libertà, di cure e trattamenti sostanzialmente diversi e più efficaci rispetto a quelli che possono essere prestati in regime di detenzione, eventualmente anche mediante ricovero in luoghi esterni di cura. In altri termini, non è sufficiente che l’infermità fisica menomi in maniera anche rilevante la salute del soggetto e sia suscettibile di generico miglioramento mediante il ritorno alla libertà, ma è necessario invece che l’infermità sia di tale gravità da far apparire l’espiazione della pena detentiva in contrasto con il senso di umanità cui si ispira la norma costituzionale. Questo particolare rigore nella valutazione della gravità della infermità deriva dal combinato disposto dei referenti di rango costituzionale cui la norma si richiama essi sono l’esigenza di certezza dell’esecuzione della pena e l’eguaglianza di fronte alla legge art. 3 Cost. , il divieto di trattamenti disumani art. 27 Cost. , il principio di legalità della pena art. 25 Cost. e il diritto alla salute art. 32 Cost. . L’ordinanza impugnata, con motivazione logica, coerente e priva di salti logici, evidenzia che dall’istruttoria compiuta non era risultata alcuna patologia che non fosse suscettibile di cura nell’ambito della disciplina di cui all’art. 11 O.P. si riporta che lo staff sanitario dell’Istituto di Pena seguiva costantemente il detenuto, il quale, durante la detenzione, aveva potuto fruire di cura, di assistenza continua e di presidi sanitari. Se ne concludeva che ogni terapia era attuabile presso l’Istituto di Pena o comunque con gli strumenti predisposti dalla norma di cui all’art. 11 O.P Per consolidato principio giurisprudenziale, la gravità dell’infermità denunziata dal condannato deve essere provata ovvero, nel caso di infermità accertata, deve essere provata la incompatibilità della terapia con lo stato di detenzione Sez. 1, 01.12.1989 n. 3 2741 così l’ordinanza impugnata sottolinea che l’Amministrazione si era prontamente attivata nei confronti del ricorrente e che non emergeva la incompatibilità tra lo stato di detenzione e la prosecuzione della terapia, giacché la documentazione in atti attestava che le patologie denunziate erano suscettibili di cure adeguate pur nell’ambiente carcerario. Quasi inutile poi sottolineare che non assume rilievo un carattere cronico della patologia, dato che il requisito della guaribilità dell’infermità non è richiesta dalla norma Sez. 1, 25.01.1991 n. 4363 . Del resto, per legittimare il differimento dell’esecuzione, la grave infermità fisica deve od offrire una prognosi infausta quoad vitam o necessitare di cure e trattamenti indispensabili e tali da non poter essere praticati in regime di detenzione intramuraria neppure mediante ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura cfr Cass. Pen., sez. I, 24.10.1995 n. 4727 . L’ulteriore motivo di doglianza è relativo alla valutazione di pericolosità sociale ma anche sul punto l’ordinanza impugnata ha dispiegato in modo congruo le ragioni del giudizio, richiamando i precedenti penali del ricorrente, la sua condotta di vita, i suoi legami con ambiti criminali e - punto peculiare di questa valutazione - il suo desiderio di non farsi limitare dalle patologie fisiche che lo hanno colpito. A norma dell’art. 147, ultimo comma, cod.pen. aggiunto dalla Legge n 40 del 2001 , il provvedimento di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena non può essere adottato allorquando sussiste un concreto pericolo di commissione di reati. Il Legislatore ha inteso richiamare il concetto di pericolosità sociale già presente nel nostro ordinamento e definito in particolare nell’art. 203 cod.pen Da ciò deriva che la valutazione della pericolosità sociale comporta un giudizio prognostico, dovendo consistere nel valutare la probabilità che il soggetto commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato, nonché nel considerare gli elementi indicati nell’art. 133 cod.pen., richiamato a sua volta dall’art. 203 cod.pen e il citato art. 133 cod.pen., fra gli elementi di valutazione, pone appunto anche quello dei precedenti penali e giudiziari del condannato, indicazione seguita in modo adeguato dall’ordinanza impugnata. In definitiva, le argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, nelle loro polimorfi articolazioni, lungi dal denunziare effettive violazioni di legge e senza dimostrare, in concreto, un significativo e rilevante travisamento dei dati fattuali posti a base dell’apparato argomentativo svolto dal Giudice di merito, si risolvono in una sollecitazione a compiere una valutazione comparativa delle risultanze processuali in senso più favorevole al ricorrente rispetto a quella compiuta dal Tribunale di Sorveglianza, il quale ha preso in esame tutti i dati relativi all’instante. Il ricorrente, invero, non considera che, relativamente al controllo della motivazione del provvedimento impugnato, esula dai poteri di questa Corte quello di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità soltanto la verifica dell’iter argomentativo di tale giudice, accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione Sez. 6, 14.04.1998, ric. Kurzeja Sez. 1, 22.12.1998 n. 13528 . Ne consegue la inammissibilità del ricorso. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza n. 186 del 2000 , al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il minimo e il massimo previsti, in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.