Più condotte di bancarotta non escludono l’attenuante della tenuità dei fatti

La contemporanea sussistenza di più ipotesi di bancarotta non esclude ex se l’applicabilità dell’attenuante della particolare tenuità dei fatti prevista all’art. 219, comma 3, l. fall Infatti, compiere più condotte rilevanti penalmente ai sensi dell’art. 216 l. fall. è considerabile come un’ipotesi aggravata tale da poter essere bilanciata con circostanze di segno opposto, tra cui l’attenuante citata.

In tali termini si è espressa la S.C. con la sentenza n. 36816, depositata il 5 settembre 2016. La vicenda. A seguito di condanna per i reati di bancarotta documentale e distrattiva, l’imputato impugnava la decisione della Corte, prima in appello e poi in Cassazione, dolendosi, tra i vari motivi, della violazione dell’art. 219, comma 3, l. fall. per avere la Corte territoriale escluso l’applicazione dell’attenuante prevista da tale norma, sulla considerazione che il soggetto avesse adottato una pluralità di condotte rilevabili penalmente. Secondo l’imputato tale rilievo è da ritenere errato alla luce del fatto che la tenuità citata dalla norma è da riferire non alla condotta ma al danno cagionato, che nel caso di specie era contenuto essendo stati i beni oggetto di distrazione di valore scarso e modesto. Precisazioni sulla concessione dell’attenuate della tenuità del fatto. I Giudici di Legittimità considerano il motivo fondato. Il fatto che siano state contemporaneamente integrate le condotte di bancarotta documentale e distrattiva non comporta l’inapplicabilità a priori dell’attenuante ex art. 219, comma 3, l. fall La pluralità di condotte di bancarotta è da considerare come un’ipotesi aggravata, tale da poter essere sottoposta ad un giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti applicabili al caso concreto. E, nulla esclude che, a seguito di tale raffronto, le circostanze possano essere ritenute equivalenti, o che possano addirittura prevalere quelle di favor rei . Ciò è del tutto conforme al fatto che la norma, come correttamente rilevato dall’imputato, deve essere intesa nel senso che il dato empirico della pluralità dei fatti non ha nulla a che vedere con il paramento da prendere in considerazione ai fini della concessione dell’attenuante citata, riconducibile esclusivamente al quantum del danno cagionato . Fonte www.ilfallimentarista.it

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 maggio 5 settembre 2016, n. 36816 Presidente Savani Relatore Micheli Ritenuto in fatto Il difensore di C.C. ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa dal Gup del Tribunale di Savona, all’esito di giudizio abbreviato, nei riguardi del suo assistito. L’imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per reati di bancarotta, correlati alla gestione della Internet Progetti s.r.l., società dichiarata fallita nel dicembre 2003 e della quale il C. era stato legale rappresentante, nella veste di presidente del consiglio di amministrazione. Con l’odierno ricorso, la difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 43 cod. pen., 216, 219 e 223 legge fall., nonché carenze motivazionali della sentenza impugnata. La tesi difensiva qui ribadita non avendo la Corte territoriale esaminato la doglianza già proposta in sede di motivi di gravame è che nella fattispecie manchi lo stesso oggetto materiale del reato di bancarotta per distrazione, atteso che la rubrica si riferisce a beni - mobilio e materiale informatico - genericamente indicati, senza che neppure risulti provato l’apprezzabile valore economico degli stessi. In alcuni scritti prodotti ai giudici di merito era stato peraltro dimostrato che, laddove l’accusa avesse inteso riferirsi ad alcuni beni acquistati prima della cessazione dell’attività pacificamente avvenuta nel 1999-2000 , il valore degli stessi alla data del fallimento avrebbe dovuto considerarsi irrisorio, stante l’obsolescenza tecnogica - e, conseguentemente, finanziaria - verificatasi in tre anni non vi fu, in definitiva, alcuna distrazione in senso penalmente rilevante, dal momento che i beni de quibus neppure rivendibili, perché non richiesti dal mercato non avrebbero potuto comunque assolvere alla funzione di garanzia in favore dei creditori. In ogni caso, l’imputato aveva segnalato al curatore fallimentare che i beni medesimi stante la chiusura delle varie sedi operative della società potevano trovarsi presso locali messi a disposizione dai soci o da loro parenti, rendendone così praticabile la riconsegna tale circostanza, unitamente alla inesistenza di un disegno di sottrazione di quelle risorse dal patrimonio della Internet Progetti, avrebbe dovuto escludere il dolo della bancarotta. A riguardo, il ricorrente richiama le pronunce di legittimità - segnatamente, la sentenza n. 47502 del 24/09/2012, ric. Corvetta - sulla necessità che il fallimento, o comunque lo stato di insolvenza che ne è presupposto, sia dall’agente preveduto e voluto, quanto meno a titolo di dolo eventuale. Anche in ordine alla contestata bancarotta documentale, la difesa fa osservare che l’omessa tenuta delle scritture contabili non fu strumentale a realizzare una oggettiva impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società, in pregiudizio dei creditori, ma conseguì semplicemente alla cessazione dell’attività sarebbe stato pertanto necessario ravvisare il meno grave addebito di bancarotta semplice - violazione dell’art. 219, comma terzo, legge fall., nonché omessa e contraddittoria motivazione Nell’interesse del C. si fa presente che la Corte territoriale avrebbe escluso la configurabilità dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità sul rilievo della accertata sussistenza di fatti di bancarotta sia documentale che per distrazione rilievo da considerare errato, atteso che la circostanza in esame attiene solo all’entità del danno cagionato. In ogni caso, si legge nel ricorso che quanto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale, è la stessa sentenza di primo grado che, nel concedere le attenuanti generiche, pone l’accento, proprio e per l’appunto, sul valore modesto e scarso dei beni oggetto di distrazione , mentre non risulta provata dall’accusa l’effettiva, presunta incidenza della omessa tenuta delle scritture contabili sulle ragioni creditorie. Considerato in diritto 1. Il ricorso è solo parzialmente fondato. 1.1 Quanto al primo profilo di doglianza, va considerato che la rubrica non può intendersi affatto generica, in ordine all’indicazione dei beni che si assumono oggetto di distrazione e del relativo valore come si legge già nella motivazione della sentenza di primo grado, infatti, il curatore fallimentare diede atto in sede di inventario del mancato rinvenimento di alcuni materiali iscritti nel registro dei beni ammortizzabili oltre che della quasi totalità delle scritture , evidentemente richiamando specifiche risultanze contabili. Tant’è che entrambe le pronunce di merito danno atto della chiara ed immediata comprensione dell’addebito da parte del diretto interessato il C. , stando al contenuto del predetto verbale di inventario, ammise subito che i beni si trovavano nella sua disponibilità impegnandosi a riconsegnarli alla curatela, senza che ciò abbia avuto un seguito v. ancora la sentenza del Gup l’impegno fu ribadito anche nel corpo di scritti difensivi posteriori come sottolinea la Corte di appello a pag. 3, con l’ulteriore precisazione che l’odierno ricorrente aveva segnalato di custodire i beni de quibus in un proprio garage , e rimase non di meno disatteso. Da un lato, quindi, il C. si impossessò di risorse della società, di valore presumibilmente modesto ma non nullo così si esprimono i giudici di merito, che dunque risultano avere affrontato la questione , sottraendosi poi all’obbligo di metterle a disposizione degli organi della procedura concorsuale dall’altro, egli ricevette nel gennaio del 2002 la totalità delle scritture consegnategli dal commercialista incaricato della relativa tenuta, come chiarito dalla Corte territoriale a pag. 4 sulla base di risultanze documentali e testimoniali , poi rimettendone solo una parte al curatore, non consentendo così a quest’ultimo di ricostruire il giro di affari della società nei periodi in cui era stata operativa, indipendentemente dalla circostanza della cessazione dell’attività medio tempore. Va poi chiarito che l’orientamento giurisprudenziale evocato nel ricorso, secondo cui nel reato di bancarotta fraudolenta lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso, e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo Cass., Sez. V, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv 253493 risulta in contrasto con il consolidato indirizzo di questa Corte, sia precedente che successivo alla pronuncia medesima, rimasta sostanzialmente isolata. La giurisprudenza di legittimità aveva infatti già affermato che nel reato de quo i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori per nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, sicché né la previsione dell’insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell’atto dispositivo, né la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell’atto, possono essere condizioni essenziali ai fini dell’antigiuridicità penale della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l’esistenza di un tal nesso lo ha previsto espressamente nell’ambito della legge fallimentare, all’art. 223, distinguendo le condotte previste dall’art. 216 art. 223, comma 1, legge fall. da quelle specificamente volte a cagionare il dissesto economico della società art. 223, comma 2 , per modo che solo in tali ultime fattispecie delittuose è previsto un nesso causale o psichico tra condotta ed evento Cass., Sez. V, n. 39546 del 15/07/2008, Bonaldo v. anche Cass., Sez. V, n. 44933 del 26/09/2011, Pisani . Numerose pronunce posteriori alla sentenza Corvetta appaiono tornate a sposare l’orientamento ora illustrato, ribadendo che ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento Cass., Sez. V, n. 7545 del 25/10/2012, Lanciotti, Rv 254634 v. anche Cass., Sez. V, n. 27993 del 12/02/2013, Di Grandi, nonché Cass., Sez. V, n. 47616 del 17/07/2014, Simone . Deve, in definitiva, ritenersi che la condotta sanzionata dall’art. 216 legge fall. - per le società, dall’art. 223, comma primo - non sia quella di avere cagionato lo stato di insolvenza o di avere provocato il fallimento, bensì - assai prima - quella di depauperamento dell’impresa, consistente nell’averne destinato le risorse ad impieghi estranei all’attività. La rappresentazione e la volontà dell’agente debbono perciò inerire alla deminutio patrimonii semmai, occorre la consapevolezza che quell’impoverimento dipenda da iniziative non giustificabili con il fisiologico esercizio dell’attività imprenditoriale tanto basta per giungere all’affermazione del rilievo penale della condotta, per sanzionare la quale è sì necessario il successivo fallimento, ma non già che questo sia oggetto di rappresentazione e volontà - sia pure in termini di semplice accettazione del rischio di una sua verificazione - da parte dell’autore. È del resto innegabile che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie disegnata come reato di pericolo, come già avvertito nella motivazione della sentenza Pisani, sopra richiamata fattispecie in relazione alla quale il giudice delle leggi ebbe da tempo a rilevare che il legislatore avrebbe potuto considerare la dichiarazione di fallimento come semplice condizione di procedibilità o di punibilità, ma ha invece voluto richiedere l’emissione della sentenza per l’esistenza stessa del reato. E ciò perché, intervenendo la sentenza dichiarativa di fallimento, la messa in pericolo di lesione al bene protetto si presenta come effettiva e reale Corte Cost., sentenza n. 146 del 27/06/1982 la bancarotta fraudolenta patrimoniale è dunque, più propriamente, reato di pericolo concreto, dove la concretezza del pericolo assume una sua dimensione effettiva soltanto nel momento in cui interviene la dichiarazione di fallimento, condizione peraltro neppure indispensabile per l’esercizio dell’azione penale o per l’adozione di provvedimenti de libertate , ai sensi del combinato disposto degli artt. 7 e 238 legge fall. 1.2 È invece fondato, ad avviso del collegio, il secondo motivo di ricorso. Secondo la Corte territoriale, la contemporanea sussistenza di due ipotesi di bancarotta distrattiva e documentale rende inapplicabile la richiesta concessione della circostanza attenuante della particolare tenuità dei fatti di bancarotta, ex art. 219, comma terzo, legge fall. il rilievo non può condividersi. In vero, la pluralità delle condotte di bancarotta è già considerata dall’ordinamento quale fattispecie aggravata pur risolvendosi in una peculiare ipotesi di continuazione fallimentare , sottratta però alla disciplina di cui all’art. 81 cpv. cod. pen. , non a caso bilanciabile con eventuali circostanze di segno contrario, ivi compresa l’attenuante che la difesa, nel caso oggi in esame, aveva invocato e continua a sollecitare. Ben può darsi, pertanto, che a fronte di più comportamenti di rilievo penale ex artt. 216 e segg. legge fall., ciascuno dei quali produttivo di una modesta lesione del bene giuridico tutelato dalle norme suddette, il giudice ritenga le due circostanze equivalenti, o giunga a considerare prevalente quella favorevole al reo del resto, il dato empirico della pluralità dei fatti non ha nulla a che vedere con i parametri cui avere riguardo ai fini della concessione dell’attenuante prevista dal citato art. 219, comma 3, fondati solo sulla verifica in concreto del quantum di danno cagionato. Questa Corte, in proposito, ha più volte affermato che in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo alla particolare tenuità del fatto deve essere posto in relazione alla diminuzione, non percentuale ma globale, che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti Cass., Sez. V, n. 13285 del 18/01/2013, Pastorello, Rv 255063 ed analoghi principi appaiono ribaditi in ordine alla bancarotta documentale, ove i presupposti per la ravvisabilità della circostanza in argomento debbono essere valutati in relazione al danno causato alla massa creditoria in seguito all’incidenza che le condotte integranti il reato hanno avuto sulla possibilità di esercitare le azioni revocatorie e le altre azioni poste a tutela degli interessi creditori Cass., Sez. V, n. 19304 del 18/01/2013, Tumminelli, Rv 255439 v. anche Cass., Sez. V, n. 44443 del 04/07/2012, Robbiano, Rv 253778, secondo cui nella ipotesi di bancarotta documentale, ai fini della applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, non rileva l’ammontare del passivo, ma la differenza che la mancanza dei libri o delle scritture contabili ha determinato nella quota complessiva dell’attivo da ripartire tra i creditori, avendo riguardo al momento della consumazione del reato . 2. Si impongono pertanto le determinazioni di cui al dispositivo. Il rigetto dei motivi di ricorso ulteriori rispetto a quelli afferenti il mancato riconoscimento dell’attenuante sopra evidenziata, dovendosi intendere l’annullamento con rinvio limitato alle conseguenti determinazioni in tema di trattamento sanzionatorio, comporta il passaggio in giudicato delle statuizioni relative alla declaratoria di penale responsabilità. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Genova per nuovo esame. Rigetta nel resto il ricorso.