Delega al fratello la rappresentanza della società. Lui falsifica i documenti: a chi imputare il falso?

Non può affermarsi che un soggetto, accettando la carica di amministratore di una società, sia giunto ad assumere consapevolmente i rischi connessi a tale investitura la delega della gestione della società non fa venir meno il disvalore penale della sua condotta, giacché si viene a configurare in tal modo una forma di responsabilità penale per posizione, inaccettabile nel caso specifico.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 32793/16, depositata il 27 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Milano confermava la decisione del Tribunale con cui lo stesso aveva condannato l’imputata per avere, in qualità di legale rappresentante di una società, contraffatto un documento di regolarità contributiva, allegato alla denuncia di inizio attività di lavori edili da eseguire presso una unità immobiliare di Milano. I giudici di merito avevano disatteso la tesi difensiva secondo la quale la falsificazione era stata in realtà opera del fratello dell’imputata. Contro la suddetta sentenza ha quindi proposto ricorso per cassazione la rappresentante legale dell’azienda, lamentando la mancata assunzione di una prova decisiva e l’erronea applicazione degli artt. 42 e 113 c.p., per la ragione che non è ipotizzabile il concorso morale nei reati commessi dal delegato in base alla sola constatazione della delegazione dei poteri connessi alla carica. Il problema dell’imputazione del falso. Il ricorso è per gli Ermellini fondato. Il problema da chiarire riguarda l’esatta imputazione del falso. Problema reso più complesso dalla delega dei poteri connessi alla gestione societaria. A detta del Supremo Collegio non è corretto affermare che la posizione ricoperta dall’imputata nella società la rendeva automaticamente responsabile degli illeciti commessi dai suoi collaboratori, dovendo pur sempre accertarsi quale contributo sia stato dato dall’amministratore formale alla perpetrazione dell’illecito, in considerazione del tipo di illecito posto in essere. Si trattava, dunque, di accertare nel caso specifico, se l’imputata avesse confezionato materialmente il fatto, ovvero se avesse consentito o istigato gli altri a farlo, o se, avendone conoscenza, fosse rimasta inerte davanti al comportamento illecito di altri. Non può invece assolutamente affermarsi, come fa il giudice di merito, che l’imputata, accettando la carica di amministratrice della società, sia giunta ad assumere consapevolmente i rischi connessi a tale investitura l’essersene disinteressata, delegando la gestione della società al fratello, non fa venir meno il disvalore penale della sua condotta, giacché si viene a configurare in tal modo una forma di responsabilità penale per posizione, inaccettabile nel caso specifico. La Corte annulla pertanto al sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 27 luglio 2016, n. 32793 Presidente Palla – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Milano ha, con la sentenza impugnata, confermato quella emessa dal locale Tribunale, che aveva condannato S.M. per avere, nella qualità di legale rappresentante della società S& amp D Company s.r.l. , contraffatto un documento di regolarità contributiva DURC , allegato alla denuncia di inizio attività di lavori edili da eseguire presso una unità immobiliare in OMISSIS . I giudici di merito hanno disatteso la tesi difensiva - incentrata sul carattere solo formale della carica rivestita dall’imputata nella società - in considerazione degli obblighi gravanti sull’amministratrice, talché, ove anche la falsificazione fosse stata opera del fratello dell’imputata come sostenuto da quest’ultima , non sarebbe venuta meno la di lei responsabilità. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione l’imputata, a mezzo del difensore, con due motivi. Col primo si duole della mancata assunzione di una prova decisiva perizia grafica volta ad accertare l’autore della contraffazione , inutilmente richiesta al Tribunale e alla Corte di appello. Col secondo lamenta l’erronea applicazione degli artt. 42 e 113 cod. pen., per la ragione che non è ipotizzabile – a carico dell’amministratore di società - il concorso morale nei reati commessi dal delegato in base alla sola constatazione della delegazione, in via di fatto, dei poteri connessi alla carica, specie laddove sia contestatctla consapevolezza delle attività illecite poste in essere dal delegato e, nella specie, anche l’esecuzione - da parte della S& amp D Company s.r.l. - di lavori nel cantiere di via OMISSIS . Considerato in diritto Il ricorso è fondato. In base ai criteri di imputazione della responsabilità penale, la responsabilità nel falso documentale deriva dalla partecipazione sotto il profilo materiale o morale - alla falsificazione. Tanto vale anche nell’ipotesi che il falso sia riferibile ad un ente collettivo, che agisce attraverso i suoi rappresentanti. In tal caso si pone il problema della esatta imputazione - sia sotto il profilo materiale che psicologico - del falso problema reso più complesso dalla delega - di fatto - dei poteri connessi alla gestione societaria, giacché le condotte falsificatorie possono provenire da uno o più dei soggetti impegnati nell’amministrazione della società e non possono essere automaticamente imputate a colui che riveste la carica formale di amministratore. Non è corretto, pertanto, affermare come fanno entrambi i giudici di merito che la posizione ricoperta da S. nella società ne era l’amministratrice formale la rendeva automaticamente responsabile degli illeciti commessi dai suoi collaboratori o da coloro che avevano, di fatto, la gestione della società in tal caso, il fratello , dovendo pur sempre accertarsi quale contributo sia stato dato dall’amministratore formale alla perpetrazione dell’illecito, in considerazione del tipo di illecito posto in essere, giacché, se per l’inosservanza di taluni obblighi ad esempio, per la tenuta della contabilità può ravvisarsi, pressoché de plano, una responsabilità morale dell’amministratore di diritto, in considerazione della posizione di garanzia da lui rivestita vedi Cass., n. 643 del 30/10/2013 , lo stesso non può affermarsi per il falso documentale, che viene posto in essere in unità di tempo e di luogo e può sfuggire alla cognizione dell’amministratore formale, specie laddove la gestione della società sia delegata, di fatto, ad altri il che, se non esime l’amministratore di diritto da tutte le responsabilità di carattere civile connesse alla carica, non comporta, altresì, l’automatica responsabilità per gli illeciti penali, essendo il diritto penale dominato dal principio di personalità. Si trattava di accertare, pertanto, nel caso specifico, se S. avesse confezionato materialmente il falso, ovvero se avesse consentito o istigato altri a farlo, ovvero ancora se avesse avuto contezza del falso confezionato da altri e fosse rimasta, nonostante ciò, inerte, dovendo configurarsi, anche in quest’ultimo caso, una forma di partecipazione morale al fatto, stante la carica ricoperta. Non può affermarsi, invece, come fa il giudice di primo grado, con soluzione recepita da quello d’appello, che S. , accettando la carica di amministratrice della società, sia giunta ad assumere consapevolmente i rischi connessi a tale investitura e l’essersene disinteressata, delegando la gestione della società al fratello, non fa venir meno il disvalore penale della sua condotta , giacché si viene a configurare, in tal modo, una forma di responsabilità penale per posizione, inaccettabile nel caso specifico. Consegue a tanto che la sentenza va annullata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.