Omesso versamento IVA: sempre sequestrabile il denaro presente nei conti correnti della società

In ipotesi di reato tributario, qualora il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, anche derivante da un risparmio di spesa la confisca delle somme di cui il soggetto disponga deve sempre essere qualificata come confisca diretta. In tale caso, tenuto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma oggetto della confisca e il reato.

Questo il principio di diritto ribadito dalla Terza Sezione Penale, che, con la sentenza n. 37172/16 depositata il 7 settembre, ha chiarito il concetto di profitto del reato tributario omissivo. Dei confini tra confisca diretta e per equivalente. La questione giuridica sottostante alla pronuncia in esame è ormai nota, frutto di un accesso confronto e dibattito giurisprudenziale, che si protrae da diversi anni e che ha portato alla nota pronuncia Gubert Cass. n. 10561/14 delle Sezioni Unite. Con tale pronuncia, i cui principi di diritto non a caso vengono integralmente ripercorsi nella parte motiva della sentenza in commento, si sono chiarite una serie di questioni di primaria importanza. Si è infatti ribadita l’ammissibilità del sequestro finalizzato alla confisca diretta di beni e denaro nella disponibilità della persona giuridica, riconducibili al profitto del reato tributario commesso nell’interesse della persona stessa, ma al contempo si è negata la ammissibilità, in danno della stessa, del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Consentito, invece, il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in danno degli organi della persona giuridica, che abbiano commesso il reato tributario nell’interesse di questa, ma solo allorchè non sia possibile, anche transitoriamente, il sequestro diretto in danno della persona giuridica. Il concetto di profitto del reato. E’ di tutta evidenza che alla luce dei suddetti principi assume rilevanza decisiva definire il concetto di profitto del reato ed in particolare in ipotesi di reato tributario, in quanto la confisca diretta ha ad oggetto proprio il profitto del reato. Come noto il profitto del reato consiste nella utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato e dunque legata da un nesso pertinenziale al crimine realizzato. Per contro, la confisca indiretta o per equivalente ha ad oggetto beni o denaro di cui il reo ha la disponibilità che abbiano un valore equivalente al profitto del reato ed è destinata ad operare solo nei casi in cui non sia possibile la confisca diretta. Rientrano tuttavia nel concetto di profitto del reato e dunque suscettibile di confisca diretta, per costante giurisprudenza, non solo i beni appresi per effetto immediato e diretto del reato, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato anche in via indiretta o mediata. Nel dettaglio in tema di reati tributari la giurisprudenza ha chiarito che il profitto del reato consiste in qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e dunque ben può consistere anche in un risparmio di spesa, derivante dal mancato pagamento di un tributo o di una imposta. Ulteriormente la giurisprudenza ha chiarito che anche il bene acquistato in modo diretto con il reinvestimento delle somme non versate all’Erario rientra nella categoria del profitto del reato e ciò anche in caso di reato tributario omissivo sia in tema di dichiarazione che di omesso versamento di IVA o ritenute , in cui il profitto originario si identifica con il risparmio di imposta non versata. Il denaro profitto del reato. Come ben si è chiarito nel paragrafo precedente si è assistito ad un, per certi versi, sorprendente ampliamento del concetto di profitto del reato che ha portato, ad avviso di chi scrive, ad un altrettanto progressivo indebolimento di quello che avrebbe dovuto essere l’elemento caratterizzante il sequestro finalizzato alla confisca diretta il nesso di pertinenzialità tra le res oggetto del provvedimento ablativo ed il reato commesso. Detto processo è stato portato alle estreme conseguenze nel caso in cui, come nei reati tributari in esame nella ipotesi di specie, il profitto del reato sia rappresentato da un somma di denaro risparmiata, siccome non versata a titolo di imposta o tributo. In tale caso, secondo la pronuncia in esame, la confisca delle somme di cui il soggetto disponga deve sempre essere qualificata come confisca diretta, in tale caso infatti, tenuto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma oggetto della confisca e il reato. La conseguenza è che nel caso di reato tributario commesso nell’interesse di una persona giuridica, qualunque somma di denaro venga rinvenuta nella disponibilità della persona giuridica medesima, costituisce profitto del reato, senza che occorra nessuna prova di nesso di pertinenzialità con il reato tributario commesso, ed in quanto tale è passibile di confisca diretta. Una giurisprudenza creativa? Non pare azzardato, a chi scrive, affermare che ci si trovi di fronte ad uno, degli ormai innumerevoli, casi di giurisprudenza creativa. Appare indubbio lo straordinario ampliamento del concetto di profitto del reato correlato ad una, conseguente, assai più ampia operatività della misura del sequestro finalizzato alla confisca in danno delle persone giuridiche nel cui interesse sia stato commesso il reato. Come noto, per una evidente lacuna legislativa oggetto di già diverse sollecitazioni giurisprudenziali, sin dalle Sezioni Unite Gubert, non vi è oggi alcuna norma che consenta il sequestro per equivalente in danno della persona giuridica nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario. La reazione giurisprudenziale a fronte di tale carenza è stata quella di ampliare a dismisura il concetto di profitto di reato e dunque di ciò che è passibile di confisca diretta in quanto, per contro, la confisca diretta in danno della persona giuridica nel cui interesse è commesso il reato è naturalmente consentita. Ennesimo rimedio, frutto di una tendenza, che, a sommesso avviso di chi scrive, appare tutt’altro che virtuosa e non scevra di rischi.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 luglio 7 settembre 2016, n. 37172 Presidente Amoresano Relatore Di Stasi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 2.3.2016, il Tribunale di Roma, pronunciando in sede di rinvio a seguito della sentenza n. 15736 del 16.1.2015 di questa Corte, confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 13.6.2013 nei confronti di S.S. in relazione al reato di cui all’art. 10 bis d.lvo n. 74/2000 per le annualità dal 2006 al 2011 per un ammontare complessivo di Euro 1.709.330,88. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione S.S. , per il tramite del difensore di fiducia, articolando il motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 comma 1, disp. att. cod. proc. pen. violazione di legge con riferimento all’art. 627 comma 3 cod. proc. pen Il ricorrente deduce che il decreto di sequestro preventivo, emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma in data 13.6.2013 non ha mai riguardato conti correnti o altre disponibilità della Edizioni Roma scarl e non contiene l’esposizione delle ragioni che renderebbero impossibile procedere al sequestro diretto in pregiudizio della predetta società la Corte di Cassazione ha annullato due ordinanze del Tribunale del riesame disponendo un nuovo esame diretto a verificare se fosse possibile eseguire il sequestro preventivo, prodromico alla confisca, direttamente sulle disponibilità liquide della Edizioni della Roma scarl l’ordinanza impugnata è stata preceduta da provvedimento interlocutorio con il quale si chiedeva al PM di inviare ulteriori atti necessari a verificare la predetta disponibilità ma a tanto il PM non ha ottemperato l’ordinanza impugnata ha, quindi, richiamato soltanto gli atti esecutivi dell’originario sequestro omettendo l’accertamento in concreto richiesto dalla Suprema Corte. Chiede, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e del decreto di sequestro preventivo. Il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte ha rassegnato ex art. 611 cod. proc. pen. proprie conclusioni, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso rimarcando che in sede di rinvio il giudice ha valorizzato le emergenze fattuali che davano atto dell’assenza di provvista nei conti correnti della società al momento di disposizione del sequestro per equivalente in danno del ricorrente. In data 17.6.2016 la difesa del ricorrente ha depositato memoria difensiva nella quale ha ribadito il motivo di ricorso e confutato le argomentazioni contenute nella requisitoria scritta del Procuratore generale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Va premesso che le Sezioni Unite di questa Suprema Corte, con la sentenza n. 10561/2014, Gubert, hanno affermando i seguenti principi di diritto È consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto o beni direttamente riconducibili al profitto sia nella disponibilità di tale persona giuridica . Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio . Non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti degli organi della persona giuridica per reati tributari da costoro commessi, quando sia possibile il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa in capo a costoro o a persona compresa quella giuridica non estranea al reato . - L’impossibilità del sequestro del profitto di reato può essere anche solo transitoria senza che sia necessaria la preventiva ricerca generalizzata dei beni costituenti il profitto di reato . 2.1. La pronuncia delle Sezioni Unite rimarca, innanzitutto, la distinzione tra la confisca diretta del profitto del reato e l’istituto dalla confisca per equivalente. La confisca diretta o confisca di proprietà , prevista dall’art. 240 c.p. come misura facoltativa e resa obbligatoria per alcuni reati dall’art. 322 ter c.p., ha per oggetto il profitto del reato, vale a dire l’utilità economica direttamente o indirettamente conseguita con la commissione del reato. La confisca per equivalente o confisca di valore , invece, ha per oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente al profitto del reato ed è destinata ad operare nei casi in cui la confisca diretta non sia possibile. Nella nozione di profitto che consente la confisca diretta non rientrano solo i beni appresi per effetto diretto e immediato dell’illecito, ma anche ogni altra utilità comunque ottenuta dal reato, anche in via indiretta o mediata ad esempio i beni acquistati con il denaro ricavato dall’attività illecita oppure l’utile derivante dall’investimento del denaro di provenienza criminosa . L’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 legge finanziaria 2008 , ha esteso ai delitti tributari di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, le disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p., norma che rende obbligatoria per alcuni reati contro la pubblica amministrazione la confisca del prezzo o profitto del reato e che introduce la possibilità di procedere alla confisca per equivalente nel caso in cui tale prezzo o profitto non sia facilmente aggredibile. Pertanto, nel caso di condanna, o di applicazione della pena su richiesta delle parti, per uno dei delitti tributari previsti dagli articoli sopra richiamati, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato confisca diretta quando ciò non è possibile, avrà luogo la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto confisca per equivalente . A seguito dell’abrogazione di tale norma ad opera del decreto legislativo n. 158/2015, l’art. 10 del predetto decreto legislativo ha contestualmente introdotto il nuovo art. 12 bis del d.lgs. n. 74/2000, riconducendo cosi la disposizione contenuta nell’art. 1 co. 143 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 legge finanziaria 2008 nell’ambito del decreto legislativo n. 74/2000. La nuova norma dispone, infatti, che nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale per uno dei delitti previsti dal presente decreto è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di beni, di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto. Consegue, pertanto, che la confisca diretta del profitto di reato è possibile anche nei confronti di una persona giuridica per le violazioni fiscali commesse dal legale rappresentante o da altro organo della persona giuridica nell’interesse della società, quando il profitto o i beni direttamente riconducibili a tale profitto siano rimasti nella disponibilità della persona giuridica medesima. Si deve, invece, escludere la possibilità di procedere a confisca per equivalente di beni della persona giuridica per reati tributari commessi dal legale rappresentante, salva l’ipotesi in cui la persona giuridica stessa sia in concreto priva di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso cui l’amministratore agisce come effettivo titolare. Si osserva, a tal profilo, che il rapporto organico che esiste tra persona fisica e società non è di per sé idoneo a giustificare l’estensione dell’ambito di applicazione della confisca per equivalente. Inoltre, non può trovare applicazione il principio per cui a ciascun concorrente devono imputarsi le conseguenze del reato. Nell’ordinamento vigente, infatti, è prevista solo una responsabilità amministrativa degli enti e non una responsabilità penale, sicché l’ente non è mai autore del reato e non può essere considerato concorrente. Va pure osservato che il d.lgs. n. 231 del 2001 non include i reati tributari fra quelli per cui è prevista la responsabilità della persona giuridica. Si evidenzia, inoltre, che la confisca per equivalente dei beni della società non può fondarsi neppure sull’assunto che l’autore del reato abbia la disponibilità di tali beni in quanto amministratore, essendo tale disponibilità nell’interesse dell’ente e non della persona fisica. Sul piano del diritto positivo, infine, non vi è alcuna disposizione normativa che consenta di disporre la confisca per equivalente di beni appartenenti a una persona giuridica nel caso di violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante e stante il carattere eminentemente sanzionatorio della confisca per equivalente, le norme che la prevedono non possono essere applicate oltre ai casi espressamente considerati, a ciò ostando il divieto di applicazione analogica in malam partem vigente nella materia penale. 2.2. Assume, quindi, rilievo la definizione del concetto di profitto nei reati tributari. Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che, in tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell’accertamento del debito tributario Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255036 Sez. 3, n. 11836 del 04/07/2012, Bardazzi, Rv. 254737 Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253480 più in generale, sulla riconducibilità al profitto del risparmio di spesa si veda, altresì, Sez. U, n. 38343, n. 24/04/2014, Espenhahn, Rv. 261117 . Tali elementi concorrono, quindi, nel loro insieme a configurare quel vantaggio economico di natura illecita che è effetto della commissione del reato. Anche il bene acquisito in modo diretto con il reinvestimento delle somme non versate all’Erario va ascritto alla categoria del profitto del reato Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert Sez. 6, n. 11918 del 14/11/2013, Rossi, Rv. 262613 Sez. 6, n. 4114 del 21/10/1994, Giacalone, Rv. 200855 più in generale, si veda anche Sez. U, n. 10280 del 25/10/2007, Miragliotta, Rv. 238700 . Tale principio è stato affermato con riferimento a tutti i delitti in materia di dichiarazione, artt. 2,3,4 e 5 del d.lgs 74/2000 Sez. 3, 27.11.2013, Rv 257918 Sez. 3, 2.12.2011, Rv 251893 con riferimento alle violazioni di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater che attengono alla fase esecutiva del rapporto tributario Sez Un. 28.3.2013, Rv 255757 , con ragionamento sovrapponibile, il profitto del reato è stato individuato con le risorse finanziare che non sono state versate. 2.3. Secondo il recente arresto di questa Suprema Corte qualora il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, la confisca delle somme di cui il soggetto abbia comunque la disponibilità deve essere qualificata come confisca diretta in tal caso, tenuto conto della particolare natura del bene, non occorre la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci . Si sostiene, a tal fine, che ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere - né sul piano economico né su quello giuridico - la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacché, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore l’oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, così, l’ablazione di altro bene di pari valore . 3. L’ordinanza impugnata ha fatto buon governo dei principi di diritto suesposti uniformandosi alla questione di diritto decisa con la sentenza di annullamento con rinvio di questa Corte del 16.1.2015, rilevando, dall’esame degli atti processuali, che risulta eseguito un sequestro diretto su conto corrente intestato alla Edizioni del Roma s.c.a.r.l. l’unico dei quattro intestati alla predetta società con saldo attivo per la somma di Euro 1.258,18 a fronte di un sequestro disposto per Euro 1.709.330,88 . Ne deriva, pertanto, la legittimità del sequestro per equivalente effettuato sui beni personali del ricorrente, nella qualità di legale rappresentante della Edizioni del Roma s.c.a.r.l. , emergendo l’impossibilità di disporre il sequestro finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto del reato tributario. Non è, condivisibile l’impostazione del ricorrente nella parte in cui esige un vero e proprio accertamento preliminare da parte del PM - per il quale, invece, è sufficiente la valutazione di quanto già emerge dagli atti. Va ricordato che, in tema di reati tributari il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per equivalente , in luogo di quella diretta , all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato, incombendo al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta. Sez. 3 del 11.11.2014 n. 1738, dep. 15/01/2015, Rv. 261929 Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, Rv. 265028 . La questione è stata adeguatamente considerata dal Tribunale, in linea con il principio di diritto suesposto, e la relativa motivazione è adeguata e si sottrae al sindacato di legittimità. Va ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 Sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Rv. 245093 sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Rv. 254893 . 4. Consegue, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.