I casi di sequestro preventivo rispondono all’unica finalità di evitare la protrazione del reato

Come previsto dall’art. 321 c.p.p., un bene può essere oggetto di sequestro preventivo, ai sensi del comma 1 della disposizione e anche di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, ai sensi del successivo comma 2 si potrà procedere pertanto al sequestro di ulteriori beni in capo all’indagato solo in caso di incapienza o di insufficienza dei beni già sequestrati a soddisfare le finalità dei sequestri.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 35303/16, depositata il 23 agosto. Il caso. Il Tribunale di Bologna aveva rigettato l’appello proposto nell’interesse dell’indagato contro l’ordinanza del gip dello stesso Tribunale con la quale era stata rigettata l’istanza difensiva di dissequestro delle autovetture sottoposte a provvedimento cautelare in relazione al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il Tribunale rilevava che i beni dell’indagato erano già stati sottoposti a sequestro in relazione ai reati di bancarotta impropria fraudolenta per distrazione e documentale. Il provvedimento era stato convalidato dal gip il quale aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente. Successivamente il gip aveva rigettato la richiesta di sequestro avanzata dalla difesa, rilevando, quanto al vincolo reale sulle autovetture, che l’ammontare del debito erariale non rappresenta il limite massimo entro cui valutare le condotte illecite contestate all’indagato, perché si deve tener conto di tutte le operazioni che hanno condotto al dissesto della società e, al contempo, hanno rappresentato un lucro per l’imprenditore. Avverso tale provvedimento rigettava dunque l’appello il Tribunale. Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione. Ad avviso della difesa, la possibilità di duplicazione dei sequestri sugli stessi beni non sarebbe esclusa dalla circostanza che, nel caso di specie, convivono esigenze preventive, relativamente ai reati fallimentari contestati, con l’esigenza di effettività della futura confisca, relativamente al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Le disposizioni di cui all’art. 321 c.p.p Il ricorso per la Suprema Corte è fondato. I casi di sequestro previsti dall’art. 321 c.p.p., pur nelle loro diverse tipologie e nell’ambito di diversi presupposti di applicazione, rispondono all’unica finalità di evitare la protrazione del reato e delle sue conseguenze, anche garantendo l’effettività della confisca. E non vi è alcuna norma che vieti l’apposizione di un vincolo sugli stessi beni nell’ambito di due diversi precedenti procedimenti penali. Ne consegue che un bene può essere oggetto di sequestro preventivo ai sensi del comma 1 della disposizione e anche di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, ai sensi del successivo comma 2, e che si potrà procedere al sequestro di ulteriori beni in capo all’indagato solo in caso di incapienza o di insufficienza dei beni già sequestrati a soddisfare le finalità dei sequestri. Il reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Nel caso di specie vi sono stati due sequestri disposti sui beni immobili di notevole valore e su beni mobili al fine di impedire il protrarsi delle conseguenze dannose con riferimento ai delitti di bancarotta ascritti all’indagato e vi è stato poi un terzo sequestro finalizzato alla confisca per equivalente in relazione al reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il Tribunale avrebbe, di fatto, dovuto verificare se gli immobili sequestrati, di notevole valore, fossero in grado di soddisfare, da un lato, i creditori della società fallita e, dall’altro, lo Stato per i debiti erariali e ciò essendo pacifico nel caso di specie che il principale creditore del passivo fallimentare è proprio lo Stato in relazione alle imposte evase. Erroneamente il Tribunale individua il profitto del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. richiamato in un ammontare corrispondente alle imposte complessivamente evase dalla società dell’indagato per gli anni dal 2004 al 2007. Tale profitto avrebbe dovuto essere individuato, invece, nel concreto pregiudizio arrecato alle ragioni dell’erario attraverso le alienazioni simulate e gli atti fraudolenti sui beni della società compiuti dall’indagato individuazione che manca nel caso di specie. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 maggio – 23 agosto 2016, n. 35303 Presidente Amoresano – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 13 ottobre 2015, il Tribunale di Bologna ha rigettato l'appello proposto nell'interesse dell'indagato contro l'ordinanza dei Gip dello stesso Tribunale del 7 settembre 2015, con la quale era stata rigettata l'istanza difensiva di dissequestro delle autovetture sottoposte a provvedimento cautelare in relazione al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Il Tribunale rileva che i beni dell'indagato erano già stati sottoposti a sequestro in relazione a reati di bancarotta impropria fraudolenta per distrazione e documentale e che, inoltre, con decreto del 5 marzo 2015, il pubblico ministero avevo disposto, di sua iniziativa, il sequestro del profitto per un valore equivalente fino alla concorrenza di euro 2.684.212, appunto in relazione al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, contestato all'indagato per avere effettuato alienazioni simulate e compiuto atti fraudolenti su beni della società idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva in relazione ad imposte per un ammontare complessivo di euro 2.863.202,00. Il provvedimento era stato convalidato dal Gip il quale, con contestuale decreto, aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente per l'importo sopra indicato. Successivamente il Gip aveva rigettato la richiesta di sequestro avanzata dalla difesa, rilevando, quanto al vincolo reale sulle autovetture, che l'ammontare del debito erariale non rappresenta il limite massimo entro cui valutare le condotte illecite contestate all'indagato, perché si deve tenere conto di tutte le operazioni che hanno condotto al dissesto della società e, al contempo, hanno rappresentato un lucro per l'imprenditore. Nel rigettare l'appello avverso tale provvedimento, il Tribunale afferma che, se è vero che il passivo fallimentare, come quantificato dal curatore, appare costituito proprio in gran parte dal debito tributario, per la maggior parte dei beni del denaro sequestrati vi sono esigenze cautelari in relazione ai reati fallimentari contestati, rappresentate dallo scopo di evitare l'ulteriore circolazione di denaro e beni fungibili, anche per consentire la verifica definitiva della riferibilità delle somme all'attività di sottrazione di beni e risorse della società fallita. Secondo la ricostruzione del Tribunale non sarebbe possibile duplicare i sequestri con la conseguenza che la confisca per equivalente del profitto del reato fiscale - che il tribunale individua in euro 2.863.202,00 - sarebbe garantita dai soli beni mobili registrati 13 autovetture per un valore di circa € 438.000, valore del tutto proporzionato a quello da sottoporre in futuro a confisca. 2. - Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la violazione degli art. 321, comma 2, cod. proc. pen., 322 ter cod. pen., 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, in relazione alla proporzionalità dei valori sequestrati rispetto all'entità del profitto dei reato. Ad avviso della difesa, la possibilità di duplicazione dei sequestri sugli stessi beni non sarebbe esclusa dalla circostanza che, nel caso di specie, convivono esigenze preventive, relativamente ai reati fallimentari contestati, con l'esigenza di effettività della futura confisca, relativamente al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Non si sarebbe tenuto conto, in particolare, del fatto che vi era un'unica posizione passiva della società fallita, per circa € 2.800.000,00, per tasse evase, interessi e sanzioni. Con memoria depositata in prossimità della camera di consiglio davanti a questa Corte, il difensore ha espressamente rinunciato ad eccepire il difetto di notificazione dell'avviso di cancelleria e ha ribadito quanto già sostenuto con il ricorso. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è fondato. 3.1. - I casi di sequestro previsti dall'art. 321 cod. proc. pen., pur nelle loro diverse tipologie e nell'ambito dei diversi presupposti di applicazione, rispondono all'unica finalità di evitare la protrazione del reato e delle sue conseguenze, anche garantendo l'effettività della confisca. E non vi è alcuna norma che vieti l'apposizione di un vincolo sugli stessi beni nell'ambito di due diversi precedenti procedimenti penali sez. un., 25 settembre 2014, n. 11170, 5.3. del Considerato in diritto . Ne consegue che un bene può essere oggetto di sequestro preventivo ai sensi del comma 1 della disposizione e anche di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, ai sensi del successivo comma 2, e che si potrà procedere al sequestro di ulteriori beni in capo all'indagato solo in caso di incapienza o di insufficienza dei beni già sequestrati a soddisfare le finalità dei sequestri. Deve inoltre di affermarsi che il valore dei beni da sottoporre al vincolo preordinato alla confisca per equivalente deve essere in ogni caso adeguato e proporzionato al profitto dei reato e il giudice tenuto a compiere tale verifica di proporzionalità, seppure nei limiti dei poteri che gli sono attribuiti ex plurimis, sez. 2, 21 luglio 2015, n. 36464, rv. 265059 sez. 6, 27 gennaio 2015, n. 12515, rv. 263656 sez. 3, 7 maggio 2014, rv. 260149 . Sempre relazione alla proporzionalità - e con specifico riferimento al caso di specie - è necessario ricordare che il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, non va individuato nell'ammontare del debito tributario rimasto inadempiuto, bensì nella somma di denaro la cui sottrazione all'Erario viene perseguita attraverso l'atto di vendita simulata o gli atti fraudolenti posti in essere. Esso corrisponde, cioè, al valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell'amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase costituenti oggetto delle condotte artificiose considerate dalla norma ex multis, sez. 3, 6 maggio 2015, n. 40534, rv. 265036 sez. 3, 22 gennaio 2015, n. 10214, rv. 262754 . 3.2. - Nel caso di specie, come evidenziato dal Tribunale, vi sono stati due sequestri disposti su beni immobili di notevole valore e su beni mobili al fine di impedire il protrarsi delle conseguenze dannose con riferimento ai delitti di bancarotta ascritti all'indagato vi è stato, poi, un terzo sequestro, finalizzato alla confisca per equivalente, in relazione al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000. Quanto ai reati di bancarotta, dalla relazione del curatore fallimentare emerge che il passivo è costituito per euro 2.861.842,17 da debiti tributari verso lo Stato e per euro 136.228,42 da un debito verso un istituto bancario quanto al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, il Tribunale ne individua il profitto nell'ammontare dell'imposta evasa, in ragione di euro 2.863.202,00. In tale quadro e in applicazione dei principi di diritto sopra richiamati, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se gli immobili sequestrati, di notevole valore, fossero in grado di soddisfare, da un lato, i creditori della società fallita e, dall'altro lo Stato per i debiti erariali e ciò, a maggior ragione, essendo pacifico nel caso di specie che il principale creditore del passivo fallimentare è proprio lo Stato in relazione alle imposte evase. Ma, come anticipato, la violazione del principio di proporzionalità emerge, nel caso in esame, anche sotto il diverso profilo della determinazione del profitto del reato. Il Tribunale osserva che si procede nei confronti dell'imputato sia per il reato di cui all'art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione ad una serie di alienazioni simulate e atti fraudolenti sui beni della società, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva a favore dell'erario, sia per il reato di cui all'art. 10 dello stesso decreto legislativo, per l'occultamento o distruzione delle scritture contabili e dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, così da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, ed è lo stesso Tribunale a precisare che il titolo della cautela reale è rappresentato dal solo reato di cui all'art. 11 richiamato. Erroneamente - alla luce dei principi sopra enunciati - il Tribunale individua il profitto di tale reato in euro 2.863.202,00, ammontare corrispondente alle imposte complessivamente evase dalla società dell'indagato per gli anni dal 2004 al 2007. Tale profitto avrebbe dovuto essere individuato invece nel concreto pregiudizio arrecato alle ragioni dell'erario attraverso le alienazioni simulate e gli atti fraudolenti sui beni della società compiuti dall'indagato individuazione che manca nel caso di specie. 4. - Ne consegue che l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Bologna, perché proceda a nuovo giudizio facendo applicazione dei principi diritti enunciati sub 3.1. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Bologna.