Definisce “puttaniere” il marito che l’ha tradita: vacilla l’accusa di diffamazione

Parola pronunciata dalla donna durante uno sfogo verbale col figlio. L’episodio arriva alle orecchie del marito che denuncia la moglie per diffamazione. Nonostante il significato inequivocabile del termine, non pare scontata la condanna. Va valutato, difatti, pure il contesto della vicenda, alla luce del conflitto tra i coniugi.

E’ quanto afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 37397/16, depositata l’8 settembre. Il caso. Tuo padre è un puttaniere! . La madre sfoga la propria rabbia parlando col figlio, accompagnato dalla fidanzata, cercando di spiegargli le ragioni della irreversibile crisi familiare, frutto, secondo la donna, del tradimento messo in atto dal marito. Quelle parole arrivano però alle orecchie dell’uomo, che denuncia la moglie, accusandola di averlo diffamato. Nonostante l’inequivocabile significato del termine utilizzato, però, il contesto della vicenda può far pensare ad una semplice critica, per quanto poco ortodossa, e non ad una offesa. Tradimento. Una volta ricostruito l’episodio, il comportamento della donna è ritenuto evidentemente finalizzato ad offendere il marito. Come leggere altrimenti, spiegano il Giudice di Pace e i giudici del Tribunale, il fatto che ella abbia definito un puttaniere il coniuge, per giunta durante un colloquio col loro figlio? Per i giudici, peraltro, è irrilevante che la donna abbia apostrofato così l’uomo dopo avere scoperto che egli l’aveva tradita con un’altra donna. Ciò che conta, difatti, viene sottolineato, è il significato, assolutamente inequivocabile, dell’ espressione utilizzata. Consequenziale e logica, in questa ottica, è la condanna per diffamazione . La donna viene sanzionata con una multa e coll’obbligo di versare un risarcimento al marito, da cui, peraltro, ella si è quasi separata ufficialmente. Contesto . A procedimento penale in corso è arrivata la chiusura della causa di separazione tra i due coniugi. E non a caso, evidenzia la donna, il giudice civile ha addebitato la rottura familiare all’ ex marito . Tale decisione è da collegare, sempre secondo la donna, proprio al tradimento messo in atto dall’uomo, tradimento che l’ha spinta a definirlo un puttaniere . In questa prospettiva la parola utilizzata, spiega il legale in Cassazione, è valutabile come un commento legittimo, frutto anche della necessità per la donna di far comprendere al figlio il comportamento del marito che, come detto, aveva una stabile relazione extraconiugale . A sorpresa la lettura offerta dall’avvocato viene ritenuta plausibile dai magistrati del ‘Palazzaccio’. A loro avviso, sia chiaro, l’attribuzione del connotato di puttaniere al proprio coniuge, per quanto di fatto separato e impegnato in una relazione extraconiugale è sicuramente idonea a lederne la reputazione e la considerazione sociale , soprattutto essa si è concretizzata all’interno della cerchia familiare . Allo stesso tempo, però, non è da escludere che quella parola possa avere un uso funzionale, in determinati contesti, ad argomentare un giudizio che, per quanto violento, rientri tuttavia nel perimetro della critica , intesa come biasimo e disapprovazione espressi col ricorso a toni e frasi aspri e taglienti . Ciò significa che non si può automaticamente relegare l’espressione ‘puttaniere’ nella zona delle parole offensive. Piuttosto è necessario valutare, spiegano i magistrati, il comportamento della donna ragionando sul contesto , così da porre in evidenza modi e ragioni di quella esternazione . In particolare, va tenuto presente che ella ha spiegato di aver fatto ricorso all’espressione puttaniere”, durante un colloquio col figlio maggiorenne , perché adatta a definire il comportamento del coniuge da cui si era separata a causa di una relazione extraconiugale , comportamento non adeguatamente compreso dal ragazzo con cui erano sorte gravi incomprensioni . Vacilla, quindi, l’ipotesi della diffamazione . E palla perciò nuovamente ai giudici del Tribunale, che dovranno riesaminare con attenzione la vicenda prima di pronunciarsi sul comportamento tenuto dalla donna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 giugno – 8 settembre 2016, n. 37397 Presidente Fumo – Relatore Vessichelli Ritenuto in fatto 1. Propone ricorso per cassazione S. C., avverso la sentenza del Tribunale di Teramo in data 10 aprile 2015 con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine al reato di diffamazione commesso il 15 novembre 2011 in danno di G.A. A. L'imputata è stata condannata alla pena della multa e al risarcimento del danno per avere dichiarato a due diverse persone figlio proprio e della vittima nonchè relativa fidanzata che il G. era un puttaniere. La tesi dell'imputata disattesa dal giudice dell'appello per essere, l'espressione, ritenuta caratterizzata da incontinenza era quella di aver esercitato il diritto di critica nei confronti del marito di cui essa aveva scoperto una convivenza more uxorio, oggetto dei commenti all'interno della propria stretta cerchia familiare. 2. Deduce il vizio della motivazione con riferimento sia al mancato riconoscimento della scriminante dell'esercizio del diritto di critica sia, in subordine, al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto ai sensi dell'articolo 131 bis CP. II giudice dell'appello aveva omesso di vagliare la prima richiesta in base alla mera ed apodittica affermazione che la qualifica di puttaniere sarebbe di per sé incontinente. Deduce altresì, correlativamente, la violazione dell'articolo 51 cp e dell'articolo 21 della Costituzione, non risultando considerati i motivi e le ragioni per le quali essa imputata, protagonista assieme al marito di una causa di separazione con addebito di responsabilità a carico della odierna PO, aveva ritenuto di commentare il comportamento del marito impegnato, come detto, in una stabile relazione extraconiugale con il figlio J. che si era recato, con la fidanzata, a farle visita. Richiama in particolare la giurisprudenza che riconosce il diritto di critica in ambiti associativi assimilabili alla famiglia, quali il condominio, le associazioni private, le associazioni sindacali ed i partiti politici tanto più -prosegue che, nel caso di specie, il commento era giustificato dalla ritenuta violazione delle regole sulle quali si regge la convivenza coniugale, e dalla necessità, per la madre, di spiegare al figlio, che aveva assunto un atteggiamento ad essa contrario, le proprie ragioni in merito alla separazione con la conseguenza che il comportamento in contestazione non poteva essere ritenuto una gratuita e immotivata aggressione alla sfera personale del soggetto preso di mira. In data 16 giugno 2016 è pervenuta una memoria nella quale la difesa, nell'insistere sui motivi già rappresentati, ha segnalato la sopravvenuta definizione, davanti al giudice di appello civile, della causa di separazione personale dei coniugi C. G. sentenza della Corte di appello di L'Aquila, del 15 gennaio 2016 , con conferma del riconoscimento dell'addebito della separazione al solo marito ha altresì riportato brani della deposizione della imputata dinanzi al Giudice di pace, non adeguatamente valorizzati nelle sentenze di merito ha infine rinnovato la richiesta di definizione ai sensi dell'art. 131 bis cp. Considerato in diritto II ricorso è fondato. E' infatti meritevole di accoglimento il motivo di ricorso col quale si è denunciato il vizio di motivazione riguardo al mancato riconoscimento dell'esercizio del diritto di critica e la correlata violazione di legge. Balza all'evidenza che il giudice dell'appello ha ritenuto di non dovere ulteriormente affrontare il sollevato tema della configurabilità della esimente del diritto di critica, ritenendone assente, con certezza, uno dei requisiti fondanti e cioè quello della necessaria continenza delle espressioni usate. Ed è proprio in tale preliminare valutazione che pure correttamente presuppone la valenza gravemente offensiva della reputazione altrui, propria della espressione sopra citata che si ravvisa il vizio di motivazione e la violazione di legge denunciati dalla impugnante. Il detto requisito della continenza delle espressioni attraverso le quali si estrinseca il diritto alla libera manifestazione del pensiero anche con la parola oltre che con ogni altro mezzo di diffusione , di rilevanza e tutela costituzionali art. 21 Cost. , viene così rappresentato dalla giurisprudenza di legittimità esso postula una forma espositiva corretta della critica rivolta e cioè strettamente funzionale alla finalità di disapprovazione e che non trasmodi nella gratuita ed immotivata aggressione dell'altrui reputazione. D'altra parte esso non vieta in alcun modo l'utilizzo di termini che, sebbene oggettivamente offensivi, siano insostituibili nella manifestazione del pensiero critico, in quanto non hanno adeguati equivalenti. E' solo fatto carico al giudice di verificare se la valenza negativa dei giudizio espresso possa trovare conforto in elementi positivamente apprezzabili che lo giustifichino e valgano nel contempo ad escludere che si tratti di invettiva volta soltanto ad aggredire la personalità del destinatario, e in ultima analisi ad umiliarlo, al di fuori di un contesto critico e di una funzionalità argomentativa Sez. 5, Sentenza n. 31669 del 14/04/2015 Ud. dep. 21/07/2015 , Marcialís, Rv. 264442 . Sulla stessa linea Sez. 5, Sentenza n. 15060 del 23/02/2011 Ud. dep. 13/04/2011 , Dessi, Rv. 250174 ha affermato che il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l'uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest'ultimo in quanto tale. Ciò posto, va evidenziato che il giudice dell'appello non ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati, sicchè si impone l'annullamento della sentenza affinchè l'analisi mancante venga invece condotta. Non è qui in discussione, invero, come già rilevato in premessa, il fatto che l'attribuzione dei connotato di puttaniere al proprio coniuge, per quanto di fatto separato e impegnato in una relazione extra-coniugale, possa valere oggettivamente e con tutti i connotati del dolo per chi pronuncia la espressione a lederne la reputazione e dunque la considerazione sociale, soprattutto se quella attribuzione è avvenuta ad opera della ex moglie nel contesto di un colloquio all'interno della cerchia familiare, per la evidente necessità che il diritto alla reputazione trovi tutela per il singolo anche nella formazione sociale di base quale è la propria famiglia naturale. Non può tuttavia non considerare questa Corte, sulla base di massime di esperienza di comune accettazione e condivisione, che è manifestamente illogico e insufficiente il giudizio che qualifichi la detta espressione come ontologicamente concepibile solo per apportare un vulnus alla considerazione dell'offeso e non anche, piuttosto, passibile di un uso funzionale, in determinati contesti, ad argomentare un giudizio sulla persona offesa che, per quanto violento, rientri tuttavia nel perimetro della critica. Perchè non si può derogare dal rilevare che, in tema di diffamazione, la nozione di critica , quale espressione della libera manifestazione dei pensiero, ormai ammessa senza dubbio dalla elaborazione giurisprudenziale di legittimità e di merito, rimanda non solo all'area dei rilievi problematici ma anche e soprattutto a quella della disputa e della contrapposizione oltre che della disapprovazione e dei biasimo anche con toni e frasi aspri e taglienti, non essendovi limiti astrattamente concepibili all'oggetto della libera manifestazione dei pensiero, se non quelli specificamente tn& amp e& amp ' dal legislatore. Limiti sono stati invece tracciati dal pensiero giuridico condiviso per garantire la contemporanea difesa dei diritti inviolabili dell'uomo, quale quello previsto dall'art. 2 Cost. , pretendendo che non si attribuiscano ad altri fatti falsi, per la evidente assenza, in tal caso, di un difendibile e legittimo costrutto critico, e che la offesa sia effettivamente necessaria e solo funzionale alla formulazione della critica, sicchè non deve risultare una invettiva gratuita. Ed allora, sulla base di tali presupposti, va notato che il giudice dell'appello ha relegato la espressione puttaniere nell'area di quelle prive di continenza, senza offrire alcuna spiegazione a tale conclusione. Una simile conclusione risulta dunque, all'evidenza, meramente assertiva e deficitaria , non fosse altro in base al rilievo che il sostantivo in questione presenta più di una comune accezione. Vi è infatti quella, derivante dalla sua letteralità, di connotazione di persona dedita alla frequentazione di meretrici, indubbiamente capace non solo di offendere ma anche di bollare il destinatario di essa, quando pronunciata al di fuori di una prospettiva ironica. Ma vi è anche quella, non ineludibilmente incontinente, di donnaiolo, playboy o uomo alla perenne ricerca di avventure amorose frivole e passeggere, che è la accezione riconosciuta nella lingua italiana traslata . Per tralasciare del tutto la accezione , qui non rilevante, in cui il termine è usato in letteratura per designare chi non limita le proprie esperienze e dunque in senso anche metaforico. Di questi principi il giudice del merito dovrà prendere atto nella disamina e nella valutazione dell'accaduto, considerando che, secondo i principi elaborati da questa Corte, solo le espressioni che trasmodino in un'incontrollata aggressione verbale dei soggetto criticato e si concretizzino nell'utilizzo di termini gravemente infamanti e inutilmente umilianti superano il limite della continenza nell'esercizio dei diritto di critica Sez. 5, Sentenza n. 29730 del 04/05/2010 Ud. dep. 28/07/2010 , Andreotti, Rv. 247966 . E ai fini di tale rinnovato giudizio dovrà il giudice del rinvio calare il comportamento offensivo della imputata nel contesto ambientale, temporale e storico nel quale esso è stato tenuto, al fine di far emergere i modi e le ragioni della esternazione , la quale non può certo essere giudicata in modo avulso dal complessivo colloquio e dai termini dello scambio di opinioni in essere in quel frangente soprattutto non sottraendosi al dovere di valutare l'aggettivo in relazione alla affermazione della donna, recepita come tale anche nella sentenza di appello, secondo cui quella espressione sarebbe stata quella adatta a definire il comportamento del coniuge dal quale si era separata a causa di una relazione extraconiugale, e, secondo la stessa, non adeguatamente compreso dal figlio maggiorenne con il quale erano insorte gravi incomprensioni a causa di ciò. Il motivo riguardante l'art. 131 bis cp resta assorbito. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Teramo. Dispone l'oscuramento dei dati identificativi della ricorrente in ipotesi di divulgazione della sentenza.