Scappellotto all’alunno in classe: maestra condannata

Ancora una censura per i vecchi metodi di insegnamento. La condotta tenuta dall’insegnante è catalogabile come abuso dei mezzi di correzione. Risarcimento per i genitori del ragazzo.

Basta coi vecchi metodi di insegnamento. Debbono finire in soffitta, definitivamente, bacchettate e scappellotti. A ribadirlo, ancora una volta, i magistrati della Cassazione, che hanno condannato una maestra. La donna aveva colpito con uno schiaffo e strattonato per i capelli un allievo Cassazione, sentenza n. 31642, sezione Quinta Penale, depositata il 21 luglio . Violenza. A finire sotto accusa una maestra – nata alla fine degli anni ’40 – riflettori puntati sul comportamento da lei tenuto in classe. A richiamare l’attenzione l’improvvisa fuga, in lacrime, di un alunno. Una volta ritrovato il ragazzo, è emerso dal suo racconto che l’insegnante lo aveva colpito con uno schiaffo , strattonandolo anche per i capelli. E questa versione viene confermata dal bidello egli, chiamato in classe per portare l’alunno dal preside , ha visto la maestra dare due scappellotti al bambino in lacrime . Nessun dubbio è possibile, quindi, sul carattere violento della donna e sulla condotta da lei tenuta in classe. Ciò rende assolutamente legittima, concludono i Magistrati della Cassazione, la condanna pronunciata prima in Tribunale e poi in Appello. La maestra, difatti, è resa responsabile dei reati di lesioni personali e abuso dei mezzi di correzione . Confermato anche il risarcimento dei danni in favore dei genitori del ragazzo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 giugno – 21 luglio 2016, n. 31642 Presidente Nappi – Relatore Caputo Ritenuto in fatto Con sentenza deliberata il 07/07/2014, la Corte di appello di Bari ha confermato la sentenza in data 04/03/2009 con la quale il Tribunale di Foggia aveva dichiarato D.G.M. colpevole dei reati di lesioni personali e di abuso dei mezzi di correzione in danno del minore Z. A. F., condannandola alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Z. M. e B.M., genitori del minore. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto personalmente ricorso per cassazione D.G.M., denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - vizi di motivazione. La motivazione della sentenza impugnata è carente ed illogica, non sussistendo la piena prova della responsabilità penale della ricorrente. Nessuno ha mai riferito di comportamenti violenti della ricorrente nei confronti degli alunni, laddove le dichiarazioni accusatorie del bidello A.M. sono frutto di invenzione volta a giustificare la fuga del ragazzo dalla scuola e il certificato medico non costituisce prova del fatto in quanto non dimostra che le lesioni siano state causate dall'insegnante. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La Corte di merito ha diffusamente motivato la conferma della sentenza di primo grado, disattendendo la tesi difensiva secondo cui l'alunno F.A.Z. si sarebbe allontanato in lacrime dalla classe per non essere stato in grado di fare un disegno e non perché colpito con uno schiaffo e strattonato per i capelli dall'imputata, sua insegnante. Oltre al racconto del bambino, il giudice di appello ha valorizzato plurimi, convergenti dati probatori la testimonianza del bidello A.M., il quale ha riferito di esser stato chi A. dall'imputata per portare l'alunno dal Preside e che la D. diede al bambino in lacrime due scappellotti sulla nuca, circostanza, questa, in base alla quale la Corte di merito argomenta la conferma dei carattere violento dell'imputata e della veridicità del racconto dei minore circa il comportamento subìto in precedenza il certificato medico dello stesso giorno dei fatti, in cui si descrivono lesioni pienamente compatibili con il racconto del bambino l'assenza di qualsiasi interesse in capo ai genitori del minore a denunciare l'imputata, tanto più che, se scopo della denuncia fosse stato il cautelarsi circa le conseguenze dell'allontanamento del bambino dalla scuola, sarebbe stato sufficiente, a tal fine, denunciare il personale scolastico. A fronte della diffusa motivazione della sentenza impugnata, le censure della ricorrente circa la valenza dimostrativa del certificato medico sono manifestamente infondate, posto che la Corte distrettuale, con motivazione esente da vizi logici, ha valorizzato il documento a sostegno della veridicità del racconto dei minore. Il medesimo rilievo si impone anche con riguardo alla valutazione della sentenza impugnata circa l'atteggiamento dell'imputata nei confronti dell'allievo, valutazione fondata sul racconto dei teste M. in assenza di cadute di conseguenzialità logico-argomentativa. Le ulteriori doglianze e, in particolare, quelle relative al carattere menzognero della testimonianza di M. deducono, al più, questioni di merito, volte a sollecitare una rivisitazione esorbitante dai compiti del giudice di legittimità della valutazione del materiale probatorio che la Corte distrettuale ha operato, sostenendola con motivazione coerente con i dati probatori richiamati ed immune da vizi logici. Alla declaratoria d'inammissibilità dei ricorso, consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 1.000,00. L'inammissibilità del ricorso preclude la rilevabilità della prescrizione del reato che sarebbe maturata successivamente alla sentenza impugnata Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266 . La minore età della persona offesa impone, in caso di diffusione della presente sentenza, l'omissione delle generalità e degli altri dati identificativi. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03.