L’accertamento del grave e perdurante stato d’ansia nel reato di stalking

Lo stato di grave e perdurante ansia e paura prescinde dall’accertamento di un vero e proprio stato patologico e non richiede necessariamente una perizia medica, potendo il giudice argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30334/16, depositata il 15 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Taranto con la quale si condannava l’imputata per il reato di cui all’art. 612- bis c.p., perché, con condotte reiterate, minacciava e molestava la persona offesa con telefonate e sms, pedinamenti e appostamenti, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato d’ansia e di paura. Avverso detta sentenza, ricorre in Cassazione l’imputata. Notifica inesistente. Con il primo motivo, lamenta la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. c , c.p.p., per violazione e falsa applicazione dell’art. 178, lett. c , c.p.p., per omessa e inesistente notifica all’imputata di tutti gli atti a lei destinati, avendo il Tribunale emanato un erroneo decreto di irreperibilità sulla scorta di un certificato di residenza obsoleto. Ritiene la sentenza impugnata pertanto nulla. La Corte ritiene il motivo manifestamente infondato. La Corte territoriale aveva invero rilevato che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari risultava notificato all’imputata presso un indirizzo errato, diverso da quello indicato nel rituale, con conseguente nullità dell’atto ex art. 178, lett. c , c.p.p., mentre il decreto di irreperibilità emesso nella fase delle indagini preliminari risultava invece emesso regolarmente a seguito di ricerche disposte. Tuttavia la nullità risultava sanata ex art. 180 c.p.p., dovendo essere rilevata o eccepita prima della sentenza di primo grado. Tale decreto, nonostante le censure mosse dall’imputata, risulta correttamente emesso e dunque non presenta vizi. Il grave e perdurante stato d’ansia della vittima. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta poi la sussistenza dei vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p., per violazione e falsa applicazione dell’art. 612- bis c.p., atteso che nessuno dei presupposti previsti dalla norma incriminatrice si ravvisano nel caso di specie. Infatti, non v’è traccia di motivazione del timore per l’incolumità, dal momento che, per quanto emerso dall’istruttoria, l’imputata sarebbe stata solita minacciare, non portando però mai a termine la minaccia. Neppure sussiste l’ipotesi che la persona offesa abbia alterato le proprie abitudini di vita, non integrando ciò il fatto che la stessa abbia adottato una nuova utenza telefonica per evitare di essere sopraggiunta dall’imputata. La Corte ritiene anche questo secondo motivo manifestamente infondato. La Corte territoriale ha infatti evidenziato come i comportamenti posti in essere dall’imputata si inquadrino nella tipologia del cd. stalking, essendo consistiti in numerosi appostamenti, telefonate, sms, ingiurie, minacce di morte, susseguitisi senza soluzione di continuità dal 2008. La Corte ha infatti evidenziato come sulla base dello stesso narrato dalla persona offesa e dei testi escussi emerga il determinarsi quantomeno dell’evento dello stato di ansia e tensione della vittima elemento costitutivo necessario richiesto insieme all’alterazione delle abitudini di vita e al fondato timore per l’incolumità propria o di prossimi congiunti per la sussistenza del reato . Tale stato, peraltro, prescinde dall’accertamento di un vero e proprio stato patologico e non richiede necessariamente una perizia medica, potendo il giudice argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza Cass. sent. n. 18999/14 . In particolare, la prova dell’evento del delitto deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta dell’agente e anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata. E’ quindi sufficiente per la consumazione dell’evento che gli atti persecutori abbiano un effetto comunque destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, naturalmente di una certa consistenza come suggerito dagli aggettivi grave e perdurante . Il trattamento sanzionatorio. Con il terzo e ultimo motivo, la ricorrente lamenta la ricorrenza dei vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. b e c c.p.p., per violazione e falsa applicazione degli artt. 612- bis e 69 c.p., per eccessiva indicazione della pena base e di quella inflitta, illegittimità del vincolo di continuazione con l’art. 660 c.p. per episodi antecedenti l’entrata in vigore dell’art. 612- bis – assenza di prova delle telefonate moleste. Anche l’ultimo motivo è infondato. Si configura il reato di stalking – ricorda la Corte -nell’ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria istaurata in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti, anche dopo la sua entrata in vigore, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura. In merito al trattamento sanzionatorio, poi, si osserva che appare immune da censure la valutazione che l’ha determinato in misura poco superiore al minimo edittale con il riconoscimento delle generiche per effetto delle gravi e reiterate condotte, protratte nel tempo e spesso subito in presenza dei familiari. È dunque inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico, situazione che nel caso di specie non ricorre.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 gennaio – 15 luglio 2016, n. 30334 Presidente Zaza – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1.Con sentenza in data 23.9.2014 la Corte di Appello di Lecce, Sezione Distaccata di Taranto, in riforma della sentenza del 15.10.2012 del Tribunale di Taranto, Sezione Distaccata di Grottaglie, escludeva l’aumento di pena di mesi uno di reclusione per il reato di cui all’articolo 660 c.p., confermando la pena residua nei confronti M.R. di mesi sette di reclusione e la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile, per il reato di atti persecutori di cui all’articolo 612 bis c.p., perché, con condotte reiterate, minacciava e molestava C.M.G. con telefonate ed sms, nonché con pedinamenti ed appostamenti, in modo da cagionarle un grave e perdurante stato di ansia e di paura e da indurla a temere per l’incolumità propria e dei propri figli minori. 2. Avverso tale sentenza l’imputata, a mezzo del suo difensore di fiducia, ha proposto ricorso affidato a tre motivi, lamentando -con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’articolo 606, primo comma, lett. c c.p.p., per violazione e falsa applicazione dell’articolo 178, lett. c c.p.p., per omessa e inesistente notifica all’imputata di tutti gli atti a lei destinati invero, il Tribunale, nel corso del giudizio di primo grado ha proceduto ad emettere erroneo decreto di irreperibilità sulla scorta di un certificato di residenza obsoleto, in quanto riferito ad un recapito all’epoca inesistente e segnatamente alla via omissis , laddove il corretto recapito della parte, evincibile dall’allegato certificato di residenza, era, invece, via omissis la sentenza impugnata, pertanto, è nulla, come gli atti presupposti con conseguente necessità di restituzione degli atti al P.M., affinché proceda alla notifica dell’avviso ex articolo 415 bis c.p.p. - con il secondo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606, primo comma, lett. b ed e c.p.p., per violazione e falsa applicazione dell’articolo 612 bis c.p., atteso che nessuno dei presupposti previsti dalla norma incriminatrice si ravvisano nel caso di specie in particolare, erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che l’evento descritto dalla norma, ossia il perdurante e grave stato di ansia o di paura sarebbe desumibile implicitamente alla luce dello stesso contegno tenuto dall’imputata, anche a prescindere da un riscontro diretto di tale stato di ansia o paura, sicché esso, per così dire, sarebbe in re ipsa , ma così facendo la Corte ha snaturato la riconosciuta natura di reato d’evento della fattispecie incriminatrice non v’è traccia di motivazione, infatti, del timore per l’incolumità, dal momento che, per quanto emerso dall’istruttoria, l’imputata sarebbe stata solita minacciare, non portando però mai a termine la minaccia neppure sussiste l’ipotesi che la p.o. abbia alterato le proprie abitudini di vita, non integrando ciò il fatto che la medesima abbia adottato una nuova utenza telefonica per evitare di essere raggiunta dall’imputata, non incidendo tale accorgimento sulle abitudini di vita della persona - con il terzo motivo, la ricorrenza dei vizi di cui all’articolo 606, primo comma, lett. b ed e c.p.p., per violazione e falsa applicazione dell’articolo 612 bis c.p. e dell’articolo 69 c.p., per eccessiva indicazione della pena base e di quella inflitta, illegittimità del vincolo della continuazione con l’articolo 660 c.p. per episodi antecedenti l’entrata in vigore dell’articolo 612 bis - assenza di prova delle telefonate moleste in particolare, la pena andava ragguagliata alla reale ed effettiva scarsa gravità dei fatti contestati ed appare ancor più ingiusta ove correlata al vincolo della continuazione in relazione ad episodi occorsi dal mese di novembre 2008 sino alla data di entrata in vigore dell’articolo 612 bis c.p., ovverosia il 24/2/2009 ciò in quanto per i fatti antecedenti alla predetta entrata in vigore della norma incriminatrice non è stata fornita alcuna prova delle condotte ascritte all’imputata inoltre, nella motivazione della sentenza impugnata non v’è traccia delle censure svolte dall’imputata, né in merito alle generiche, né in merito ed alla sospensione condizionale della pena. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile siccome in più punti generico e, comunque, manifestamente infondato. 1. Manifestamente infondato si presenta il primo motivo di ricorso circa la nullità della citazione in giudizio di primo grado e degli atti conseguenziali, per irritualità del decreto di irreperibilità. Ed invero, già la Corte territoriale aveva rilevato che l’avviso di conclusione delle indagini preliminari risultava notificato all’imputata presso l’indirizzo di via Garibaldi 15, dove la M. risultava sconosciuta, diverso da quello indicato nel rituale via OMISSIS , con conseguente nullità dell’atto ai sensi dell’articolo 178 lett. c del c.p.p., mentre il decreto di irreperibilità emesso nella fase delle indagini preliminari risultava, emesso, invece, regolarmente a seguito di ricerche disposte tuttavia, la evidenziata nullità, risultava sanata ai sensi dell’articolo 180 del c.p.p., dovendo essere rilevata o eccepita prima della sentenza di primo grado. Inoltre, il Tribunale, nella prima udienza del 7.3.2011, rinnovava la procedura di cui all’articolo 159 del c.p.p., nell’ambito della quale venivano effettuate le ricerche anche presso l’indirizzo di via omissis , con esito negativo. Quindi, in data 3.10.2011 si procedeva alla seconda dichiarazione di irreperibilità disponendo la notifica ex articolo 159 c.p.p. del decreto di citazione a giudizio, con dichiarazione di contumacia nell’udienza del 27.2.2012. 1.1. Sul punto deve rilevarsi che tale decreto, nonostante le censure mosse in questa sede dell’imputata, risulta correttamente emesso sulla base della nota dei VV.UU. del 15.6.2011 dalla quale risulta che l’imputata alla data del 15.6.2011 è risultata irreperibile al domicilio anagrafico di via omissis , nonché dal certificato anagrafico del 19.3.2010, mentre il certificato prodotto dalla ricorrente reca la data del 17.3.2015 e non è un certificato storico. Il decreto di irreperibilità in questione è stato emesso sulla base di tali emergenze e non presenta vizi. 2. Manifestamente infondato si presenta il secondo motivo di ricorso, in merito all’insussistenza nella fattispecie degli elementi idonei ad integrare il delitto in contestazione. Ed invero, la Corte territoriale, con motivazione approfondita ed immune da vizi, sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, la cui attendibilità è ampiamente e logicamente argomentata e di quelle dei testi escussi, ha evidenziato come i comportamenti posti in essere dall’imputata si inquadrano nella tipologia del c.d. stalking, essendo consistiti in numerosi appostamenti, telefonate, sms, ingiurie, minacce di morte, che si sono susseguiti, senza soluzione di continuità dal 2008. Quella di atti persecutori è strutturalmente una fattispecie di reato abituale - in quanto primo elemento del fatto tipico è il compimento di condotte reiterate , omogenee od eterogenee tra loro, con cui l’autore minaccia o molesta la vittima - ad evento di danno, che prevede più eventi in posizione di equivalenza, uno solo dei quali è sufficiente ad integrarne gli elementi costitutivi necessari Sez. 5, n. 39519 del 05/06/2012, G., Rv. 254972 a cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero b ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, ovvero, ancora, c costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Nella fattispecie in esame, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la Corte territoriale ha evidenziato come sulla base dello stesso narrato della p.o. e dei testi escussi emerga il determinarsi quantomeno dell’evento dello stato di ansia e tensione della vittima. Tale stato, prescinde dall’accertamento di un vero e proprio stato patologico e non richiede necessariamente una perizia medica, potendo il giudice argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza Sez. 5, n. 18999 del 19/02/2014, Rv. 260412 . In particolare, così come evidenziato da questa Corte, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni detta stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014 . Per la consumazione dell’evento, quindi, deve ritenersi sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto comunque destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima, naturalmente di una certa consistenza, come suggerisce il ricorso da parte del legislatore agli aggettivi grave e perdurante . Nel caso in esame la Corte territoriale, con valutazione immune da censure, ha rilevato come le dichiarazioni della persona offesa si presentino precise in ordine alla grave alterazione dell’equilibrio psicologico, quale effetto della condotta realizzata dall’imputata. Basti pensare, per esempio, alle gravi minacce di morte ascoltate anche da C.A. e da P.F. e alle minacce anche nei confronti anche dei figli della p.o. atteso che anche condotte rivolte verso prossimi congiunti possono determinare nella persona presa di mira gravi ripercussioni di carattere psicologico. Inoltre, la protervia dimostrata dalla M. , giunta ad appostarsi nei pressi dell’abitazione della C. , ha reso, secondo la Corte territoriale, tutt’altro che immaginari o fantasiosi i timori della vittima per l’incolumità propria e dei propri cari. 3. Manifestamente infondato si presenta, altresì, il terzo motivo di ricorso con il quale l’imputata si duole del trattamento sanzionatorio, per aver considerato la Corte territoriale, nella operata quantificazione, anche condotte antecedenti all’entrata in vigore del delitto in questione. Sul punto va innanzitutto rilevato che si configura il delitto di atti persecutori cosiddetto reato di stalking nella ipotesi in cui, pur essendosi la condotta persecutoria instaurata in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti, anche dopo l’entrata in vigore del D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, la reiterazione di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura Sez. 5, n. 10388 del 06/11/2012, Rv. 255330 . In merito alla prova della sussistenza di atti molestie rilevanti quale condotta persecutoria antecedentemente al 2009 è sufficiente richiamare le dichiarazioni della p.o. circa le molestie subite a partire del 2008 richiamate nella sentenza impugnata. In merito al trattamento sanzionatorio si osserva che appare immune da censure la valutazione che l’ha determinato in misura di poco superiore al minimo edittale con il riconoscimento delle generiche per effetto delle gravi e reiterate condotte, protratte nel tempo nei confronti della p.o. spesso subite in presenza dei familiari. La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 , ciò che - nel caso di specie non ricorre. Peraltro, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. le espressioni del tipo pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596 . 4. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa del ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’articolo 52 del D.Lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.