Reiterabile il sequestro preventivo già caducato

Non occorrono esigenze cautelari eccezionali a fondamento della rinnovazione della misura, come imposte per la reiterazione delle misure cautelari coercitive dal recente intervento della l. n. 47/2015. Il maggior rigore per quest’ultime non è giustificato nei casi delle misure cautelari reali.

Così la Cassazione, Quinta sez. penale, sentenza n. 35373/2016, depositata il 23 agosto. La questione processuale. Il Tribunale rigettava la richiesta di riesame di un sequestro preventivo mosso nei confronti delle quote sociali di proprietà dell’imputato. Nel caso, il decreto originario di sequestro aveva sostituito altro decreto caducato per violazione del termine di dieci giorni per rendere la decisione ai sensi dell’art. 309, nono comma, c.p.p. richiamato dall’art. 324, settimo comma, c.p.p In breve, il nuovo decreto aveva reiterato il vecchio divenuto inefficace per il mancato rispetto dei termini interni alla procedura di impugnazione, pur in assenza delle eccezionali esigenze cautelari prescritte per la reitera dall’art. 309, decimo comma, c.p.p., come novellato dalla l. n. 47/2015. L’imputato sosteneva che il riformato e più severo decimo comma si sarebbe dovuto applicare anche alla disciplina sul riesame cautelare reale, determinando la nuova caducazione del decreto. La Cassazione rigetta, motivando in punto di distinzione funzionale ed ontologica fra misure cautelari personali e quelle reali. Una riforma che ha determinato un deficit di coordinamento sistematico fra l’art. 324 c.p.p. e l’art. 309 c.p.p L’art. 324, settimo comma, c.p.p. – Riesame del decreto di sequestro preventivo – richiamava, precedentemente alla modifica importata dalla legge n. 47/2015, il nono ed il decimo comma dell’art. 309 c.p.p., disciplinante i termini e le sanzioni per l’inottemperanza per il procedimento di riesame delle misure coercitive personali. A seguito della novella il settimo comma richiama l’applicazione del nono comma, del comma nono bis e del decimo comma dell’art. 309 c.p.p In breve la recente riforma importata dalla legge n. 47 cit. prevede garanzie maggiori per il sottoposto a misura cautelare personale, quali l’obbligo di motivazione giudiziale per ogni elemento fornito dalla difesa, la differibilità dell’udienza su richiesta del sottoposto e la non rinnovabilità della misura cautelare, salve eccezionali esigenze cautelari – esclusa dunque la mera riproponibilità dei motivi a fondamento della misura caducata -. Dubbia è la ritenuta applicabilità delle intervenute modifiche alla disciplina di riesame per le misure reali ex art. 324 c.p.p L’orientamento dominante si tratta di un rinvio statico. Per le già intervenute Sezioni Unite l’art. 324, settimo comma, c.p.p. non va coordinato con il novellato art. 309 c.p.p. in quanto il rinvio ivi previsto ha incorporato le precedenti disposizioni, da ritenersi immuni alle novità intervenute. Ad ogni modo per la Cassazione in commento il coordinamento sistematico va risolto alla luce di considerazioni ulteriori, funzionali a mantenere le ragioni sistemiche atte a distinguere le misure cautelari personali da quelle reali – le prime limitano il bene superiore della libertà personale, le seconde la proprietà -. Il rinvio dell’art. 324 c.p.p. all’art. 309, nono comma, c.p.p. alla luce di un criterio di compatibilità. La Cassazione risolve il rinvio al nono comma dell’art. 309 c.p.p. – indicante oneri motivazionali più severi per il giudice alla luce di un criterio di compatibilità della nuova disposizione con la disciplina dell’impugnazione delle misure cautelari reali. Il criterio di compatibilità non risulta alieno al legislatore, quando nel disciplinare l’appello avverso il sequestro ex art. 322 bis c.p.p. prevede l’applicazione delle norme ex art. 310 c.p.p. in quanto compatibili. Il rinvio dell’art. 324 c.p.p. all’art. 309, decimo comma, c.p.p. va intesa la vecchia formulazione della norma. Come anticipato, va in tal caso esclusa l’invocazione a siffatto criterio di compatibilità, per ragioni prevalentemente sistemiche. Il richiamo al decimo comma è dunque statico, da intendersi nella vecchia formulazione. Il decimo comma prevede un regime assai più rigido nei termini per la procedura di impugnazione della misura cautelare, appurata la rilevanza dei beni giuridici sottesi – la libertà personale -. Non c’è ragione per estendere tal rigore garantista in caso di misure cautelari reali, che concernono la mera proprietà dei beni relativi ad un reato. In conclusione non va ritenuta applicabile al riesame cautelare reale la norma che prevede la non rinnovabilità della misura, salve eccezionali esigenze cautelari. Il decreto di sequestro preventivo può essere dunque rinnovato anche se fondato su ragioni cautelari poste alla base della misura precedentemente caducata per mancata osservanza dei termini perentori di legge.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 marzo – 23 agosto 2016, n. 35373 Presidente Lapalorcia – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 27 ottobre 2015 il Tribunale di Trento ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo del 1 ottobre 2015 emesso dal GIP presso lo stesso Tribunale, con il quale erano state sottoposte a misura cautelare reale le quote della società MIRCO COSTRUZIONI s.r.l., di cui è legale rappresentante M.A 2. Con atto sottoscritto personalmente ha proposto ricorso la A., articolando due motivi. 2.1. Con il primo è stata denunziata violazione dell'art. 125 comma 3 cod. proc. pen. si sostiene che il provvedimento sarebbe nullo perché recante motivazione solo apparente su una questione decisiva per il giudizio ovvero la rinnovabilità o meno del sequestro in precedenza dichiarato inefficace. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del combinato disposto di cui agli artt. 324 comma 7 e 309 commi 9 e 10 cod. proc. pen., come modificati dalla legge n. 47/2015. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1. Va premesso che nel caso in esame il decreto di sequestro preventivo impugnato con la richiesta di riesame è stato emesso in seguito alla declaratoria di inefficacia di un precedente decreto, conseguente alla violazione del termine di giorni dieci di cui al combinato disposto degli artt. 324, comma 7 e 309 commi 9 e 10 cod. proc. pen. 2. Con il ricorso in esame la A. in sostanza si duole della decisione dei Tribunale del riesame nella parte in cui ha ritenuto infondata la questione in ordine all'impossibilità di reiterazione della misura cautelare reale in seguito alla declaratoria di inefficacia del precedente decreto alla luce della novella legislativa introdotta dalla legge 47/2015. In particolare, la ricorrente ha sostenuto l'applicabilità alle misure cautelari reali della disposizione che esclude -nel caso di inefficacia della misura conseguente alle varie ipotesi di ritardo nell'ambito della fase di impugnazione - la reiterazione della misura. Si assume che sia applicabile alle misure cautelari reali l'art. 309, comma 10, cod. proc. pen., primo periodo, ultima parte, in cui si prevede che l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata . 3. La questione proposta implica l'interpretazione del nuovo testo del settimo comma dell'art. 324 cod. proc. pen Nel testo previgente tale norma che disciplina il procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro preventivo, conservativo e probatorio disponeva che si applicassero le disposizioni del nono e del decimo comma dell'art. 309 cod. proc. pen L'art. 11 della legge 47/2015 ha inserito nell'art. 324 il richiamo anche al comma 9-bis dell'art. 309 introdotto dallo stesso art. 11 e concernente la possibilità di chiedere il differimento dell'udienza camerale da cinque a dieci giorni . Nel testo modificato, quindi, il settimo comma dell'art. 324 prevede che nel procedimento di riesame reale si applicano le disposizioni dell'art. 309, commi 9, 9-bis e 10 . Ci si è chiesti se, per effetto di tale modifica dell'art. 324, risultino applicabili alle impugnazioni avverso i provvedimenti di sequestro non solo le nuove disposizioni di cui all'art. 9-bis, ma anche quelle inserite nei commi nono e decimo dell'art. 309. Il problema è sorto perché con una pronuncia Sez. Un., 28 marzo 2013, n. 26268, Cavalli, Rv. 25581-4 delle Sezioni unite di questa Corte - chiamate a pronunciarsi sull'applicabilità ai procedimenti di riesame su misure reali del termine per la trasmissione degli atti e della relativa sanzione di inefficacia di cui ai commi quinto e decimo dell'art. 309 - è stato risolto negativamente il quesito, affermando la natura recettizia e non formale dei rinvio dell'art. 324 ai commi nono e decimo dell'art. 309. In particolare, per quanto qui specificamente interessa, nella citata sentenza si è affermato che il rinvio che il comma 7 dell'art. 324 cod. proc. pen. effettua ai commi 9 e 10 del precedente art. 309 è riconoscibilmente recettizio, vale a dire statico esso cioè è fatto alla mera veste letterale dei predetti commi. I/ legislatore, in altre parole, invece di riprodurre, nel comma 7 dell'art. 324, le formule verbali dei commi 9 e 10 dell'art. 309 così come si presentavano prima della riforma del 1995 , le richiama perché si abbiano per trascritte. Tale modalità di incorporazione per relationem comporta, inevitabilmente, la cristallizzazione della disposizione normativa recepita, che dunque, una volta inglobata nella norma che la richiama, ne entra a far parte integrante e non segue le eventuali sorti evolutive della norma richiamata& gt & gt . Il problema che si è posto, quindi, è stato quello di stabilire se le conclusioni raggiunte nella citata sentenza delle Sezioni Unite - secondo cui, in sostanza, ai procedimenti aventi ad oggetto la richiesta di riesame delle misure reali devono applicarsi i commi nono e decimo dell'art. 309 nella formulazione originaria - debbano essere tenute ferme anche con le modifiche introdotte dalla legge 47/2015 ovvero dopo le modifiche apportate ai predetti commi. Questo Collegio ritiene di aderire alla interpretazione più restrittiva ovvero alla tesi della natura meramente recettizia del rinvio, dando doveroso atto che nelle more del deposito della presente sentenza sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza del 31 marzo 2016 ric. Capasso , che non risulta ancora massimata e che ha deciso sulla seguente questione Se, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, debbano trovare applicazione, in forza del rinvio operato dall'art. 324, comma 7, cod. proc. pen., le disposizioni previste dai commi 9 e 10 dell'art. 309 cod. proc. pen, nella formulazione originaria, ovvero se il rinvio sia da intendersi alle disposizioni contenute nei predetti commi dell'art. 309 nel testo modificato dalla legge 16 aprile 2015, n. 47 . Nella motivazione di tale sentenza si rinvengono i seguenti principi di diritto Il rinvio dell'art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell'art. 309 cod. proc. pen. comporta, per un verso, l'applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, la applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa. Il rinvio dell'art. 324, comma 7, al comma 10 dell'art. 309 cod. proc. pen. deve intendersi invece riferito alla formulazione codicistica originaria di quest'ultima norma . 4. Con riferimento specifico ai profili che interessano in questa sede, quindi, le Sezioni Unite hanno chiarito quanto segue .4. Vale la pena sottolineare che prima dell'intervento delle Sezioni Unite con la sentenza Cavalli del 2013, la tensione interpretativa che si veniva a determinare mettendo alla prova la tenuta del rinvio mantenuto nell'art. 324 comma 7 con il testo novellato del richiamato comma 10 dell'art. 309, era stata risolta dalla giurisprudenza di legittimità evidenziando e dando atto di quello che macroscopicamente - ma anche insuperabilmente, stante la lettera della legge - risultava essere un difetto di coordinamento delle due norme ad opera del legislatore del 1995 e che le stesse Sezioni Unite, in altra e precedente sentenza Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, cit. conforme Sez. U, n. 25933 del 29/05/2008, Malgioglio , avevano agilmente chiuso come caso di non applicabilità ai procedimenti in materia di misure cautelari reali dei comma 5 dell'art. 309 cod. proc. pen., non richiamato dall'art. 324, comma 7, cod. proc. pen. . Può riconoscersi dunque che l'approccio al problema, da parte delle Sezioni Unite del 2008, era stato quello basato sulla valutazione di in compatibilità delle modifiche apportate alla norma art. 309, comma 10 richiamata dall'art. 324, comma 7, con il resto dell'istituto del riesame reale, come delineato negli altri commi dello stesso art. 324. E proprio tale approccio è quello che, in linea di principio, merita di essere ribadito ancor oggi, onde rettamente eseguire la valutazione, rispetto alla procedura di riesame delineata dall'art. 324 cod. proc. pen., delle norme dell'art. 309 - e cioè dei commi 9, 9-bis e 10 - da quello richiamate nel comma 7, come rimodulato dal legislatore dei 2015. D'altra parte, il criterio della compatibilità è quello che esplicitamente lo stesso legislatore, all'atto della redazione del codice di rito, ha prescelto nella delineazione dell'istituto dell'appello in materia di sequestro, facendo ricorso ad una norma l'art. 322-bis cod. proc. pen. che rimanda, per l'appunto, alle disposizioni dell'art. 310, in quanto compatibili . 5. Senonché, è necessario subito evidenziare che, per quanto riguarda il comma 10, la valutazione in questione resta inibita in ragione della scelta, effettuata, a monte, dal legislatore del 2015, della tecnica di interpolazione della norma richiamante. Appare cioè ineludibile affrontare la specificità della situazione riguardante il richiamo operato dall'art. 324 al detto comma 10, specificità che lo sottrae necessariamente e lo rende insensibile alla operazione interpretativa, basata sul detto criterio di compatibilità, che di qui a poco verrà sviluppata con riferimento al richiamo al comma 9. Così, peraltro, dandosi risposta anche alle perplessità che la Sezione rimettente ha sollevato di fronte alla prospettiva di una integrale trasposizione dei precetti del detto comma 10 nella procedura del riesame reale. Come sopra evidenziato, la legge n. 47 del 2015 ha rimodulato il comma 7 dell'art. 324 cod. proc. pen. in tema di riesame di sequestro preventivo, conservativo e probatorio con la tecnica della sostituzione di una intera parte del precetto contenente il rinvio ai commi dell'art. 309 e cioè non già semplicemente aggiungendo il richiamo al comma 9-bis a quello, già esistente, ai commi 9 e 10, ma sostituendo alle parole art. 309, commi 9 , le parole art. 309, commi 9, 9-bis . Tale scelta impone di rilevare subito che, delle modifiche apportate all'art. 309 con l'art. 11 della legge n. 47 del 2015 si tratta di aggiunte ai commi 6, 8-bis e 9 della introduzione ex novo dei comma 9-bis della sostituzione dell'intero comma 10 , non tutte sono state estese al riesame reale, ma soltanto alcune. E si tratta di quelle concernenti i soli commi 9 e 9-bis, perché tali sono i commi che il legislatore del 2015 ha espressamente menzionato quando ha indicato, con la sostituzione delle parole, l'ampiezza del nuovo richiamo che intendeva operare. In altri termini, il fatto che il comma 6 dell'art. 11 legge n. 47 del 2015, laddove espressamente sono citati i commi da sostituire nel richiamo presente nell'art. 324, comma 7, non menzioni anche il comma 10 dell'art. 309 cod. proc. pen., fa ritenere che il detto comma 10, nella formulazione risultante dall'intervento del legislatore nell'ultima riforma, non debba riguardare la modalità di funzionamento del riesame reale. Con la ulteriore conseguenza che, sia pure attraverso tale specifico percorso interpretativo, le conclusioni della sentenza Cavalli sono da confermare. Si tratta comunque di una interpretazione - quella che esclude l'innesto del novellato comma 10 nel sistema dell'art. 324 - che risulta giustificata anche alla luce di considerazioni di carattere sistematico e perciò non può dirsi frutto di una interpretazione ancorata alla sola lettera dell'intervento manipolativo del legislatore. 5.1. Si è già detto che il menzionato comma 10 non può oggettivamente operare per il riesame delle misure reali, quanto alla sanzione che appresta al mancato rispetto del precetto del precedente comma 5, per ragioni che rimandano alla stessa struttura del precetto in questione e alla ontologica incompatibilità di questo col comma 3 dell'art. 324, ragioni illustrate dalla giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici e poi unite, all'indomani della introduzione del nuovo testo del detto comma 5. Non vi è incoerenza sistematica nell'affermare, dunque, che quello stesso comma 10 resta non operante anche in relazione a tutte le innovazioni in esso introdotte dalla legge n. 47 del 2015, che sono essenzialmente quelle della fissazione di un termine, prorogabile ma perentorio, anche per il deposito della ordinanza motivata, e dei divieto di rinnovazione della misura, salvo eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, una volta che abbia perso efficacia per il mancato rispetto dei termini prescritti. Se anche la si leggesse come una anchilosi , si tratterebbe dunque di un risultato che, per quanto apparentemente distonico con la già sopra ricordata esigenza di risposta effettivamente celere - e però anche esaustiva e completa - da parte del giudice del riesame, è da definire, piuttosto, come ulteriore espressione di una scelta risalente e collaudata dal legislatore, che è stata quella di lasciare la procedura del riesame reale non assoggettata, nella sua integralità, al rigidissimo regime proprio delle impugnazioni in materia di coercizione personale. Come è reso lampante, tra l'altro, dalla assoluta divergenza dei due istituti anche in punto di sospensione dei termini procedurali nel periodo feriale nonché di ampiezza dei sindacato di legittimità sui provvedimenti conclusivi. E ciò in ragione, evidentemente, della diversa graduabilità dei valori che risultano esposti all'esercizio del potere limitativo in via cautelare, come già riconosciuto dalla Corte costituzionale v. Corte cost., sentt. n. 268 del 1986 e n. 48 del 1994 ma la presa d'atto della necessaria diversificazione dei due tipi di misure, personale e reale, è anche alla base della ordinanza n. 153 dei 2007 , nonché dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 26268 del 2013, Cavalli. Nella stessa prospettiva merita di essere ricordata anche la recentissima sentenza delle Sezioni Unite n. 51207 del 17/12/2015, Maresca, Rv. 265112-265113, la quale è giunta alla conclusione di giustificare la diversità di rito camerale da riservare ai due diversi tipi di impugnazione partecipato ai sensi dell'art. 127 cod. proc. pen. per la trattazione dei ricorsi per cassazione in _ tema di misure cautelari personali e non partecipato ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen per la trattazione dei ricorsi in tema di misure reali , proprio per la ribadita differenza - derivante da una razionale scelta del legislatore - tra il regime cautelare personale e quello reale. 5.2. Che anche il legislatore del 2015 abbia inteso porsi lungo tale direttrice, è evenienza parimenti desumibile dal testo dell'art. 13, legge n. 47 cit., che può definirsi inequivocabile norma spia della volontà di insistere sulla differenziazione dei due tipi di riesame. Con essa è stato forgiato un inedito comma 5-bís, aggiunto nell'art. 311 cod. proc. pen., contenente disposizioni gemelle a quelle del comma 10 sui termini per la decisione e per il deposito della ordinanza nonché sulle sanzioni connesse al loro mancato rispetto, per la fase dei giudizio di rinvio, a seguito di annullamento della Cassazione, in talune delle ipotesi di incidente cautelare personale attivato dall'indagato. Ebbene, tale ulteriore stretta anche sui tempi del giudice di rinvio che deve rendere la propria decisione in tema di misura coercitiva, non ha riguardato la procedura di riesame delle misure reali, posto che l'art. 311, comma 5-bis, non essendo richiamato, a differenza dei propri commi 3 e 4, dall'art. 325 cod. proc. pen. - cioè dalla norma che disciplina il ricorso per cassazione contro le o rdinanze emesse nelle procedure della impugnazione, nell'incidente cautelare reale - non opera in relazione a queste. Non vi è motivo, pertanto, letterale o sistematico, per non riconoscere che la divaricazione nella regolamentazione dei due tipi di riesame è perdurante e confermata e che si apprezza una intrinseca coerenza nella complessiva disciplina del riesame in materia reale il quale, a differenza dell'omologo istituto in materia di misure coercitive personali, sebbene in assonanza con l'istituto --- - dell'appello ex art. 310 cod. proc. pen. che è anche la impugnazione ordinaria contro la ordinanza genetica che applica misure personali interdittive richiamato a sua volta dall'art. 322-bis cod. proc. pen. , non era e non è scandito da termini perentori e sanzionati per la trasmissione degli atti da parte dei giudice procedente, né lo è divenuto per il deposito della ordinanza e tantomeno per la decisione in sede di rinvio. E neppure soffre il divieto, per quanto condizionato, - - - di rinnovazione della misura divenuta inefficace per tali inadempimenti. Esso è invece regolato con la previsione di un termine perentorio soltanto per il deposito del dispositivo di decisione, termine che, al pari di quello solo ordinatorio per il deposito della ordinanza rimasto fissato, per le decisioni del riesame reale, dall'art. 128 cod. proc. pen. come era già stato riconosciuto, peraltro in via generale, da giurisprudenza costante a partire da Sez. U, n. 7 del 17/04/1996, Moni, Rv. 205256 , è divenuto oggi procrastinabile, in base al nuovo disposto del comma 9-bis dell'art. 309 , nella stessa misura nella quale venga accolta la richiesta personale dell'imputato, di differimento della data di udienza per giustificati motivi. Non potrebbe non notarsi, d'altra parte, in tema di divieto di rinnovazione del la misura dichiarata inefficace, che la disciplina sul punto prevista per il riesame di misure coercitive sarebbe di difficile abbinamento alla materia delle misure ablative, per molte delle quali ad esempio il sequestro probatorio il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente o il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma dell'art. 12-sexies del d.l. n. 306 del 1992 o ancora, in tema di responsabilità dipendente da reato degli enti e persone giuridiche, per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca non sono nemmeno richieste specifiche esigenze cautelari e tantomeno, dunque, potrebbe pretendersi la motivazione su esigenze eccezionali. Conferma tale conclusione anche il rilievo che il divieto - se non in casi eccezionali - di rinnovazione della misura coercitiva caducata per ragioni formali che attengono ad una non efficiente risposta del giudice, ha come pendant un analogo precetto previsto dall'art. 302 cod. proc. pen. sempre in tema solo di misure cautelari personali. Cioè il precetto che prevede, come norma di civiltà giuridica, quella della necessaria scarcerazione dell'imputato il quale non sia stato sottoposto tempestivamente all'interrogatorio di garanzia e veda per questo perdere l'efficacia della misura cautelare alla quale era stato sottoposto. Una norma che non trova lo stesso sostrato di valori in materia di inefficacia della misura reale, dove sembra invece preponderante e proporzionata la scelta ordinaria di consentire che la sola sanzione per il mancato rispetto dei termini del procedimento sia il relativo riconoscimento e la inefficacia del titolo, cui ben possa seguire la rinnovazione dello stesso, con il seguito di una procedura emendata da vizi. 5.3. Non osta, d'altra parte, a tale conclusione, una diversa interpretazione letterale e sequenziale dei commi 9-bis e 10 dei vigente art. 309 cod. proc. pen. In altri termini, è evidente che, per il riesame delle misure coercitive, il legislatore del 2015 abbia inteso dare corso ad un inasprimento dei doveri di celerità del giudice dei riesame, prevedendo, nel comma 9-bis, lo slittamento, di cui sopra si è detto, dei termini di decisione e di deposito della ordinanza, dovuto ad esigenze difensive, per poi chiarire, nel successivo comma 10 - dunque strettamente correlato al precedente - quale sia la durata fisiologica dei termini stessi, per giunta inaugurando una disciplina del tutto innovativa in punto di specificità e durata dei termini di deposito della ordinanza resi autonomi rispetto al canone generale dell'art. 128 cod. proc. pen. , di prorogabilità degli stessi per la complessità della motivazione, e di sanzione processuale in caso di mancato rispetto. Il fatto è, però, che, espungendo - per le ragioni sopra dette - il testo novellato del comma 10 dal richiamo operato dal comma 7 dell'art. 324 , non può dirsi che il comma 9-bis, invece pacificamente operante, rimanga privo di un elemento fondante per la propria precettività. Ed infatti, il disposto del comma 9-bis è perfettamente leggibile alla luce dell'art. 128 cod. proc. pen. che è la norma, come sopra già ricordato, che dà corpo, per il riesame delle misure reali, al precetto sul tempo per il deposito della ordinanza e lo rende certo e passibile oggi di differimento per comprovate esigenze difensive, senza che in relazione ad esso debbano operare anche le norme sulla perentorietà, sulla prorogabilità per la difficoltà del caso e sulla sanzione di inefficacia introdotte per la prima volta con la legge n. 47 del 2015. Tutto quanto fin qui osservato riguarda dunque la sorte del novellato comma 10 dell'art. 309, da ritenersi escluso dal richiamo operato nel comma 7 dell'art. 324 cod. proc. pen., che invece resta ancorato al testo del comma 10 come originariamente concepito nel codice di rito . 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va rigettato, con condanna della ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.