Figlio disabile e moglie a lavoro: niente domiciliari per il detenuto

Situazione familiare difficile a casa. La donna deve sia badare al ragazzo che conservare la propria occupazione. Ciò nonostante, l’uomo deve rimanere in carcere. Decisiva la constatazione del contributo offerto alla donna dai suoi genitori e dai genitori del marito.

Figlio disabile a casa e moglie obbligata a lavorare. Ciò nonostante, l’uomo, rinchiuso in carcere, non può puntare alla detenzione domiciliare. Non vi è una situazione di emergenza tale da renderne necessaria la presenza tra le mura domestiche. Ciò perché alla gestione familiare possono contribuire i genitori di lui e i genitori della coniuge. Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 37859/16, sezione prima penale, depositata il 12 settembre. Casa. Posizione difficile per l’uomo è in carcere a scontare sedici anni di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione , e, allo stesso tempo, si ritrova con una situazione familiare difficile. Più precisamente, a casa ha un figlio di 11 anni, portatore di grave handicap che necessita di assistenza continua, e sua moglie deve non solo badare al ragazzo ma anche mantenere il proprio lavoro. A fronte di questo quadro, l’uomo chiede di poter essere ammesso alla detenzione domiciliare speciale , così da poter offrire un sostegno al figlio e alla moglie. Per i giudici del Tribunale di sorveglianza, però, non vi era una situazione di emergenza. Soprattutto perché la donna è costantemente supportata dalla famiglia di origine e dalla famiglia del detenuto. Famiglia. E anche in Cassazione la richiesta avanzata dal detenuto viene ritenuta eccessiva. Confermato, quindi, il ‘no’ all’ipotesi della detenzione domiciliare speciale . Pure per i magistrati, difatti, non si può parlare di assoluta concreta impossibilità della moglie di occuparsi del figlio , nonostante ella sia impegnata nello svolgimento di un lavoro che la teneva fuori dalla abitazione . In particolare, viene evidenziato, alla luce delle relazioni fatte dal Servizio sociale , che i genitori della coppia seguivano con assiduità il percorso del ragazzo e prestavano tutta l’assistenza imposta dai doveri di solidarietà familiare . Così la famiglia allargata , accudendo anche materialmente il ragazzo , può rendere meno gravosi i compiti della donna, consentendole di prestare attività lavorativa regolarmente. Tutto ciò rende non necessaria la presenza del detenuto a casa.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 15 marzo – 12 settembre 2016, n. 37859 Presidente Vecchio – Relatore Minchella Rilevato in fatto Con ordinanza in data 18.02.2015 il Tribunale di Sorveglianza di Ancona rigettava l'istanza ex art. 47 quinquies O.P. avanzata da R.P.O., detenuto in espiazione della pena di anni sedici di reclusione per associazione di tipo mafioso ed estorsione. Rilevava il Tribunale di Sorveglianza che il detenuto aveva chiesto di essere ammesso alla detenzione domiciliare speciale allegando le gravi difficoltà della moglie nell'accudire il figlio di anni 11 di età, portatore di grave handicap si prendeva atto della impossibilità di collaborazione della giustizia, della avvenuta espiazione di un terzo della pena e dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata e tuttavia si concludeva per l'insussistenza della assoluta impossibilità per la moglie del detenuto di occuparsi del figlio, giacchè risultava che ella si dedicava al medesimo ed era costantemente supportata dalla famiglia di origine e dalla famiglia del R Avverso detta ordinanza propone ricorso il detenuto personalmente, deducendo ex art. 606, comma 1 lett. b ed e , cod.proc.pen. l'erronea applicazione della legge penale o la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla ritenuta mancanza di impossibilità della madre di occuparsi del figlio minore e alla legislazione in materia di tutela del minore. Si evidenzia che la documentazione in atti riporta che il figlio minore necessita di assistenza continua con supervisione di un adulto di riferimento per ridurre i rischi collegati all'aggressività auto e etero diretta, che la madre è costretta a svolgere attività lavorativa, che i nonni del minore sono ormai anziani e non possono costituire un aiuto costante, che le condizioni dei figlio sono peggiorate sensibilmente da quando lui è detenuto, che il figlio chiede insistentemente la presenza del padre, che la motivazione dell'ordinanza reiettiva è del tutto insufficiente non avendo precisato in cosa consista il supporto dei familiari , che il Tribunale di Sorveglianza non ha valutato adeguatamente le relazioni del servizio sociale, che è stato trascurato l'interesse superiore del minore. Il P.G. chiede l'annullamento con rinvio della ordinanza impugnata. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato, per le ragioni di seguito espresse. Per come visto sopra, il ricorrente aveva richiesto l'ammissione alla detenzione domiciliare speciale prevista dall'art. 47 quinquies O.P. alla base della istanza vi erano le difficoltà che la moglie del predetto incontrava nell'occuparsi di un figlio portatore di un grave handicap. La sua richiesta era stata rigettata sulla scorta della impossibilità di riconoscere, nella fattispecie, la concreta impossibilità assoluta della moglie di occuparsi dei figlio, risolvendosi dette difficoltà nello svolgimento di un lavoro che la impegnava fuori dalla abitazione al contempo, tuttavia, il giudice aveva precisato che le relazioni del servizio sociale evidenziavano che le famiglie dei due genitori seguivano con assiduità il percorso del ragazzo e prestavano tutta l'assistenza imposta dai doveri di solidarietà familiare. Il ricorso del condannato lamenta una motivazione che avrebbe applicato erroneamente la legge e che sarebbe incorsa in una intrinseca illogicità di seguito l'atto enumera molti elementi di mero fatto che, sotto il manto del vizio logico della motivazione, tendono in realtà a cercare una sovrapposizione valutativa da parte del giudice di legittimità. Ma gli argomenti utilizzati non sono accoglibili. È stato richiesto un particolare beneficio penitenziario e cioè quella detenzione domiciliare speciale che è finalizzata alla tutela dei rapporti familiari trattasi di una misura alternativa volta a ripristinare la convivenza con i figli quando non ricorrano i presupposti della concessione della detenzione domiciliare ex art. 47 ter O.P., non sussista un pericolo di reiterazione nel delitto e sia stata espiata comunque una parte consistente della pena inflitta. In definitiva, la doglianza del ricorrente consiste nel lamentare che l'ordinanza impugnata non aveva tenuto nel debito conto la documentazione da esso ricorrente prodotta, attestante le difficili condizioni dei nonni dei ragazzo, sì che non sarebbe stato rispondente al vero che il nucleo della famiglia allargata potesse contribuire ad accudire suo figlio. Il riferimento fatto dal Tribunale di Sorveglianza all'aiuto approntato dai genitori del ricorrente e della moglie per far fronte ai bisogni primari del nucleo familiare non era poi rispettoso delle finalità proprie della legge, tese a salvaguardare esigenze di vita che andavano ben oltre i bisogni primari ravvisati dal Tribunale di Sorveglianza e che coinvolgevano anche bisogni di natura morale. Si tratta di un motivo di ricorso infondato. Invero la struttura logica e giuridica della motivazione dell'ordinanza impugnata è pienamente condivisibile, siccome esente dai vizi denunciati dal ricorrente. La previsione contenuta nell'art. 47 quinquies O.P., comma 7, secondo la quale la pena può essere espiata nella propria abitazione quando trattasi di padre detenuto esercente la potestà di prole di con lui convivente, quando la madre sia deceduta od altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole e quando non vi sia modo di affidare la prole appunto ad altri che al padre, non è automaticamente operativa, qualora detta impossibilità sia costituita dall'attività lavorativa della madre, atteso che la valutazione di tale impossibilità costituisce una questione squisitamente di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, qualora sia sostenuta, come nel caso in esame, da motivazione idonea e pertinente. Va pertanto ritenuto che l'impedimento assoluto ad assistere la prole non può essere stabilito in via generale ed astratta, ma deve essere accertato caso per caso, in relazione alle peculiari connotazioni delle singole situazioni, si che, così come non è condivisibile il principio per cui l'attività lavorativa della madre non può mai costituire impedimento grave, è parimenti inaccettabile ritenere che il lavoro della madre della prole costituisca una causa che fa scattare per il padre l'espiazione della pena nella propria abitazione, dovendosi al contrario verificare caso per caso se esistano strutture di sostegno e di assistenza sociale, ovvero se sia disponibile l'assistenza di altri familiari che possano, all'occorrenza, sostituire la madre. Alla luce dei principi di diritto sopra enunciati, correttamente l'ordinanza impugnata ha rilevato come il ricorrente non ha dimostrato l'esistenza di una situazione di assoluta impossibilità di dare assistenza alla prole, non essendo stata allegata dal ricorrente l'esistenza di specifiche situazioni concrete che integrino l'assoluta impossibilità di assistere il figlio ed avendo anzi l'impugnata ordinanza rilevato che la moglie dei ricorrente è aiutata dai genitori di entrambi, dando atto dell'esistenza di un nucleo familiare allargato, che può contribuire ad accudire anche materialmente al ragazzo, consentendo in tal modo alla madre di prestare attività lavorativa. Tutte le argomentazioni espresse nella ordinanza impugnata sono logiche, coerenti con il dettato normativo e prive di tratti di irragionevolezza al contrario, molti elementi addotti dal ricorrente si mostrano o non documentati in alcun modo o tendenti ad ottenere una valutazione di merito della situazione concreta che ribalti il giudizio - completo e conforme a diritto - già effettuato dal Tribunale di Sorveglianza. Ne consegue che il ricorso va rigettato e che il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.