Doppia lettura delle dichiarazioni fatte dai collaboratori di giustizia: confermata la custodia in carcere

Legittima la diversa valutazione delle parole dei collaboratori. Esclusa l’ipotesi dell’associazione mafiosa, ma ciò non può in automatico rendere meno solida l’accusa di far parte dell’organizzazione criminale finalizzata allo spaccio di stupefacenti. Confermata, perciò, l’applicazione della custodia in carcere.

Esclusa l’appartenenza al clan camorristico. Decisive le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, che non hanno dato certezze sul ruolo dell’uomo sotto accusa. Quelle parole, però, possono essere comunque sufficienti per ritenere solida l’ipotesi che egli abbia comunque fatto parte della organizzazione, limitatamente al mercato degli stupefacenti. Cassazione, sentenza n. 35469, sezione Prima Penale, depositata il 25 agosto 2016 Cautelare. Linea di pensiero comune per gip e Tribunale della libertà legittima l’applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di un uomo accusato di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti . Annullata, però, allo stesso tempo la misura relativa all’ipotesi di associazione mafiosa . Entrambe le decisioni, pur orientate in direzioni opposte, sono poggiate sugli elementi forniti da alcuni collaboratori di giustizia in merito alle vicende oggetto dell’indagine giudiziaria . E proprio questo elemento viene evidenziato e ritenuto contraddittorio dal difensore dell’uomo in carcere Dichiarazioni. Il legale punta a mettere in discussione la custodia cautelare . E in questa ottica sottolinea il fatto che le stesse dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono state ritenute non sufficienti per l’accusa di associazione mafiosa e sufficienti, invece, per l’ipotetica partecipazione alla gestione di un grosso spaccio di stupefacenti . Tale contraddizione, però, checché ne dica l’avvocato, viene ritenuta dai magistrati non così clamorosa. Ciò perché gli elementi forniti dai collaboratori non erano stati sufficienti a sorreggere l’accusa di associazione mafiosa , ma solo a causa della mancata indicazione del ruolo avuto all’interno della compagine mafiosa . Invece, per l’ipotesi di organizzazione finalizzata allo spaccio di droga , è necessario solo che il soggetto si metta a disposizione fornendo una collaborazione stabile e continuativa per trarre profitto dal commercio di stupefacenti , mentre non è obbligatorio dimostrare che egli si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione col tessuto organizzativo del sodalizio . Assolutamente legittima, quindi, la diversa lettura delle dichiarazioni fatte dai collaboratori di giustizia. E ciò conduce alla conferma della custodia in carcere .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 marzo – 25 agosto 2016, n. 35469 Presidente e Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con ordinanza del 1 dicembre 2015, depositata il 23 successivo, il Tribunale di Napoli, investito ai sensi dell'art. 309 cod. proc. pen., confermava, per quanto qui rileva, il provvedimento emesso dal G.ì.p. del Tribunale di Napoli con cui veniva applicata la misura della custodia in carcere nei confronti di V.E., in ordine al reato di cui al capo B , associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, aggravata dall'art. 7 Legge 203 del 1991, con il ruolo di partecipe, in Napoli e altrove dal 2006 e condotta perdurante. Il tribunale annullava invece l'ordinanza cautelare in relazione al capo concernente la contestazione associativa ex art. 416-bis cod. pen 2. Richiamata per sommi capi l'ordinanza del G.i.p., che aveva dato conto dell'esistenza e dell'operatività dell'associazione per delinquere, indicata al capo B , composta dalla coalizione V.G.- M.- L., dedita principalmente al narcotraffico, in contrapposizione armata al gruppo A. A.-N., il riesame evidenziava gli apporti conoscitivi forniti dai collaboratori di giustizia sulle vicende oggetto dell'indagine giudiziaria, rimarcando in particolare quelle rese dai L., soggetti con ruoli di vertice. Evidenziava che dette dichiarazioni erano state riscontrate da quelle di altri collaboratori, dalle attività di polizia giudiziaria e da intercettazioni. 3. In via preliminare, il riesame negava l'efficacia preclusiva al precedente provvedimento di rigetto di misura cautelare emesso dal G.i.p. che aveva rilevato la mancanza di gravità indiziaria a carico dell'E. per assenza di dichiarazioni accusatorie convergenti e per l'ambiguità di una conversazione indicata dal Pm. Osservava che il PM non aveva sottoposto all'attenzione del G.i.p. i verbali delle dichiarazioni rese da A. e F. L. il Pm all'epoca nemmeno disponeva delle dichiarazioni di A. A Detti collaboranti avevano ricostruito dettagliatamente il ruolo svolto da E. all'interno del sodalizio e convergevano con le precedenti dichiarazioni, già acquisite, di L. A. e R. G. sull'organico inserimento di costui nel settore dello spaccio di stupefacenti. Come detto, il riesame escludeva che dai fatti emergessero gravi indizi in ordine alla partecipazione all'associazione camorrista, non avendo nessuno dei collaboratori saputo indicare il ruolo specifico assunto da E. all'interno del clan L 3. Avverso quest'ordinanza V.E. ha proposto ricorso per cassazione a mezzo dei difensore di fiducia, chiedendone l'annullamento, sulla base di due motivi. 3.1. Con il primo il difensore deduce violazione di legge in relazione agli artt. 649, 291, 292, 309 cod. proc. pen. In sintesi, sostiene che la nuova ordinanza di custodia cautelare sia stata emessa in violazione della preclusione costituita dal giudicato cautelare. Le dichiarazioni di F. e A. L. erano già contenute nella richiesta dei pubblico ministero trasmessa al G.i.p. in funzione della prima ordinanza cautelare. Era irrilevante che non fossero contenute nella scheda personale dell'indagato e non potevano essere ulteriormente valutate come elemento nuovo da apprezzare sul piano della gravità indiziaria. L'unico elemento nuovo era costituito dalle dichiarazioni di A. A., alle quali però era stato riservato uno spazio di valutazione e una motivazione sulla loro importanza e rilevanza, compendiato in una unica proposizione, in contrasto con gli obblighi posti dall'art. 292 cod. proc. pen 3.2. Con il secondo motivo, deduce l'illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Il tribunale del riesame aveva annullato l'ordinanza per il reato associativo di cui all'art. 416 bis, ma l'aveva confermata per l'associazione finalizzata al traffico di droga nonostante la sostanziale genericità anche di questa contestazione. Le dichiarazioni di A. e F. L. non potevano essere esaminate per la preclusione determinata dal giudicato cautelare, mentre quelle di A. erano frutto di conoscenza indiretta, analogamente a quelle già valutate e ritenute insufficienti per emettere la misura cautelare. Allega ai fini dell'autosufficienza dei ricorso atti delle indagini preliminari pagine 43-44, 56-57, 51-58 . Considerato in diritto 1. II ricorso è infondato. 1.1. In relazione al primo motivo, la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza dì questa Corte, in tema di giudicato cautelare. Secondo tali principi, al fine di garantire la stabilità dei provvedimenti cautelari, si ritiene che, una volta esperiti tutti i mezzi di impugnazione previsti dal codice di rito avverso le misure cautelari, o trascorsi inutilmente i termini per presentarli, si formi una sorta di giudicato cd. giudicato cautelare . L'operazione risponde a chiare necessità di economia processuale si vuole evitare la riproposizione di istanze aventi ad oggetto una stessa misura cautelare, fondate sugli stessi presupposti già vagliati dal giudice dell'impugnazione e respinte. La preclusione derivante da una precedente pronuncia in sede di riesame può essere superata dalla prospettazione di nuovi elementi di valutazione ed inquadramento dei fatti, acquisiti da ulteriori sviluppi delle indagini, pur se riguardanti circostanze precedenti alla decisione preclusiva Sez. 6, n. 4112 del 30.11.2006, imp. Di Silvestro, Rv. 235610 , ìn quanto involge solo le questioni, esplicitamente o implicitamente, trattate e non anche quelle deducibili e non dedotte . In questa prospettiva, va ricordato che, come emerge dall'ordinanza impugnata, la prima richiesta cautelare dei Pm si fondava su un più scarno compendio indiziario e non comprendeva le dichiarazioni dei collaboratori A. e F. L. che dettagliavano la posizione di E. non erano state nemmeno acquisite le dichiarazioni di A 1.2. Ai sensi dell'art. 291, comma 1, cod. proc. pen., le misure sono disposte su richiesta dei pubblico ministero che presenta al giudice gli elementi su cui si fonda. Il Giudice per le indagini preliminari ha in materia di libertà personale una funzione di garanzia, attivabile ad istanza di parte e secondo le attribuzioni previste dalla legge con il solo compito di vagliare la domanda cautelare , esaurito il quale restituisce gli atti dei processo al pubblico ministero, dominus dell'azione penale e, quindi della fase di provvista degli elementi necessari per l'esercizio dei potere-dovere di investigazione. A nulla quindi rileva che nel fascicolo delle indagini fossero contenuti materialmente i verbali delle dichiarazioni di A. e F. L., se di esse il Pm non tenne nessun conto nella presentazione della prima richiesta, respinta dal G.i.p. Nessuna preclusione pertanto sussisteva a che le dette dichiarazioni, unitamente a quelle di A., fossero positivamente scrutinate ai fini dell'emissione dell'ordinanza in esame. 2. II secondo motivo è manifestamente infondato, fondandosi sul presupposto di una preclusione all'utilizzo delle dichiarazioni dei collaboratori A. e F. L Venuto meno il quale, occorre premettere che a la verifica demandata a questa Corte attiene alla valutazione compiuta dal tribunale in ordine al grado di inferenza degli indizi e, quindi, all'attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, perché, come è noto, la gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di prova idoneo a formulare un giudizio prognostico di responsabilità e non può che riferirsi al grado di conferma, allo stato degli atti, dell'ipotesi accusatoria, non potendo essere apprezzati gli effetti connessi alla dinamica della prova nella successiva evoluzione processuale b la valutazione dei peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione, mentre sono inammissibili, viceversa, le censure che, pure investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già esaminate dal giudice, spettando alla corte di legittimità il solo compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l'hanno indotto ad affermare la gravità dei quadro indiziario a carico dell'indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi del diritto che governano l'apprezzamento delle risultanze probatorie ed è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità 1 l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 l'assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo dei provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo dei provvedimento. 2.1. Ciò posto, nel caso in esame, i giudici di merito hanno dato conto dei gravi indizi di colpevolezza richiamando le deposizioni dei collaboratori di giustizia, sul ruolo di E., insieme a M. N., di gestore di piazze di spaccio in Roma per conto dei L Logicamente, il tribunale ha rilevato che i L. riferivano circostanze di cui avevano conoscenza diretta e ha indicato come validi riscontri provenissero dalle conoscenze de relato di A., dalle dichiarazioni di G. e dall'accertamento sulla gestione di E. di un bar a Roma, nei termini indicati da A. L 2.2. Nessuna contraddizione è ravvisabile nel fatto che gli elementi forniti dai collaboratori non siano stati sufficienti a sorreggere l'accusa per la contestazione associativa ex art. 416 bis cod. pen., atteso che la diversa valutazione è derivata soltanto dall'essere rimasto incerto il ruolo di E. nella compagine associativa. La condotta di partecipazione infatti è riferibile a colui che si trovi in rapporto di stabile e organica compenetrazione coi il tessuto organizzativo dei sodalizio vale a dire, la messa a disposizione - in via tendenzialmente durevole e continua - delle proprie energie per il conseguimento dei fini criminosi comuni, nella consapevolezza dei contributo fornito dagli altri associati e della metodologia sopraffattoria propria dei sodalizio SU, n. 33748 dei 12/7/2005 . Connotazione che non è invece richiesta per l'associazione ex art. 74 che richiede la messa a disposizione dei soggetto rispetto al gruppo criminale, e un rapporto di collaborazione stabile e continuativo ai fini del perseguimento degli scopi illeciti della consorteria, con la coscienza e volontà di far parte dell'organizzazione, di contribuire al suo mantenimento e di favorire la realizzazione del fine comune di trarre profitto del commercio di droga. 3. II ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia dei provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'articolo 94, co. 1-ter, disp. att. C.P.P.