Nesso di causalità tra omicidio premeditato e omissione medica

L’omissione medica, susseguente ad un trattamento sanitario per fatto altrui, non può mai da sola essere sufficiente a determinare l’evento dannoso nei confronti del paziente, perché presuppone una situazione di necessità terapeutica che dura finché durano gli effetti dannosi dell’evento che ha originato la catena causale.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 36592/16, depositata il 2 settembre. Il caso. La pronuncia in commento, piuttosto variegata e ricca di contenuti, è originata dal caso di un impiegato postale che, apparentemente surclassato dalle continue mortificazioni pubbliche del proprio superiore e dal trasferimento” da uno sportello ad un altro del proprio ufficio, maturava e poi portava a termine il proprio proposito omicidiario nei confronti della sua direttrice con una serie di colpi di pistola al capo e nel resto del corpo. Questi, pertanto, veniva condannato per omicidio, aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, oltre che per detenzione, porto e ricettazione di armi. Futili motivi. Avrebbero sostenuto e aggravato il proposito criminoso. La Corte rammenta che i futili motivi” ricorrono quando la determinazione criminosa sia causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire per la generalità delle persone, del tutto insufficiente a causare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa dell’agente di dare sfogo al suo impulso criminale. Così Cass., sez. I, 24683/2008 Così sarebbe stato in concreto. Il ricorrente, tuttavia, avrebbe prospettato una concezione soggettivistica dell’aggravante tale da escluderne l’applicabilità. Lo stesso, cioè, avendo percepito le azioni del proprio superiore come fortemente lesive della propria dignità, sarebbe stato spinto all’azione da motivi per lui ritenuti effettivamente gravi. Tuttavia, una tale impostazione, secondo i giudici, sarebbe inaccettabile perché porterebbe ad escludere sempre l’aggravante, mentre, invece, in tali casi è imprescindibile una valutazione della concretezza dei motivi sottostanti l’azione, i quali non possono essere solo un pretesto per dare sfogo all’impulso criminale del soggetto”. Intervento medico e causa sopravvenuta? La parte più consistente della pronuncia riguarda, però, una tematica molto battuta dai giudici di legittimità quella del riconoscimento del nesso di causalità e della eventuale sussistenza di una causa sopravvenuta di per sé idonea a determinare l’evento. La vittima, invero, una volta subito vari colpi di pistola era stata sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza, ma secondo il ricorrente, non era deceduta a causa dell’evento lesivo, quanto piuttosto per un maldestro trattamento medico” che, se non si fosse verificato, non avrebbe portato alla morte la paziente. È agevole evidenziare come, tuttavia, in mancanza del fatto principale i colpi di pistola diretti al corpo della vittima , la donna non sarebbe stata sottoposta a nessun intervento. Ma può davvero un’omissione o un maldestro trattamento medico” spezzare la continuità causale degli eventi? Secondo la Corte, in tema di omicidio doloso, le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta lesiva posta dall’agente e l’evento morte. Sulle cause sopravvenute. Secondo la giurisprudenza di legittimità è noto che sono da considerarsi cause sopravvenute da sole sufficienti a determinare l’evento ex art. 41 comma 2 c.p. solo quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, pertanto, non possono rientrare in tale categoria quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta dell’imputato art. 41 comma 1 c.p. , atteso che venendo a mancare una delle due l’evento non si sarebbe verificato. Quando le cause sopravvenute sono da sole sufficienti a determinare un evento? Si tratta di quei casi in cui le stesse inneschino dei percorsi causali completamente autonomi rispetto a quello determinato dall’agente, o in cui le stesse pure se inserite in un percorso causale collegato alla condotta dell’agente, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, sì da risultare imprevedibili in astratto ed imprevedibili per l’agente”. Le riscontrate omissioni dei sanitari, nel caso di specie, non hanno costituito un fatto imprevedibile né hanno portato ad una successione atipica di fatti. Comportamento omissivo e concorso di cause. A maggior ragione, sostengono i giudici, quando il comportamento del medico, lungi dall’essere costituito da una condotta commissiva che potrebbe assumere i caratteri dell’atipicità e quindi modificare gli eventi , sia stato meramente omissivo, lasciando così inalterata la catena causale”. Infatti, un errore derivante da omissione del medico non può mai prescindere dall’evento che ha fatto sorgere l’obbligo della prestazione sanitaria. L’omissione, quindi, da sola non può mai essere sufficiente a determinare l’evento perché presuppone una situazione di necessità terapeutica che dura finché durano gli effetti dannosi dell’evento che ha dato origine alla catena causale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 5 maggio – 2 settembre 2016, n. 36592 Presidente Siotto – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Napoli, in riforma di quella del G.U.P. del Tribunale di Torre Annunziata emessa nei confronti di G.C. , confermava la condanna dell’imputato per il delitto di omicidio premeditato e aggravato dai futili motivi nonché per quelli di detenzione, porto e ricettazione di una Beretta cal. 7’65 clandestina, lo assolveva dai medesimi delitti relativamente ad una seconda pistola contestata nell’imputazione, rideterminava la pena in anni 30 di reclusione e provvedeva sulle pene accessorie e sulle spese di costituzione della parte civile. G. è imputato per l’omicidio di I.A. , colpita con numerosi colpi di pistola al volto, al torace e all’addome la vittima era direttrice dell’Ufficio Postale di OMISSIS di cui l’imputato era dipendente e i futili motivi che avevano indotto G. al delitto erano stati individuati nel suo trasferimento interno dallo sportello servizi finanziari allo sportello raccomandate . La responsabilità materiale dell’imputato non è contestata. Provvedendo sui motivi di appello, la Corte riteneva infondata l’eccezione di nullità della perizia svolta in primo grado per mancata escussione in contraddittorio dei consulenti tecnici di parte, osservando che, in quella sede, la difesa non aveva nemmeno chiesto di procedere all’audizione dei consulenti valutava come inutile l’acquisizione di ulteriore documentazione medica e superfluo l’esperimento di nuova perizia, atteso che la documentazione acquisita era aggiornata fino al mese di dicembre 2012 e che da essa nulla di patologico dal punto di vista psichiatrico era emerso. La richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale veniva rigettata la Corte ricordava che era stato l’imputato a chiedere il rito abbreviato senza subordinarlo ad alcuna integrazione istruttoria e dichiarava di condividere la valutazione del primo giudice in ordine all’inesistenza di qualsiasi patologia di carattere psichiatrico. Il disturbo di personalità da cui G. era affetto non incideva in alcun modo sulla capacità di intendere e di volere. Nel corso degli interrogatori, G. aveva chiaramente mostrato la sua piena capacità. La Corte rigettava la richiesta di approfondimento peritale sulle cause della morte della I. essa era avvenuta poche ore dopo la condotta di G. e nessuna imperizia medica nei trattamenti di urgenza era emersa in ogni caso, essa non avrebbe costituito una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare la morte e ad interrompere il nesso causale tra la azione dell’imputato e il decesso. La Corte confermava la sussistenza delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi l’imputato aveva riferito che da tempo egli serbava rancore nei confronti della Direttrice dell’Ufficio postale che, a suo dire, non perdeva occasione per mortificarlo e annichilirlo davanti ai suoi colleghi il proposito omicidiario era nato dopo gli ultimi episodi del OMISSIS doveva escludersi un dolo d’impeto mentre, quanto ai motivi, era priva di concretezza l’affermazione dell’imputato secondo cui egli aveva agito per legittima difesa della sua dignità. La Corte negava le attenuanti generiche all’imputato, sottolineando che egli non aveva mostrato effettivo pentimento o reale resipiscenza per quanto commesso, limitandosi piuttosto a fornire una costante e continua giustificazione delle ragioni del suo agire. 2. Ricorre per cassazione il difensore di G.C. deducendo distinti motivi. Con un primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’aggravante dei futili motivi. In effetti, non era mai stata formalmente rubricata la contestazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., mentre era stata contestata l’aggravante di cui all’art. 576 n. 1 cod. pen. che il giudice di primo grado aveva escluso. Il vizio di motivazione sussiste anche per la decisione sul diniego delle attenuanti generiche il relativo motivo di appello era stato prima ritenuto accoglibile e poi respinto con ragionamento illogico. Il ricorrente sottolinea che l’imputazione avrebbe dovuto essere corretta nel luogo della morte della vittima XXXXXX . In un secondo motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione con riferimento alle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi. L’imputato aveva lasciato un biglietto alla convivente la mattina del delitto, nel quale si riferiva ad esso con formula dubitativa, a dimostrazione che il proposito di uccidere non era rimasto fermo nella sua mente né la condotta di procurarsi un’arma integrava l’aggravante, poiché si trattava di semplice azione preparatoria necessaria per la realizzazione del delitto. Quanto ai futili motivi del gesto, G. aveva sostenuto nell’interrogatorio di essere stato offeso nella sua dignità personale dal provvedimento che lo riguardava la sua percezione imponeva di escludere l’aggravante dei futili motivi, trattandosi di aggravante soggettiva il ricorrente ricorda la situazione di estrema sofferenza psichica in cui l’imputato si trovava sul luogo di lavoro per accumulo di stress, situazione che impediva di esprimere quel profondo senso di ripugnanza e disprezzo richiesto per la configurazione dell’aggravante. In un terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. e alla conseguente determinazione della pena. Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, G. aveva sempre espresso il suo pentimento e il suo dolore per l’atto compiuto e aveva chiesto perdono ai familiari della vittima. Inoltre, dopo il delitto era ritornato sui suoi passi, permettendo l’arresto, non si era mai sottratto agli interrogatori, aveva avuto un atteggiamento collaborativo nel corso del procedimento e aveva concretamente messo a disposizione tutti i suoi beni, effettuando anche una concreta offerta risarcitoria si trattava di soggetto incensurato e affetto da grave disagio psichico. Tutti questi elementi erano stati tralasciati dalla Corte territoriale. In un ulteriore motivo, il ricorrente deduce vizio di motivazione in relazione al mancato approfondimento delle condizioni di imputabilità del soggetto mediante conferimento di nuova perizia ed escussione in contraddittorio dei consulenti tecnici di parte. La Corte aveva trattato frettolosamente le doglianze sul punto, benché fossero supportate dal deposito della cartella clinica dell’imputato, limitandosi a richiamare la lacunosa motivazione della sentenza di primo grado. In effetti, poiché il delitto era stato compiuto nel OMISSIS , la documentazione clinica acquisita - che terminava nel dicembre dello stesso anno - era insufficiente e poteva essere integrata con quella successiva. Il ricorrente ribadisce le censure alle perizie svolte in primo grado. In un ulteriore motivo, il ricorrente deduce violazione di legge per la mancata disanima della documentazione prodotta dalla difesa con i motivi nuovi nonché della memoria difensiva e dello scritto proveniente dall’imputato. Il ricorrente, inoltre, deduce vizio di motivazione per il mancato approfondimento della sussistenza di una causa sopravvenuta idonea da sola a determinare l’evento poiché le ferite provocate dai colpi sparati da G. non avevano provocato la morte della vittima, era stato il maldestro trattamento medico nel corso dell’intervento operatorio eseguito presso l’Ospedale XXXXXXX a provocare lo shock emorragico che aveva causato la morte della vittima, sopraggiunta molte ore dopo i fatti. In un ultimo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio. Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. L’aggravante dei futili motivi è stata regolarmente contestata sia pure senza la citazione del riferimento normativo nel capo di imputazione , sia con l’espressa menzione agendo per futili motivi , sia con la successiva specifica indicazione dei motivi che avevano indotto l’imputato al gesto delittuoso. La decisione in punto di diniego delle attenuanti generiche non è affatto contraddittoria, essendo esplicitati i motivi del rigetto. La errata indicazione del luogo della morte della vittima è dato del tutto ininfluente. 2. Il motivo di ricorso attinente alla aggravante della premeditazione è infondato. Il ricorrente fa leva sul tenore del biglietto lasciato da G. alla convivente la mattina del delitto, nel quale si indicava che forse l’imputato avrebbe fatto qualcosa si tratta di un particolare ininfluente rispetto agli elementi evidenziati nell’amplissima motivazione della sentenza di primo grado, richiamata in quella di appello con ulteriori annotazioni si noti che il Giudice di primo grado aveva fondato l’affermazione della sussistenza dell’aggravante prima di tutto sulle parole dello stesso G. , che aveva spiegato in dettaglio come il delitto fosse stato immaginato, ideato, preparato e deciso nel corso di una lunga riflessione, che aveva reso la determinazione finale assolutamente salda così come le modalità di esecuzione del delitto avevano dimostrato . Ancora, si deve ricordare che l’imputato si era procurato una pistola clandestina, dato assai significativo ai fini della premeditazione. Anche il motivo del ricorso concernente l’aggravante dei futili motivi è infondato. I giudici di merito chiariscono efficacemente che l’affermazione dell’imputato di avere agito per legittima difesa della sua dignità è totalmente priva di concretezza, atteso che le disposizioni date dalla I. per il funzionamento dell’Ufficio Postale erano del tutto ordinarie e niente affatto umilianti nei suoi confronti. La circostanza aggravante dei motivi futili ricorre quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, per la generalità delle persone, del tutto insufficiente a causare l’azione delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante dell’evento, un pretesto o una scusa per l’agente di dare sfogo al suo impulso criminale Sez. 1, n. 24683 del 22/05/2008 - dep. 18/06/2008, Iaria, Rv. 240905 quindi è evidente che non può essere accolta la prospettazione soggettivistica del ricorrente, secondo cui in sostanza - poiché G. percepiva la condotta della Direttrice come umiliante e lesiva della sua dignità, i motivi del delitto non potevano essere considerati futili è chiaro che tale impostazione condurrebbe ad escludere sempre l’aggravante. Non a caso, la Corte territoriale, nel sottolineare la futilità dei motivi, afferma che essi mancano di concretezza valutandoli, appunto, come un pretesto per dare sfogo all’impulso criminale del soggetto. 3. Il motivo di ricorso concernente il diniego delle attenuanti è infondato e, per buona parte, inammissibile in quanto costituito da argomentazioni in fatto. Il ricorrente contesta la valutazione della Corte territoriale concernente la mancanza di un reale pentimento ma lo fa con argomenti fattuali, rispetto ai quali, per di più, il ricorso non è autosufficiente si veda, ad esempio, il riferimento all’incontro con il Papa in carcere o alla circostanza dell’offerta risarcitoria . Se deve solo rimarcare che, dall’esposizione delle sentenze di merito, non emerge affatto quanto indicato dal ricorrente, che cioè G. aveva fatto ritorno sui suoi passi, consentendo alle Forze dell’Ordine di trarlo in arresto al contrario, dalla sentenza di primo grado emerge che erano state le Forze dell’Ordine a rintracciare l’uomo e la sua autovettura. La Corte territoriale, confermando la decisione del Giudice di primo grado, adotta i parametri ripetutamente indicati da questa Corte per la decisione in punto di attenuanti generiche, del resto in massima parte rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito. Il motivo di ricorso censura anche il diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. ma l’eventuale vizio non poteva essere denunciato con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., non essendo stato fatto oggetto di motivo di appello avverso la sentenza di primo grado. 4. I motivi di ricorso concernenti gli accertamenti peritali sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato sono manifestamente infondati. La motivazione della sentenza di appello richiama l’ampia motivazione di quella di primo grado che può essere senza dubbio apprezzata come esaustiva. Oltre a menzionare la questione processuale concernente il mancato contraddittorio con i consulenti tecnici di parte senza ricordare quanto osservato dai giudici - che cioè tale contraddittorio, nell’ambito dell’escussione dei periti, non era stato richiesto - il ricorrente sostiene che il Giudice di primo grado avrebbe valorizzato soltanto le conclusioni dei Periti d’ufficio dato oggettivamente smentito dalla lettura della motivazione nella quale, al contrario, si dà atto del contenuto delle relazione dei consulenti di parte, sottoponendole a critica. Del resto, ciò era inevitabile in quanto l’esistenza di una incapacità di intendere e di volere non era mai emersa - e nemmeno sospettata - prima che, alcuni mesi dopo il delitto, la difesa depositasse una consulenza di parte che sosteneva l’incapacità di stare in giudizio dell’imputato. Ebbene nonostante quella prima indicazione mancasse di un qualsiasi supporto documentale - G. non aveva mai avuto problemi di carattere psicologico o psichiatrico - il G.U.P. di Torre Annunziata aveva proceduto ad una perizia collegiale e ad accertamenti ampi, arricchiti da ulteriori consulenze offerte dalla difesa dell’imputato e della parte civile. In maniera del tutto convincente, i Giudici di merito - sottolineando la mancanza di qualsivoglia documentazione e, la Corte territoriale, ricordando che dal luglio al dicembre 2012, G. era stato sottoposto in carcere a sei visite psichiatriche con esito assolutamente negativo - giungono alla conclusione che il disturbo narcisistico di personalità che l’imputato presenta in nessun modo ha inciso sulla capacità di intendere e di volere né ha avuto un ruolo nel delitto. Non si è trattato di passiva adesione alle conclusioni del perito il Giudice di primo grado ha condiviso la valutazione, ricordando il tenore degli interrogatori e delle dichiarazioni dell’imputato, che mostravano eloquentemente la sua piena capacità e consapevolezza. In definitiva, la valutazione della sentenza impugnata della superfluità e irrilevanza delle ulteriori produzione e degli ulteriori accertamenti richiesti dalla difesa dell’appellante è solidamente fondata - oltre che sulla scelta del rito abbreviato da parte dell’imputato - sull’esito inequivoco degli accertamenti scientifici compiuti. 5. Anche il sesto motivo di ricorso, relativo al mancato accertamento della sussistenza di una causa sopravvenuta idonea di per sé a determinare l’evento, è manifestamente infondato. Esattamente la Corte ha trattato rapidamente il relativo motivo di appello, risultando evidente che erano stati i colpi di pistola sparati da G. a breve distanza contro la I. a provocarne la morte. È la stessa lettura del motivo a dimostrarne l’infondatezza il ricorrente sostiene che nessuno dei colpi esplosi dal G. provocò il decesso immediato della persona offesa perché nessuno di essi fu diretto verso organi vitali solo a seguito del maldestro trattamento medico in sede di intervento operatorio mal condotto, si ebbe a determinare quello shock emorragico che condusse, a distanza di molte ore, al decesso della paziente non fu suturata, perché colpevolmente trascurata, la lesione di un vaso venoso nella regione pelvica, sicché è agevole dedurre che, laddove non si fosse verificato comportamento omissivo da parte dei sanitari, ed il detto intervento fosse stato praticato secondo i dettami dell’ars medica, la paziente non avrebbe corso alcun pericolo di vita . A parte l’insistenza sulla distanza cronologica tra gli spari e la morte, davvero irrilevante, è banale osservare che, se G. non avesse sparato, la I. non sarebbe stata sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza e la lesione del vaso venoso che si afferma trascurata non sarebbe esistita. Questa Corte ha costantemente insegnato, in tema di omicidio doloso, che le eventuali omissioni dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta lesiva posta in essere dall’agente e l’evento morte Sez. 1, n. 36724 del 18/06/2015 - dep. 10/09/2015, Ferrito e altri, Rv. 264534 in effetti, sono cause sopravvenute, da sole sufficienti a determinare l’evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell’imputato, sicché non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l’evento in sinergia con la condotta dell’imputato, atteso che, venendo a mancare una delle due, l’evento non si sarebbe verificato Sez. 5, n. 11954 del 26/01/2010 - dep. 26/03/2010, Palazzolo, Rv. 246549 è stato ancora ulteriormente precisato che le cause sopravvenute idonee a escludere il rapporto di causalità sono sia quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo rispetto a quello determinato dall’agente, sia quelle che, pur inserite in un percorso causale ricollegato alla condotta attiva od omissiva dell’agente, si connotino per l’assoluta anomalia ed eccezionalità, sì da risultare imprevedibili in astratto e imprevedibili per l’agente Sez. 4, n. 43168 del 21/06/2013 - dep. 22/10/2013, Frediani, Rv. 258085 cosicché le eventuali negligenze dei sanitari nelle successive terapie mediche non elidono il nesso di causalità tra la condotta di lesioni personali posta in essere dall’agente e l’evento morte, non costituendo un fatto imprevedibile od uno sviluppo assolutamente atipico della serie causale Sez. 5, n. 39389 del 03/07/2012 - dep. 05/10/2012, Martena, Rv. 254320 . Ciò è ancora più chiaro quanto alle condotte omissive dei sanitari, atteso che, mentre è astrattamente possibile escludere il nesso di causalità in ipotesi di colpa commissiva, in quanto il comportamento del medico può assumere i caratteri della atipicità, la catena causale resta invece integra allorquando vi siano state delle omissioni nelle terapie che dovevano essere praticate per prevenire complicanze, anche soltanto probabili, delle lesioni a seguito delle quali era sorta la necessità di cure mediche. L’errore per omissione non può mai prescindere dall’evento che ha fatto sorgere l’obbligo delle prestazioni sanitarie. L’omissione, da sola, non può mai essere sufficiente a determinare l’evento proprio perché presuppone una situazione di necessità terapeutica che dura finché durano gli effetti dannosi dell’evento che ha dato origine alla catena causale Sez. 5, n. 17394 del 22/03/2005 - dep. 06/05/2005, D’Iginio, Rv. 231634 Sez. 4, n. 11779 del 12/11/1997 - dep. 16/12/1997, P.M. in proc. Van Custem, Rv. 209057 . In definitiva, la decisione della Corte territoriale di non dar corso al sollecitato approfondimento temporale è corretta e logica. 6. Il motivo di ricorso concernente la misura della pena è manifestamente infondato. La Corte territoriale - avendo riconosciuto la sussistenza delle aggravanti della premeditazione e dei futili motivi e negato all’imputato le attenuanti generiche - non aveva alcuna discrezionalità nella determinazione della pena che la legge prevede essere quella dell’ergastolo e che, in forza del rito abbreviato, è stata ridotta a quella di trenta anni di reclusione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.