Induzione indebita tentata: il vantaggio illecito del privato non è necessario

Il tentativo di induzione indebita non richiede, per il suo perfezionamento, che il privato abbia conseguito un indebito vantaggio, in quanto detto elemento appartiene alla sola forma consumata della suddetta ipotesi delittuosa.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 35271 depositata il 22 agosto 2016. Lo spauracchio della sanzione tributaria. Agenzia delle Entrate basta soltanto nominarla per ingenerare, nella stragrande maggioranza dei contribuenti, le più angoscianti paure, a volte irrazionali chi è a posto con la propria coscienza fiscale teme sempre e comunque la cartella pazza e i suoi derivati , a volte ben riposte, poichè negli armadi dei contribuenti italiani spesso alloggiano comodamente scheletri di varia consistenza. Protagonisti del processo sul quale si sono adesso pronunciati i Supremi Giudici sono, per l'appunto, due dipendenti dell'Agenzia delle Entrate, accusati di avere costretto alcune persone a promettere e, successivamente, a consegnare una forte somma di denaro. Il programma criminoso non sarebbe, però, andato in porto. L'iniziale condanna pronunciata in abbreviato per tentata concussione subiva un rimodellamento consistente in appello i fatti sono diversamente qualificati come induzione indebita tentata. I difensori degli imputati non ci stanno, e propongono ricorso per cassazione. Tante le questioni sollevate, sostanziali e processuali. La sentenza di secondo grado è sottoposta ad un serrato fuoco di fila di censure. Dobbiamo riconoscere che la rilevanza delle questioni sollevate è di tutto rispetto si spazia dal diritto processuale penale per citare un esempio con riferimento specifico alla incompatibilità del GIP che emetteva il decreto di giudizio immediato e che successivamente avrebbe redatto anche l'ordinanza ammissiva del rito contratto , al diritto penale sostanziale, con riguardo ai connotati essenziali del tentativo di induzione indebita. Ci soffermiamo su quest'ultimo aspetto uno dei ricorrenti si duole perchè la Corte di appello non teneva in conto che i privati, destinatari della condotta induttiva, non avrebbero ottenuto alcun vantaggio dall'azione posta in essere nei loro confronti. Secondo la tesi sostenuta nel ricorso, quest'ultimo elemento costituirebbe un requisito implicito della fattispecie in esame. Il vantaggio indebito del privato appartiene alla sola forma consumata. E' questa la risposta che la Cassazione oppone al ricorso, che, sul punto, è rigettato. Il contenuto della decisione oggi in commento contiene, in relazione a questa specifica doglianza, ampi richiami a recenti orientamenti di legittimità. Non è affatto nuova, in realtà, la questione della configurabilità del tentativo di induzione indebita, e della necessità o meno che il privato abbia perseguito un indebito vantaggio anche nella forma non consumata del reato in parola. Con una decisione del 2014 la Sesta Sezione del Supremo Collegio ha chiaramente negato la necessità che, per aversi induzione indebita nella forma tentata, il privato debba avere già perseguito un vantaggio illecito. La soluzione del caso concreto, pertanto, è pressocchè scontata, dato che gli Ermellini non si discostano minimamente dal principio di diritto appena illustrato. La ragione della superfluità del vantaggio nel tentativo d'induzione. Secondo la Cassazione il perseguimento di un vantaggio indebito è un elemento tipico della fattispecie induttiva nella sola forma consumata. La ragione di una simile conclusione è tutta nella funzione criminologica del vantaggio conseguito dal privato. Esso serve a giustificare la risposta penale nei confronti del cittadino - l' extraneus - che cede alle seduzioni del pubblico ufficiale, allettato proprio dalla possibilità di ricavare, a fronte del pagamento di un prezzo, un indebito privilegio. Difettando quest'ultimo per la resistenza che il privato oppone alle richieste dell'agente pubblico, e quindi non consumandosi la fattispecie di reato per merito dello stesso destinatario delle richieste illecite, non v'è ragione di conferirvi rilevanza nell'economia del tentativo. Che si perfezionerà, quindi, con la semplice attività induttiva.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 giugno – 22 agosto 2016, n. 35271 Presidente Ippolito – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Varese del 14 marzo 2012, la Corte d’appello di Milano, riqualificati i fatti ascritti a M.V. e D.M. dall’ipotesi di cui al combinato disposto degli artt. 56 e 317 cod. pen. in quella ex artt. 56 e 319-quater cod. pen., ha rideterminato la pena inflitta a ciascuno degli imputati in anni uno e mesi sei di reclusione, con conferma nel resto dell’impugnata sentenza. 1.1. Mette conto precisare che M.V. e D.M. sono accusati di avere, in concorso tra loro, abusando della loro qualità e dei poteri conferiti dalla legge quali dipendenti dell’Agenzia delle Entrate di XXXXXX, costretto Me.Au. , commercialista, F.D. e Mi.Ma.An. , contribuenti, prima a promettere e, poi, a consegnare un’ingente somma di denaro, minacciando l’inizio di un accertamento tributario, in relazione ad illeciti valutari ed alla pratica di rientro di capitali dall’estero con il sistema del cd. scudo fiscale. 1.2. A sostegno del decisum , la Corte ha preliminarmente ripercorso la motivazione del provvedimento appellato, dando atto della denuncia presentata dai coniugi F. da cui prendeva avvio il procedimento, del contenuto delle intercettazioni telefoniche e delle riprese audio e video, delle dichiarazioni integranti una chiamata in correità - di D.M. nonché delle sostanziali ammissioni fatte innanzi al Giudice delle indagini preliminari dal M. v. pagine 1-4 . 1.3. In risposta ai motivi d’appello, il Collegio lombardo ha - primo luogo evidenziato come debbano essere disattese le eccezioni in rito quanto a alla pretesa nullità dell’ordinanza ammissiva del rito abbreviato b alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal commercialista Me. c alla eccepita nullità dell’interrogatorio al P.M. dell’imputato D. - con conseguente irrilevanza dell’integrazione probatoria richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. - d alla rilevata nullità delle registrazioni del colloquio fra i coniugi F. e Me. v. pagine 5-10 . 1.4. Nel merito, la Corte distrettuale ha richiamato la ricostruzione dei fatti compiuta dal primo giudice e, confermata la già delineata situazione di oggettiva disparità e soggezione psicologica in cui versavano le parti lese, ha nondimeno riqualificato il fatto quale induzione indebita tentata, sul presupposto che il comportamento degli imputati non raggiunse mai la soglia di una vera e propria costrizione, lasciando ai medesimi un discreto margine di autodeterminazione, là dove, ai fini dell’integrazione del delitto in oggetto, non è necessario l’ulteriore requisito - ritenuto nella specie insussistente - del perseguimento di un indebito vantaggio da parte dell’indotto v. pagine 10-11 . 1.5. Il Giudice d’appello ha infine stimato non applicabili agli imputati le circostanze attenuanti generiche né la sospensione condizionale della pena, evidenziando, quanto al primo istituto, che non rileva la mera condizione di incensuratezza quanto al secondo, che non è possibile esprimere una prognosi positiva in merito alle future condotte dei prevenuti v. pagine 10-12 . 2. Ricorre avverso la sentenza M.V. , a mezzo del proprio difensore di fiducia Avv. Carlo Enrico Paliero, e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge processuale per nullità dell’ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato. Evidenzia il ricorrente come, contrariamente a quanto sancito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte nella sentenza n. 30200 del 2011 , la valutazione in merito all’ammissibilità del giudizio abbreviato richiesta in principalità nella forma condizionata, in subordine, nella forma incondizionata sia stata compiuta - con il provvedimento del 14 settembre 2010 - dallo stesso Giudice delle indagini preliminari che emetteva il decreto di giudizio immediato, il quale invece avrebbe dovuto limitarsi a fissare l’udienza per la decisione sul rito. A nulla rileverebbe la circostanza - valorizzata dalla Corte distrettuale - che, nell’ordinanza del 6 aprile 2011 emessa dal giudice che pronunciava sentenza, si desse atto del fatto che nel corso dell’udienza del 6 aprile 2011 siano state riproposte dalla difesa ampiamente discusse tutte le questioni concernenti l’eventuale necessità di integrazione probatoria , atteso che ogni questione era già stata ormai decisa ed esaurita e che l’ordinanza di ammissione del rito non avrebbe mai potuto essere revocata. 2.2. Violazione di legge processuale in relazione all’art. 191 cod. proc. pen. con riferimento alla registrazione del colloquio avvenuto fra i coniugi F. e Me. ed all’omessa valutazione degli elementi evidenziati dalla difesa. Lamenta il ricorrente che il colloquio in oggetto è stato registrato previa intesa con i Carabinieri e che, pertanto, esso avrebbe dovuto essere autorizzato a norma degli artt. 266 e seguenti del codice di rito, in linea con le indicazioni della giurisprudenza di legittimità in materia. 2.3. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 63 e 191 cod. proc. pen. con riguardo alle dichiarazioni rese da Me.Au. ed omessa valutazione degli elementi dedotti dalla difesa. Evidenzia il ricorrente come i coniugi F. sporgessero denuncia contro ignoti il 29 gennaio 2010 e come, in data 30 gennaio 2010, Me. fosse iscritto nel registro degli indagati per tentata estorsione successivamente, nell’interrogatorio del 16 febbraio 2010, D. operava una vera e propria chiamata in correità nei confronti del Me. . Ne discende che, allorquando rendeva le dichiarazioni in data 16 febbraio 2010 lo stesso giorno dell’interrogatorio del D. , ma in successione cronologica , Me. non potesse essere sentito quale mero testimone, giusta la veste formale e sostanziale di persona sottoposta ad indagini. 2.4. Vizio di motivazione in considerazione dell’omessa valutazione della credibilità intrinseca del dichiarante e dell’assenza di qualsivoglia riscontro alla chiamata di correo del coimputato D. , unica fonte di prova a carico di M. . Evidenzia il ricorrente, quanto al primo profilo, che D. è soggetto non nuovo a fatti corruttivi e che la chiamata in correità non appare disinteressata, né genuina, né spontanea, né - comunque - intrinsecamente coerente, essendo contraddistinta da numerose incongruenze quanto al secondo profilo, che le dichiarazioni del D. non possono ritenersi confermate da quanto affermato dal M. , atteso che esse convergono sull’unico aspetto della consegna di un foglio con scritto 50 , mentre per il resto sono in aperto contrasto tra loro. Si rimarca, in particolare, che le dichiarazioni del D. concernenti le presunte pressioni ricevute da parte del M. o comunque il coinvolgimento di quest’ultimo non sono riscontrate da un solo elemento concreto, fondandosi su deduzioni logiche se non su mere congetture. 2.5. Contraddittorietà ed illogicità della motivazione in considerazione dell’assenza di un indebito vantaggio in capo ai privati, circostanza costituente requisito implicito della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 319-quater cod. pen. Osserva il ricorrente come la Corte d’appello, nel riqualificare i fatti, sia incorsa in un evidente errore di diritto, dal momento che, per un verso, manca la prova di un qualunque interesse indebito dell’ extraneus , essendo stata la pratica dei coniugi F. già archiviata per altro verso, la condotta posta in essere dai pubblici ufficiali era inidonea ad indurre i privati, come è provato dalla loro resistenza alle richieste. Il fatto andava, pertanto, qualificato come istigazione, non accolta, alla corruzione. 2.6. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena, ingiustificatamente commisurata non sui minimi edittali, ed alla irragionevole esclusione delle circostanze attenuanti generiche, là dove - nell’ambito della nuova fattispecie incriminatrice dell’induzione indebita non v’è nessuna vittima da risarcire, di tal che risulta errato il diniego della riduzione di pena fondata sul mancato risarcimento nei confronti delle parti civili. 2.7. Violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, per avere la Corte trascurato di considerare che all’imputato è stata applicata, quale pena accessoria, l’interdizione dai pubblici uffici e che egli ha documentato la cessazione dall’ufficio, con conseguente materiale impossibilità di commettere reati della stessa specie. 3. Avverso la sentenza ha presentato ricorso anche D.M. , a mezzo del difensore di fiducia Avv. Daniele Ripamonti, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi. 3.1. Violazione di legge processuale per nullità dell’ordinanza ammissiva del giudizio abbreviato, sulla scorta di considerazioni analoghe a quelle mosse dal coimputato v. punto 2.1 . 3.2. Violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione alla nullità ed inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato D. dell’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero in data 16 febbraio 2016, non essendo questi stato posto in grado di conferire preventivamente col difensore. 3.3. Violazione di legge processuale in relazione agli artt. 63 e 191 cod. proc. pen. e conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da Me.Au. e della registrazione del colloquio avvenuto fra i coniugi F. e lo stesso Me. , per le medesime ragioni dedotte dal M. v. punti 2.2 e 2.3 . 3.4. Erronea applicazione di legge penale in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, là dove non v’è prova che i coniugi F. versassero in uno stato di soggezione, essendosi essi impegnati a consegnare il denaro richiesto tramite il commercialista, non in conseguenza dell’induzione da parte del pubblico agente, bensì al fine di procurarsi un indebito vantaggio, del quale non avevano diritto, attraverso la mercificazione dell’azione amministrativa. 3.5. Erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, con riguardo sia al denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche - risultando erronea la valorizzazione del mancato risarcimento nei confronti dei contribuenti, i quali avevano operato al fine di conseguire un indebito vantaggio - sia alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, trattandosi di soggetto incensurato, che non ricopre più alcun incarico pubblico. Considerato in diritto 1. I ricorsi sono fondati con limitato riguardo al profilo concernente la decisione in punto di sospensione condizionale della pena, mentre vanno rigettati nel resto. 2. In linea generale, occorre evidenziare come, salvo che per alcuni profili, i motivi dedotti dai due ricorrenti poggino - nella sostanza - sulle medesime considerazioni, di tal che, per evitare inutili ripetizioni, saranno trattati unitariamente. 3. È destituito di fondamento il motivo in rito, con il quale i ricorrenti hanno rinnovato l’eccezione già dedotta in appello di nullità della sentenza per illegittima instaurazione del rito abbreviato motivi sub punti 2.1 e 3.1 del ritenuto in fatto . 3.1. Per una migliore comprensione dei termini della questione, mette conto precisare che, dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, gli imputati avanzavano tempestiva richiesta di definire la propria posizione processuale con il rito abbreviato condizionato ed, in via subordinata, con il rito abbreviato ordinario. Con ordinanza del 14 settembre 2010, lo stesso giudice persona fisica che aveva emesso il decreto di giudizio immediato rigettava inaudita altera parte la richiesta di giudizio abbreviato condizionato ed ammetteva il rito abbreviato ordinario, fissando l’udienza del 6 aprile 2011 innanzi ad altro giudice. A tale udienza, il giudice invitava le parti ad interloquire in merito alla richiesta di giudizio abbreviato condizionato ed, all’esito della discussione, pronunciava una nuova ordinanza con la quale confermava la precedente decisione sul rito cioè di ammissione del solo giudizio abbreviato ordinario , richiamando le considerazioni già svolte nell’ordinanza del settembre 2010. 3.2. I ricorrenti eccepiscono la nullità della sentenza per invalida instaurazione del rito in quanto fondata sulla base del provvedimento del 14 settembre 2010 assunto in assenza di contraddittorio fra le parti e, dunque, in violazione del principio affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 30200 del 2011. Nullità che essi deducono non essere sanata dalla successiva ordinanza del 6 aprile 2011, in quanto intervenuta su di una materia esaurita , perché già decisa con la prima ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato, non revocabile. 3.3. Giova rammentare che, a norma dell’art. 458 cod. proc. pen., entro quindici giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato, l’imputato ha facoltà di chiedere di essere giudicato con il rito abbreviato ed, ai sensi della comma 2 della stessa norma, se la richiesta è ammissibile, il giudice fissa con decreto l’udienza dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all’imputato, al difensore e alla persona offesa . Secondo tale disposto normativo, a seguito di richiesta di definire il procedimento con giudizio abbreviato dopo la notifica del decreto di giudizio immediato, il giudice deve dunque fissare la data per la celebrazione del giudizio abbreviato, che sarà deciso da parte di altro giudice persona fisica, giusta l’incompatibilità ai sensi dell’art. 34 cod. proc. pen La norma non precisa se, nel fissare l’udienza, il giudice possa o, addirittura, debba pronunciarsi anche sull’ammissione del rito, né se il provvedimento di fissazione abbia comunque valenza di decisione sul rito. 3.4. Ora, non è revocabile in dubbio che diverso sia lo spazio delibativo riconosciuto al decidente a seconda se l’imputato chieda di essere giudicato con il giudizio abbreviato ordinario ovvero condizionato. Ed invero, in caso di richiesta di giudizio abbreviato tout court , il provvedimento di ammissione rappresenta un atto dovuto, costituendo l’opzione dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti in udienza preliminare esercizio di un vero e proprio diritto potestativo. Salvo profili di inammissibilità della richiesta per meri motivi formali ad esempio, il difetto di legittimazione del difensore o l’intempestività in caso di trasformazione da giudizio immediato , al decidente non è difatti riconosciuto alcun margine per disattendere la richiesta, come nessun potere di interloquire sulla stessa e, pertanto, di esprimere un consenso o un dissenso è attribuito al P.M Diversamente, il provvedimento di ammissione del giudizio abbreviato condizionato all’assunzione probatoria presuppone un vaglio giurisdizionale in ordine ai due profili dell’effettiva necessità della prova richiesta ai fini della decisione e della compatibilità con le esigenze di economia processuale che connotano il rito alternativo. Valutazione che, in armonia con quanto disposto in tema di provvedimenti sull’ammissione della prova nel processo ai sensi dell’art. 495 cod. proc. pen., presuppone che il giudice provveda sentite le parti , dunque previo contraddittorio. 3.5. In assenza di un’espressa disciplina sul punto, in passato si è registrato un contrasto ermeneutico sul possibile contenuto decisorio e/o sulla valenza dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 458, comma 2, cod. proc. pen., profilo rilevante non solo ai fini della corretta instaurazione del rito, ma anche - e soprattutto - ai fini della determinazione dei termini di custodia cautelare ai sensi dell’art. 303, comma 1, n. 2 lett. b-bis , cod. proc. pen. e, segnatamente, della individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il termine di fase per il giudizio abbreviato. 3.6. Investite della questione interpretativa concernente l’individuazione del dies a quo di durata della misura cautelare nella fase del giudizio abbreviato se decorrente dall’ordinanza di fissazione dell’udienza ex art. 458, comma 2, ovvero dall’ordinanza di ammissione del rito da parte del giudice investito della decisione del processo , le Sezioni Unite di questa Suprema Corte hanno chiarito che detto termine, anche nella ipotesi di giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria e disposto a seguito di richiesta di giudizio immediato, decorre dall’ordinanza con cui si dispone il giudizio abbreviato e non dall’emissione del decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 458, comma 2, cod. proc. pen. sentenza n. 30200 del 28/04/2011, P.M. in proc. Ohonba, Rv. 250348 . Nell’argomentare la decisione, le Sezioni Unite hanno preso le mosse dalla considerazione che la decisione in ordine alla ammissibilità o meno del giudizio abbreviato condizionato all’assunzione probatoria non può essere assunta inaudita altera partem , ma deve essere preceduta da un contraddittorio fra le parti, in linea con i principi generali del sistema processuale, occorrendo verificare se l’integrazione probatoria richiesta sia necessaria e compatibile con le esigenze di semplificazione che caratterizzano il rito abbreviato , valutazione, quindi, molto delicata per le rilevanti conseguenze per l’imputato, che non può che essere assunta, tenuto conto dei principi generali che disciplinano il nostro sistema processuale, in udienza e in contraddittorio tra le parti, dal giudice competente per il rito . Tanto premesso, le Sezioni Unite hanno rilevato che, poiché il giudice chiamato a valutare la fondatezza della domanda di rito abbreviato proposta nell’ambito del giudizio immediato ed a celebrare poi il relativo procedimento speciale, non può essere, per ragioni di incompatibilità ex art. 34, comma 2, cod. proc. pen., lo stesso che abbia decretato l’accoglimento della richiesta del pubblico ministero di giudizio immediato , il giudice, investito dalla richiesta di giudizio abbreviato, che, come detto, non può celebrarlo, valutata la tempestività e l’esistenza degli altri requisiti formali della richiesta, rimetterà le parti dinanzi al giudice competente a valutare l’ammissibilità e la fondatezza del rito richiesto ed a celebrare, eventualmente, il giudizio abbreviato . 3.7. Dalla lettura del complessivo compendio motivazionale della ricordata sentenza, risulta di tutta evidenza come le Sezioni Unite di questa Corte non si siano limitate ad affermare il sopra delineato e condivisibile principio di diritto al solo fine di individuare il dies a quo ai fini dell’art. 303, comma 1, n. 2 lett. b-bis , cod. proc. pen. - dunque di determinare i termini di custodia cautelare -, ma come siano pervenute all’affermazione della indicata regula iuris all’esito di un’attenta ricostruzione delle scansioni processuali in cui deve articolarsi la trasformazione del giudizio immediato nel rito abbreviato, fissando dunque i paletti ermeneutici a disciplina dell’istituto oltre lo stretto ambito del profilo concernente i termini di custodia cautelare. In particolare, secondo quanto chiarito dalle Sezioni Unite, il provvedimento di fissazione dell’udienza previsto dall’art. 458, comma 2, presuppone la sola verifica dei requisiti formali della richiesta quali la tempestività della richiesta ed ha valenza di mero impulso processuale , mentre la decisione sull’ammissione del rito abbreviato - sia esso ordinario o condizionato - è riservata al giudice che dovrà celebrare il rito e può essere adottata soltanto all’esito del contraddittorio fra le parti. In linea con tale conclusione, si è di recente riaffermato con riguardo allo specifico aspetto delle legittimità delle contestazioni suppletive da parte del P.M. che il giudizio abbreviato richiesto dall’imputato a seguito della notificazione del decreto di giudizio immediato, non può essere considerato già instaurato a seguito del decreto di fissazione dell’udienza, ma si apre soltanto con l’adozione dell’ordinanza di ammissione Sez. 3, n. 14433 del 04/12/2013 - dep. 27/03/2014, Z., Rv. 259719 . 3.8. Definite le coordinate ermeneutiche da applicare nel caso di specie, giudica il Collegio che le deduzioni difensive siano destituite di fondamento. Ed invero, la sentenza di primo grado è stata pronunciata all’esito della celebrazione del giudizio abbreviato incondizionato ritualmente instaurato con l’ordinanza di ammissione e contestuale rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato pronunciata all’udienza del 6 aprile 2011 da parte di un giudice diverso da quello che ha emesso il decreto di giudizio immediato, in ossequio alle regole in tema do incompatibilità, ed all’esito di una discussione fra le parti ed, in particolare, dell’illustrazione ad opera delle difese delle ragioni della sollecitata integrazione probatoria. Dunque, senza alcun vulnus ai diritti di difesa ed in conformità alle linee guida tracciate dalle Sezioni Unite nella sopra disaminata pronuncia del 2011. 3.9. Né la rituale instaurazione del rito abbreviato potrebbe ritenersi invalidata dalla circostanza che, a sostegno del provvedimento del 6 aprile 2011, il giudice abbia richiamato e fatto propri gli argomenti già sviluppati dal primo Gip nell’ordinanza del 14 settembre, stante la piena legittimità della motivazione per relationem Sez. U n. 17 del 21/06/2000, Primavera, Rv. 216664 . 3.10. D’altra parte, l’ordinanza del 6 aprile 2011 non può ritenersi viziata per il fatto che - come sostenuto dai ricorrenti - essa sia intervenuta su di una materia ormai esaurita , essendo stata la richiesta di giudizio abbreviato già delibata con l’ordinanza del 14 settembre 2010. Contrariamente all’assunto difensivo, nel caso di specie, non viene in rilievo un caso di revoca implicita del primo provvedimento di ammissione del rito, pacificamente non consentita, stante l’irrevocabilità dell’ordinanza di ammissione del giudizio abbreviato Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253212 . Si tratta piuttosto della corretta valutazione/interpretazione dell’ordinanza del 14 settembre da parte del secondo giudice, il quale ha considerato il provvedimento valido e produttivo di effetti nella sola parte contenente la fissazione dell’udienza per l’ammissione del rito e l’eventuale celebrazione del giudizio - dunque nella sola parte in cui esso funse da mero impulso processuale -, stimando quale tamquam non esset la statuizione in punto di ammissione del rito, che - in applicazione dell’insegnamento delle Sezioni Unite nella sentenza n. 30200 del 2011 - non avrebbe potuto esservi. Reputa il Collegio che la presenza in un atto di un contenuto dispositivo non consentito quale, appunto, la decisione sul rito non possa dare luogo a nullità allorquando siffatta statuizione non abbia prodotto - in concreto - nessun effetto processuale, per avere il giudice considerato l’atto e dato esecuzione al medesimo nell’unica parte legittima id est la fissazione dell’udienza per la decisione sull’ammissione del rito e per la celebrazione del giudizio e riconosciuto alle parti il pieno esercizio delle rispettive prerogative processuali, in ipotesi pregiudicande dalla statuizione pretermessa, nella specie consentendo loro la più ampia interlocuzione sull’ammissione del rito abbreviato condizionato prima di una assumere una nuova decisione - rectius l’unica assunta in modo legittimo sull’ammissione del rito -. Ed invero, un vizio di un atto può ritenersi dare luogo a nullità in quanto abbia prodotto un qualche effetto processuale e non quando il vizio sia riconosciuto ed emendato dal giudice, impedendo che l’atto stesso possa produrre l’effetto non ammesso dall’ordinamento, con una rinnovazione dell’atto nullo. In altri termini, anche a voler accedere alla tesi difensiva ed a ritenere nulla la prima ordinanza del 14 settembre 2010, in quanto assunta in violazione della regula iuris fissata da questa Corte nella pronuncia testé ricordata, il denunciato vizio risulterebbe comunque emendato secondo la disciplina generale in tema di sanatoria delle nullità delineata nell’art. 183 comma 1 lett. b , cod. proc. pen., essendosi la parte avvalsa della facoltà al cui esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato , dal momento che, per un verso, le difese venivano poste in grado di discutere in merito l’ammissibilità del giudizio abbreviato condizionato dinanzi al giudice competente, senza nessuna lesione dei loro diritti per altro verso, detto giudice adottava, all’esito del pieno contraddittorio fra le parti sul punto, una nuova ordinanza di ammissione del rito, a piena rinnovazione dell’atto in ipotesi nullo. 4. È infondata anche la seconda doglianza in rito, con la quale si è eccepita l’inutilizzabilità ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen. della registrazione del colloquio avvenuto fra i coniugi F. e Me. punti 2.2 e 3.3 del ritenuto in fatto . 4.1. Nel sostenere che detta registrazione avvenne previa intesa con i Carabinieri e fosse, pertanto, da autorizzare a norma degli artt. 266 e seguenti del codice di rito, i ricorrenti ripropongono le medesime doglianze già dedotte in appello senza confrontarsi con la motivazione sviluppata sul punto dalla Corte distrettuale. 4.2. In linea di principio, le considerazioni dei ricorrenti sono ineccepibili, là dove, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, non sono utilizzabili, in assenza di un provvedimento motivato di autorizzazione del giudice o del P.M., le registrazioni fonografiche di conversazioni occultamente effettuate da uno degli interlocutori d’intesa con la polizia giudiziaria e attraverso strumenti di captazione dalla stessa forniti Sez. 6, n. 23742 del 07/04/2010, Angelini, Rv. 247384 Sez. 2, n. 19158 del 20/03/2015, Pitzulu, Rv. 263526 . 4.3. Nondimeno, siffatto principio non si attaglia al caso di specie nel quale, come argomentato dalla Corte con motivazione puntuale e convincente - quindi incensurabile nella sede di legittimità -, per un verso, non v’è evidenza che i due coniugi F. abbiano agito d’intesa con i Carabinieri per altro verso, il contenuto della conversazione è oggetto di ammissione da parte di entrambi gli imputati , di tal che risulta conclamata la sostanziale mancanza d’interesse a dedurre l’eccezione, atteso che come appunto dato conto dal Collegio di merito , quand’anche l’atto fosse espunto dal compendio probatorio valutabile, l’affermazione della penale responsabilità reggerebbe comunque alla cd. prova di resistenza. 5. È inammissibile, per le ragioni di seguito esposte, il motivo con il quale si è eccepita l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Me.Au. ai sensi del combinato disposto degli artt. 63 e 191 cod. proc. pen I ricorrenti deducono che il commercialista avrebbe dovuto essere sentito, non quale mero testimone, ma quale persona sottoposta ad indagini, atteso che, al momento nel quale rendeva le dichiarazioni, egli risultava iscritto a mod. 21 per il reato di tentata estorsione in danno dei coniugi F. punti 2.3 e 3.3 del ritenuto in fatto . 5.1. Secondo le lineari indicazioni delle Sezioni Unite di questa Corte e la successiva giurisprudenza di legittimità, è pacifico che il giudizio abbreviato - quale negozio processuale di tipo abdicativo con il quale l’imputato chiede che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti rinunciando, almeno nell’ipotesi ordinaria, a chiedere ulteriori mezzi di prova - consenta di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento. Nondimeno, esso non può consentire l’ingresso nel processo di quegli atti che siano affetti dalla cd. inutilizzabilità patologica , perché assunti contra legem , la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito sentenza n. 16, del 21/06/2000, Tammaro, Rv. 216246 . Ne discende l’inutilizzabilità, anche nel giudizio a prova contratta , delle dichiarazioni del soggetto che, in quanto indagato, avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie difensive, con conseguente violazione del disposto dell’art. 63 cod. proc. pen., trattandosi inutilizzabilità cd. patologica, in quanto scaturente da uno specifico divieto probatorio, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio e dunque anche nel giudizio abbreviato Sez. 2, n. 34512 del 29/04/2009, Fornaro, Rv. 245226 . 5.2. Ferma l’inutilizzabilità del contributo narrativo del commercialista Me. in effetti, in un primo tempo indagato per lo stesso fatto del quale sono poi stati ritenuti responsabili i ricorrenti , le censure degli imputati non si confrontano con la circostanza - ben delineata dalla Corte territoriale a pagina 9 della sentenza impugnata - che tali dichiarazioni non sono state utilizzate come elemento a carico né dal primo giudice né dallo stesso Collegio d’appello, di tal che, anche espungendo - come doveroso - tale dato conoscitivo dal materiale processuale delibabile, il giudizio di penale responsabilità reggerebbe comunque alla c.d. prova di resistenza. La doglianza è pertanto priva di una qualunque rilevanza processuale ed il motivo risulta inammissibile per carenza d’interesse. 6. È palesemente destituito di fondamento anche il secondo motivo di ricorso dedotto da D. punto 3.2 del ritenuto in fatto , con il quale si sono eccepite la nullità e l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo stesso imputato dell’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero in data 16 febbraio 2016, per essere stato al medesimo impedito di conferire preventivamente col difensore. 6.1. Il motivo riproduce infatti una doglianza già dedotta in appello e non si confronta con la puntuale risposta data sul punto dalla Corte che a pagina 9 della sentenza ha ineccepibilmente rilevato come le dichiarazioni rese dal D. avanti al pubblico ministero siano state ribadite integralmente davanti al Gip in data 18 febbraio 2010, nel corso del lungo interrogatorio rispetto al quale non viene sollevata eccezione alcuna. ne discende che l’eccezione, anche qualora fondata, comporterebbe l’inutilizzabilità e dunque l’espunzione dal materiale probatorio di un atto in effetti non utilizzato ai fini della decisione. 7. È al pari inammissibile il quarto motivo del ricorso di M. punto 2.4 del ritenuto in fatto . 7.1. In effetti, nella sentenza della Corte d’appello manca una valutazione circa l’attendibilità intrinseca ed estrinseca del D. sollecitata dalla difesa di M. nell’atto d’appello. 7.2. Ciò nondimeno, come questa Corte ha più volte affermato, in tema d’impugnazioni è inammissibile per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile ab origine per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e altri, Rv. 265878 . 7.3. Situazione che appunto ricorre nella specie, a fronte della motivazione sviluppata nella sentenza di primo grado e dalle considerazioni espresse dallo stesso Giudice d’appello nel complessivo argomentare a sostegno della decisione, là dove - con motivazione implicita - dà conto del fatto che il quadro d’accusa poggia non soltanto sulle dichiarazioni rese dal D. , ma anche sulla narrazione delle persone offese e sulle ammissioni dello stesso M. , elementi certamente costituenti valido riscontro alle dichiarazioni del chiamante in correità. Come rammentato dalla Corte distrettuale a pagina 3 della sentenza impugnata, M. dichiarava infatti di avere chiamato nel proprio ufficio il D. quando era presente Me. e di aver assistito alla richiesta formulata dal collega nei confronti del commercialista di consegnare di 50.000 Euro quale compenso per l’archiviazione della pratica F. . Correttamente i decidenti di merito hanno stimato tali circostanze di fatto significative di un pieno coinvolgimento del M. nella vicenda, quantomeno a titolo di concorso morale, rafforzativo dell’altrui proposito criminoso, risultando la negatoria di ogni partecipazione al delitto e l’affermazione di essere stato un mero spettatore incompatibili con lo svolgimento degli eventi segnatamente con il fatto che la richiesta fosse formulata in presenza dell’imputato e dopo che lo stesso aveva convocato D. e Me. nel proprio ufficio e con la posizione dal medesimo ricoperta di funzionario dell’agenzia dell’entrate, direttamente coinvolto nella gestione delle pratiche che il collega proponeva al Me. di aggiustare . 8. Non possono essere condivise le doglianze mosse dai ricorrenti in punto di qualificazione giuridica della fattispecie punti 2.5 e 3.4 del ritenuto in fatto . Occorre precisare che i ricorrenti contestano l’inquadramento giuridico della fattispecie muovendo da premesse diverse, dal momento che M. rileva che, nella specie, non sarebbe ravvisabile un indebito vantaggio in capo ai privati, asserendo che esso costituisce requisito implicito della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 319-quater cod. pen. D. evidenzia - da una prospettiva opposta - che i coniugi F. non versavano in uno stato di soggezione rispetto ai pubblici ufficiali, avendo agito al fine di ottenere un indebito vantaggio. 8.1. Innanzitutto, è necessario fare chiarezza in punto di fatto dando atto che i Giudici della cognizione hanno expressis verbis escluso che i coniugi F. abbiano agito allo scopo di perseguire un indebito vantaggio v. in calce a pagina 11 . Deve, d’altra parte, ritenersi pacifico che il delitto di induzione indebita sia configurabile nella forma tentata, nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente, che - come nel caso di specie - presenti denuncia ai Carabinieri Sez. 6, n. 46071 del 22/07/2015, Scarcella e altro, Rv. 265351 Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016, Farina e altro, Rv. 265901 . 8.2. Tanto premesso, giudica il Collegio che ineccepibilmente la Corte distrettuale abbia ritenuto comunque integrata la fattispecie di tentata induzione indebita, pur in assenza di un correlativo interesse dei privati. Come questo Giudice della nomofilachia ha già avuto modo di chiarire, il tentativo di induzione indebita di cui all’art. 319-quater cod. pen. è configurabile anche quanto il privato non abbia perseguito un indebito vantaggio, poiché tale elemento rileva esclusivamente per la sussistenza della fattispecie consumata Sez. 6, n. 32246 del 11/04/2014, Sorge, Rv. 262075 . Nella motivazione della pronuncia appena ricordata, si è condivisibilmente osservato che qualificare la fattispecie concreta in disamina come tentativo di induzione indebita prevista dagli artt. 56 e 319 quater c.p., non implica la necessità dell’ulteriore requisito, di cui il giudice a quo rileva l’insussistenza, costituito dal perseguimento di un indebito vantaggio da parte dei privati. Questo requisito, giustifica - in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali in tema di colpevolezza, pretesa punitiva dello Stato, proporzione e ragionevolezza - la punibilità dell’indotto che abbia dato o promesso l’utilità al pubblico ufficiale, secondo quanto sottolineato, nella pronuncia poc’anzi richiamata, dalle Sezioni unite, secondo cui esso assurge al rango di criterio di essenza della fattispecie induttiva. L’elemento in disamina si colloca dunque nell’ottica di una interpretazione costituzionalmente orientata e funzionale alla salvaguardia dell’esigenza, imposta dall’art. 27 Cost., di giustificare la punibilità del privato, che cede alle richieste dell’agente pubblico non perché coartato e vittima del metus , nella sua accezione più pregnante, ma perché attratto dalla prospettiva di conseguire un indebito vantaggio. Ne deriva che tale requisito in esame è necessario solo nell’ipotesi della consumazione del reato di cui all’art. 319 quater c.p., e non anche in quella del tentativo. Il destinatario della condotta di abuso induttivo, infatti, ove si sia determinato a dare o a promettere l’utilità al pubblico ufficiale, pur disponendo, a differenza del concusso, di ampi margini discrezionali, è punibile per aver prestato acquiescenza alla richiesta di prestazione non dovuta in quanto motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale ciò che lo pone in una posizione di complicità con il pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione. Quando invece, come nel caso sub iudice , il privato non dia o non prometta denaro o altra utilità al pubblico ufficiale, resistendo alle illecite richieste di quest’ultimo, viene meno la ratio che si colloca a fondamento del requisito del perseguimento di un indebito vantaggio da parte del destinatario della condotta induttiva, che pertanto esula dal paradigma delineato dalla norma incriminatrice. Qualora dunque l’agente pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, compia atti idonei diretti in modo non equivoco a indurre il privato a dare o a promettere indebitamente un’utilità, senza riuscire nel suo intento, perché, l’evento non si verifica per la resistenza del privato, il requisito del perseguimento, da parte di quest’ultimo, di un indebito vantaggio rimane estraneo alla struttura della norma incriminatrice di cui agli artt. 56 e 319 quater c.p. . Di recente, si è affermato che il delitto di induzione indebita non integra pertanto un reato bilaterale, in quanto le condotte del soggetto pubblico che induce e del privato indotto si perfezionano autonomamente ed in tempi diversi, sicché il reato si configura in forma tentata nel caso in cui l’evento non si verifichi per la resistenza opposta dal privato alle illecite pressioni del pubblico agente Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016, Farina e altro, Rv. 265901 . 8.3. La decisione in verifica risulta pertanto corretta in diritto nella parte in cui recepisce i sopra delineati principi con riguardo alla configurabilità del delitto di induzione indebita tentata anche nel caso in cui il privato resista all’abuso costrittivo rivolgendosi alle forze dell’ordine ed a prescindere dal perseguimento di un ingiusto vantaggio. 9. Non sono coltivabili nella sede di legittimità le censure che concernono la determinazione della pena, con particolare riguardo all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche punti 2.6 e 3.5 . 9.1. In via generale, mette conto ricordare che, secondo i consolidati principi espressi da questa Corte di legittimità, la concessione o meno delle circostanze attenuanti generiche costituisce un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, tanto che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso ex plurimis Cass. Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 . Tali elementi circostanziali hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di essi richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900 . Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la modifica del 2008 dell’art. 62-bis cod. pen., per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente non è più sufficiente lo stato di incensuratezza dell’imputato Sez. 3, n. 44071 del 25/09/2014, Papini e altri, Rv. 260610 . 9.2. In ossequio a tali linee guida, nessun vizio coltivabile in questa Sede può essere ravvisato nell’argomentare del Collegio lombardo allorquando, pur in presenza della condizione di incensuratezza degli imputati, ha escluso il riconoscimento del beneficio, evidenziando l’assenza di specifici elementi di segno positivo e la mancanza di un qualunque segnale di ravvedimento da parte degli stessi, che non risultano aver operato alcun risarcimento nei confronti delle parti civili v. pagine 12 della sentenza . 9.3. A tale ultimo proposito, non può essere condiviso il punto di vista dei ricorrenti, i quali hanno inteso smontare tale ultima osservazione dei Giudici d’appello in considerazione del fatto che i privati - giusta la previsione dell’art. 319-quater, comma 2, cod. pen. - non possono considerarsi persone offese, con il corollario che alcun rilievo può essere riconosciuto all’omesso risarcimento del danno nei loro confronti. Sul punto va invero ribadito il principio di diritto affermato da questa Corte in un caso assimilabile a quello di specie, secondo il quale la riqualificazione, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 190 del 2012, del delitto di concussione in quello di indebita induzione non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato Sez. 6, n. 31957 del 25/01/2013, Cordaro e altri, Rv. 255598 . 9.4. E ciò a tacer del fatto che, come sopra chiarito nei paragrafi 8, il reato di induzione indebita non è necessariamente bilaterale, di tal che - nella forma tentata - è ravvisabile in capo al privato la veste di vittima della condotta indebita del soggetto qualificato e, dunque, nell’ipotesi in cui ne ricorrano le condizioni, il diritto al risarcimento del danno. 10. Colgono di contro nel segno le doglianze concernenti il rigetto della richiesta di sospensione condizionale della pena motivi sub punti 2.7 e 3.5 . Pur espressamente sollecitata con gli atti di gravame, la Corte distrettuale ha invero del tutto omesso di esplicitare le ragioni sulla scorta delle quali, irrogata una pena entro i limiti edittali per l’accesso al beneficio, le condizioni soggettive degli imputati impedissero di esprimere una prognosi positiva quanto alla futura astensione dal commettere ulteriori reati. Ciò in considerazione del fatto che si tratta di soggetti incensurati che hanno ormai perso la qualifica soggettiva pubblicistica, di tal che il rischio di recidiva non può ragionevolmente farsi discendere - come osservato in sentenza - dalla rilevata assenza di volontà riparatoria o dalla dimestichezza con illecite modalità di approccio a professionisti e contribuenti . 11. La sentenza impugnata deve essere pertanto annullata limitatamente all’applicazione della sospensione condizionale della pena. All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’Appello provvederà a liquidare le spese processuali sostenute in questo grado dalla parte civile. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’art. 163 cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi.