Quando il processo inammissibile può essere revisionato?

Revisione del processo inammissibile se sono presenti evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova.

Richiesta di revisione. Con la sentenza n. 27901 depositata il 6 luglio 2016, la Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in materia di diffamazione valutando l’operato della Corte di appello territoriale su una richiesta di revisione. In particolare, la richiesta di revisione era riferita ad una sentenza di condanna emessa nei confronti dell’avvocato ricorrente dal Tribunale di Milano, confermata dalla Corte di appello territoriale e passata in giudicato a seguito di declaratoria di inammissibilità del successivo ricorso per cassazione. I fatti si riferivano ad una presunta diffamazione operata dal legale che aveva sostenuto, rispondendo ad un giornalista, che l’accusa, la procura è fatta da marescialli di paese che hanno anche falsificato le prove”. I magistrati titolari del procedimento sporgevano rituale querela, ritenendo che la lesione della loro reputazione fosse da ravvisare in particolare sullo specifico addebito della falsificazione delle prove. La richiesta di revisione della sentenza si fondava in parte su prove già acquisite, ma non valutate, ed in parte su prove nuove, attraverso le quali l’avvocato riteneva dover fare risultare come egli, nella pronuncia della frase, si fosse trovato ad esercitare un legittimo diritto di critica, quanto meno in termini putativi e quindi con la scriminante di cui all’art. 51 c.p Prove inidonee. Al contrario, i Giudici reputavano che le prove indicate dal legale non fossero idonee a ribaltare il giudicato, osservando nello specifico che il ricorrente, abbandonando sostanzialmente la tesi coltivata nel processo di merito, ovvero quella di aver voluto attribuire alla polizia giudiziaria la qualifica di marescialli di paese” e di aver falsificato le prove, aveva essenzialmente rappresentato l’eventualità che egli avesse formulato quelle accuse avvalendosi della scriminante dell’esercizio del diritto di critica, riferendo la propria conoscenza di plurime soppressioni di evidenze probatorie. In realtà, la Corte di appello territoriale rilevava la manifesta infondatezza della richiesta avanzata dal ricorrente, senza neppure la necessità di incardinare un formale contraddittorio. Infatti – come si legge nella sentenza – le prove dedotte avrebbero potuto dimostrare le già appurate evenienze della scomparsa di alcuni elementi a suo tempo acquisiti nel corso delle indagini, ma non certo condotte di dolosa falsificazione riconducibili agli inquirenti. Il legale propone ricorso per cassazione, dolendosi tra l’altro della mancata instaurazione del contradditorio, che tuttavia viene dichiarato inammissibile dagli stessi giudici della Corte di Cassazione. Sommaria delibazione. Gli Ermellini ribadiscono che secondo la giurisprudenza di legittimità l’esame che il codice di rito riserva alla Corte di appello, ai fini della verifica della non manifesta infondatezza della istanza della revisione deve limitarsi a una sommaria delibazione dei nuovi elementi di prova addotti e della loro astratta idoneità, sia pure attraverso una necessaria disamina del loro grado di affidabilità e di conferenza, a comportare la rimozione del giudicato in relazione alla potenziale efficacia a incidere in modo favorevole sulle prove già raccolte e sul connesso giudicato di colpevolezza. Risulta preclusa, invece, alla Corte di appello, in tale fase, una approfondita valutazione che comporti un’anticipazione del giudizio di merito, avulsa dal contraddittorio fra le parti e fondata su prove non ancora compiutamente acquisite, in quanto la fase di delibazione dell’ammissibilità della richiesta di revisione ha la funzione di accertare che la richiesta stessa sia stata proposta nei casi previsti, con l’osservanza di norme di legge, e che non risulti manifestamente infondata, di modo che a detta delibazione è assegnato l’esclusivo compito del controllo preliminare della sussistenza delle condizioni necessarie per l’avvio del giudizio di revisione nelle forme previste per il dibattimento. Inoltre, detti caratteri dell’indagine preliminare, mancante di una pronuncia rescindente della sentenza irrevocabile, giustificano l’esclusione della instaurazione di un qualsivoglia contraddittorio, essendo funzionali esclusivamente alla realizzazione dell’intento pratico di porre un ragionevole argine alla presentazione di domande pretestuose e palesemente infondate e di evitare un inutile dispendio giurisdizionale. Apprezzamento prognostico. Inoltre, ribadiscono i Giudici del Palazzaccio, la valutazione del giudice impone un apprezzamento prognostico sull’esito possibile del giudizio di revisione in base alle nuove prove nell’economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e oggetto di specifico giudizio e quelle che, pur se esistenti, non sono state apprezzate, non può essere confinata nei termini di astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realtà processuale e svilupparsi in termini realistici, così da non poter ignorare evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova, rilevabili ictu oculi . Nel caso di specie, concludono i Giudici di Piazza Cavour, si registra proprio tale situazione dove la declaratoria di penale responsabilità dell’imputato deriva dalla presa d’atto che le frasi da questi pronunciate si rivolgevano non già alla polizia giudiziaria, bensì ai magistrati inquirenti. Da qui la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 ottobre 2015 – 6 luglio 2016, n. 27901 Presidente Lombardi – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. Il 29/09/2014, la Corte di appello di Brescia dichiarava inammissibile una richiesta di revisione presentata dall’Avv. T.C. , in relazione ad una sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Milano in data 09/12/2010, confermata dalla Corte di appello della stessa citta’ il 09/05/2012 e passata in giudicato a seguito di declaratoria di inammissibilita’ del successivo ricorso per cassazione. La Corte bresciana chiariva che - i fatti si riferivano ad una presunta diffamazione commessa dall’Avv. T. in occasione di un’intervista rilasciata al quotidiano omissis nel omissis , quando il legale difensore di F.A.M. , poco prima condannata dal Gup del Tribunale di Aosta, per l’omicidio del figlio L.S. aveva sostenuto, rispondendo al giornalista che osservava come l’accusa avesse portato elementi precisi, che l’accusa, la Procura e’ fatta da marescialli di paese che hanno anche falsificato le prove - il reato si assumeva commesso in danno dei magistrati titolari del procedimento in questione il Procuratore della Repubblica di Aosta, Dott.ssa D.S.M. , ed il Sostituto Dott.ssa C. , che avevano sporto rituale querela, e la lesione della loro reputazione era stata ravvisata in particolare sullo specifico addebito della falsificazione delle prove. 1.1 Secondo la ricostruzione operata dalla Corte di appello, l’Avv. T. aveva fondato la propria richiesta di revisione in parte su prove gia’ acquisite ma non valutate, ed in parte su prove nuove, attraverso le quali avrebbe dovuto risultare - nella prospettazione difensiva - come egli, nel pronunciare la frase sopra ricordata, si fosse trovato ad esercitare un legittimo diritto di critica, quanto meno in termini putativi. In particolare, l’istante aveva segnalato che nel materiale fotografico curato dal RIS di Parma il omissis risultava visibile un frammento osseo sul lenzuolo della piccola vittima, frammento tuttavia scomparso in altre immagini del mese successivo parimenti non piu’ rinvenute erano da intendersi alcune videoregistrazioni della stanza dove era stato commesso il delitto, e numerose fotografie che ritraevano la medesima scena. A fronte di tali emergenze, l’Avv. T. aveva addotto la decisivita’ di atti quali una richiesta di’ archiviazione, ed il successivo decreto, conseguenti ad un esposto presentato dai coniugi L. - F. sulla scomparsa dell’immagine dell’anzidetto frammento osseo, nonche’ di una relazione curata nel 2006 dall’Istituto Europeo di Medicina il cui contenuto confermava la tesi della presunta commissione di falsi anche i verbali delle udienze del processo relativo all’omicidio deponevano per la scomparsa di varie fotografie, unitamente a note della polizia giudiziaria e ad allegazioni difensive svolte in quella sede. 1.2 I giudici bresciani, tuttavia, reputavano che le prove de quibus sia acquisite che da acquisire non fossero idonee a ribaltare il giudicato osservavano, nello specifico, che il ricorrente, abbandonando sostanzialmente la tesi coltivata nel processo di merito, ovvero quella di aver voluto attribuire alla polizia giudiziaria e non gia’ ai magistrati della Procura di Aosta la qualifica di essere marescialli di paese e di aver falsificato le prove , ha essenzialmente rappresentato l’eventualita’ che egli avesse formulato quelle accuse ai magistrati od ai Carabinieri avvalendosi della scriminante, quanto meno putativa, di cui all’art. 51 cod. pen. esercizio del diritto di critica , essendo venuto a conoscenza di quelle plurime soppressioni. In tal modo, il ricorrente ha chiesto di rivalutare la propria responsabilita’ recuperando un tema difensivo cui, peraltro, il giudice di merito aveva gia’ opposto la necessita’ che esso potesse validamente prospettarsi soltanto allegando un accertamento giudiziale, ancorche’ definitivo della responsabilita’ dolosa dei magistrati inquirenti . La Corte di appello, quindi, rilevava una manifesta distonia tra il petitum perseguito e le allegazioni poste a base della richiesta, e che costituiscono parte integrante di essa , si’ da emergere ictu cuti la manifesta infondatezza della richiesta medesima, senza la necessita’ di incardinare un formale contraddittorio. Nell’ordinanza si evidenziava, fra l’altro, che le prove dedotte avrebbero potuto dimostrare le gia’ appurate evenienze della scomparsa di alcuni elementi a suo tempo acquisiti nel corso delle indagini, ma non certo condotte di dolosa falsificazione riconducibili agli inquirenti, come del resto ritenuto nello stesso decreto di archiviazione sopra richiamato. Conclusivamente, la Corte territoriale rilevava che l’inidoneita’ delle prove in questione e’ data dalla circostanza che il delitto di diffamazione e’ stato, in definitiva, ritenuto sussistente in base al fatto che l’accusa di aver falsificato le prove era stata formulata dall’Avv. T. senza alcun fondamento probatorio individualizzante a carico dei magistrati inquirenti. Cio’ che le prove in esame non sono in grado di colmare, posto che afferiscono essenzialmente all’oggetto delle carenze investigative e non ai soggetti responsabili peraltro, l’unica denuncia in proposito era stata proposta contro i Carabinieri del RIS e non contro i magistrati della Procura di Aosta . 2. Propone ricorso l’Avv. T.C. , con atto da lui personalmente sottoscritto. In via preliminare, il ricorrente segnala che nel corso del giudizio di merito diversamente da quanto risulta avere osservato la Corte di appello di Brescia la difesa aveva evidenziato non soltanto che le presunte frasi diffamatorie riguardavano i marescialli di paese , e dunque la polizia giudiziaria, piuttosto che i magistrati da cui le indagini erano state coordinate, ma si era anche occupata di situazioni, verificatesi nel procedimento, dimostrative, quanto meno putativamente, della configurabilita’ di dati di falsita’ . Secondo l’Avv. T. , le sentenze emesse nei suoi confronti si erano soffermate solo sul primo aspetto, mentre il secondo era rimasto sostanzialmente non affrontato, anche con il rigetto delle richieste istruttorie finalizzate a far acquisire il relativo materiale probatorio. Inoltre, i giudici bresciani non avrebbero riportato con la dovuta esattezza il contenuto stesso dell’istanza di revisione, ad esempio nella parte descrittiva degli atti indicati come scomparsi in un caso, si menzionano fotografie aventi come oggetto l’imbrattamento ematico sulla scena del crimine, quando invece si era lamentata la sparizione di una videoregistrazione relativa al pavimento di quella stanza si attribuisce quindi alla difesa di avere soltanto allegato la tesi della soppressione di piu’ foto, senza considerare che il dato di tali soppressioni doveva considerarsi pacificamente acclarato. 2.1 Passando ad enunciare specifici motivi di doglianza, il ricorrente lamenta innanzi tutto la violazione dell’art. 634 cod. proc. pen., per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la richiesta di revisione all’esito di un approfondito esame di merito, attivita’ che invece avrebbe dovuto presupporre l’instaurazione del contraddittorio d’altro canto, per giungere a una declaratoria di inammissibilita’ de plano sarebbe stato necessario rilevare ictu oculi la manifesta infondatezza della richiesta, situazione che certamente non si verifica nel caso di specie. L’Avv. T. contesta poi la fondatezza dell’assunto - fatto proprio nell’ordinanza impugnata - secondo cui avendo, i giudici del processo concluso, ritenuto che solo un accertamento giudiziale, ancorche’ definitivo potesse fare da ragionevole sostegno al riconoscimento della esimente del diritto di critica, il fatto, in sostanza, che non sia stata prodotta una sentenza definitiva di accertamento di falsita’ commessa nel processo per l’omicidio renderebbe improcedibile l’istanza di revisione secondo il ricorrente, non e’ invece possibile affermare che occorra una pronuncia con forza di giudicato, quale presupposto indefettibile per allegare putativita’ nell’applicazione di un’esimente. 2.2 Quest’ultimo rilievo risulta sviluppato, nelle argomentazioni della difesa, anche al fine di sostenere la manifesta illogicita’ della motivazione dell’ordinanza impugnata il giudizio sulla esistenza di una esimente, reale o putativa, ben puo’ fondarsi, infatti, anche su circostanze od elementi diversi rispetto ad una sentenza definitiva. L’Avv. T. rappresenta che, dinanzi alla comunque dimostrata evenienza della soppressione di numerose fotografie, nonche’ della scomparsa per l’intero primo grado del giudizio per omicidio di una videoregistrazione poi riemersa durante il processo di appello, chiunque avrebbe potuto maturare la convinzione che fossero state realizzate condotte di falso, sia pure non connotate da dolo fra l’altro, anche il solo mancato rinvenimento di 54 foto ritraenti il luogo del delitto non avrebbe potuto che leggersi come falso per soppressione di atti pubblici, per quanto incolpevole. 3. Lo stesso Avv. T. , in replica alla requisitoria scritta presentata dal P.g. presso questa Corte, ha infine depositato, il 23/04/2015, ulteriori note difensive. Il ricorrente ribadisce che, con i motivi di revisione, erano state fra l’altro indotte prove nuove e sopravvenute, tra l’altro mai contestate come tali nella presente procedura , prove consistenti in una videoregistrazione del pavimento della stanza in cui fu ucciso il piccolo S. , che era scomparsa, anzi dichiarata inesistente nel corso del processo di primo grado e persino un attimo prima dell’inizio della discussione, ed improvvisamente quanto inspiegabilmente - e senza spiegazione nonostante la richiesta di chiarimenti al riguardo ricomparsa nel giudizio di appello , nonche’ in un gruppo di 50 foto non inerenti ad alcun imbrattamento ematico ma alla scena del crimine in generale , rispetto alle quali, sempre nel giudizio di appello, si accerto’ che erano state distrutte perche’ cosi’ confessato dai Carabinieri operanti, i quali precisarono che eseguirono ordini superiori . Inoltre, e’ necessario ribadire l’esistenza di una prova comunque appartenuta al processo di merito la foto del frammento osseo piu’ volte ricordata , a sua volta certamente falsificata il relativo documento faceva parte della nota curata dai Carabinieri del RIS in data omissis , percio’ si tratta di una prova presente nel giudizio relativo all’omicidio, ma non ammessa in quello afferente la diffamazione. A questo punto, l’Avv. T. fa osservare che nemmeno il P.g. presso questa Corte puo’ negare che le circostanze nuovamente passate in rassegna integrino inquietanti fatti di oggettiva riconducibilita’ a fattispecie di falso , viste le ripetute soppressioni e/o scomparse di atti, certamente da ascrivere agli inquirenti percio’, pur dovendosi affrontare separatamente il problema della riferibilita’ psicologica di quelle condotte a chi ne era stato autore, si legge nello scritto difensivo che sul piano della riconduzione oggettiva non esisteva altra alternativa rispetto a quella di riferirsi agli inquirenti, Procura o Marescialli di paese, ed anzi questa aggiunta relativa ai Carabinieri stava a significare una posizione di incertezza soggettiva in ordine a tale attribuibilita’, la quale pero’ non poteva che volteggiare tra gli indicati organi . In altre parole, se l’accusa e’ di aver diffamato ipotizzando la falsificazione di detti atti con riferimento agli unici soggetti possibili autori, e si fornisce la prova, non contestabile, della falsita’ sotto il profilo della materialita’, dell’occultamento o della soppressione, la conseguenza pare addirittura matematica . Il P.g. incorre invece nello stesso errore fatto proprio dalla Corte bresciana, laddove reputa che la prova pertinente di revisione potrebbe essere costituita solo da una sentenza passata in giudicato sulla falsita’ dei documenti di cui si e’ detto . Il ricorrente obietta che nella fattispecie la putativita’ e’ evocata non gia’ per la oggettivita’ del fatto, quanto per l’attribuzione soggettiva, e che - in ogni caso - buona parte delle condotte di soppressione ed occultamento risultano accertate con la sentenza di condanna irrevocabile emessa nel processo per omicidio la stessa falsificazione della fotografia di cui al frammento osseo appare affermata con chiarezza nel decreto di archiviazione sopra ricordato, limitatosi a precisare l’impossibilita’ di dedurne la natura dolosa. Argomentazioni, queste, tali da rendere comunque evidente l’error in procedendo dei giudici bresciani, da cui risultano offerte valutazioni non compatibili con un mero filtro di ammissibilita’ della richiesta di revisione. Considerato in diritto 1. Il ricorso si palesa inammissibile. 1.1 E’ doveroso ricordare, in via preliminare, che secondo la giurisprudenza di legittimita’ l’esame che il codice di rito riserva alla Corte di appello ai fini della verifica della non manifesta infondatezza della istanza di revisione deve limitarsi a una sommaria delibazione dei nuovi elementi di prova addotti e della loro astratta idoneita’, sia pure attraverso una necessaria disamina del loro grado di affidabilita’ e di conferenza, a comportare la rimozione del giudicato in relazione alla potenziale efficacia a incidere in modo favorevole sulle prove gia’ raccolte e sul connesso giudicato di colpevolezza e’ invece precluso alla stessa Corte di appello, in tale fase, una approfondita valutazione che comporti un’anticipazione del giudizio di merito, avulsa dal contraddittorio fra le parti e fondata su prove non ancora compiutamente acquisite , in quanto la fase di delibazione dell’ammissibilita’ della richiesta di revisione ha la funzione di accertare che la richiesta stessa sia stata proposta nei casi previsti, con l’osservanza delle norme di legge, e che non risulti manifestamente infondata, di modo che a detta delibazione e’ assegnato l’esclusivo compito del controllo preliminare della sussistenza delle condizioni necessarie per l’avvio del giudizio di revisione nelle forme previste per il dibattimento tanto che detti caratteri dell’indagine preliminare, mancante di una pronuncia rescindente della sentenza irrevocabile, giustificano l’esclusione della instaurazione di un qualsivoglia contraddittorio, essendo funzionali esclusivamente alla realizzazione dell’intento pratico di porre un ragionevole argine alla presentazione di domande pretestuose e palesemente infondate e di evitare un inutile dispendio di attivita’ giurisdizionale Cass., Sez. VI, n. 13474 del 13/01/2010, Burgio . Le stesse Sezioni Unite di questa Corte - sent. n. 15189 del 19/01/2012, Dander - hanno avuto modo di precisare che il potere/dovere di dichiarare anche d’ufficio l’inammissibilita’ della domanda di revisione significa pur sempre che la legge consente al Giudice di provvedere con rapidita’ alle valutazioni preliminari, non connotate da complessita’, ma foriere di inammissibilita’, sulla richiesta avanzata dalla parte, dovendosi rimettere alla trattazione in sede di giudizio i casi opinabili, con la garanzia del contraddittorio . 1.2 Tuttavia, se deve conseguentemente affermarsi che una penetrante anticipazione dell’esame del merito della vicenda, come pure del carattere di novita’ e di rilevanza di una dedotta acquisizione istruttoria circa il potenziale ribaltamento dell’esito del giudizio, non appare consentita ai fini di una declaratoria di inammissibilita’ de plano, e’ anche vero, in ogni caso, che la valutazione del giudice impone un apprezzamento prognostico sull’esito possibile del giudizio di revisione in base alle nuove prove nell’economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e oggetto di specifico giudizio e quelle che, pur se esistenti, non sono state apprezzate, non puo’ essere confinata nei termini dell’astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realta’ processuale e svilupparsi in termini realistici, cosi’ da non potere ignorare evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilita’ della prova nuova, rilevabili ictu oculi Cass., Sez. I, n. 41804 del 04/10/2007, Francini . Tale situazione si registra in effetti nel caso di specie, dove - come emerge con chiarezza fino dalla sentenza di primo grado - la declaratoria di penale responsabilita’ dell’imputato deriva dalla presa d’atto che le frasi da questi pronunciate si rivolgevano non gia’ alla polizia giudiziaria, come egli aveva inteso ripetutamente sostenere incentrando su tale aspetto la propria linea difensiva, bensi’ ai magistrati inquirenti magistrati ai quali l’Avv. T. aveva addebitato non solo scarsa professionalita’ l’accusa, la Procura e’ fatta da marescialli di paese ma anche una condotta di dolosa precostituzione di elementi di prova a carico di F.A.M. , giudicata e condannata nell’occasione in cui il legale ebbe a rilasciare le dichiarazioni di cui al capo d’imputazione. Il Tribunale di Milano, in particolare, ricorda che prima della lettura del dispositivo della sentenza a carico della suddetta F. , era stato presentato un esposto con il quale, a seguito di un accesso presso il RIS di Parma da parte dei consulenti della difesa, erano state mosse specifiche critiche alle modalita’ di conduzione delle attivita’ investigative, segnatamente quanto alla sparizione di un piccolo frammento osseo dal lenzuolo coprimaterasso quella circostanza, pero’, non giustificava le affermazioni dell’Avv. T. , riportate nell’articolo di stampa, dal momento che l’esposto poteva legittimare, al piu’, la critica nella conduzione delle indagini, ma non la conclusione che, appunto, le prove erano state falsificate , cio’ che presupponeva, quanto meno, un accertamento giudiziale, ancorche’ non definitivo. Altro e’, infatti, il rimprovero per un’asserita cattiva conduzione delle indagini, laddove si radichi in elementi che abbiano un minimo di plausibilita’ cio’ che si risolve, in ultima analisi, in una critica sull’operato e sulla capacita’ professionale dei pubblici ministeri altro e’ l’accusa, del tutto priva di fondamento, di falsificazione delle prove, che evoca una condotta dolosa di particolare gravita’, tale da integrare un illecito penale, prima che disciplinare. Per questi motivi, non e’ nemmeno ravvisabile la sussistenza putativa della scriminante di cui all’art. 51 cod. pen. v. la motivazione della sentenza di primo grado, a pag. 7 . 1.3 Il passo appena riportato consente, da un lato, di rilevare la manifesta irrilevanza delle nuove prove, oggetto della richiesta di revisione, e dall’altro di superare un apparente equivoco in cui e’ incorsa l’ordinanza impugnata nello sviluppare le proprie argomentazioni aspetto sul quale si e’ soffermato lo stesso P.g. presso questa Corte, ed al quale il ricorrente ha inteso diffusamente replicare . Infatti, sotto quest’ultimo profilo, che inerisce alla ancora ribadita putativita’ della scriminante ex art. 51 cod. pen., la Corte di appello di Brescia incorre in un mero errore materiale nel richiamare il contenuto della sentenza di primo grado come sopra evidenziato, il Tribunale di Milano aveva osservato che l’assunto del difensore della F. , circa la avvenuta falsificazione di dati probatori a carico della sua assistita, avrebbe richiesto, per poter essere plausibilmente sostenuto senza ledere la reputazione delle persone offese, l’esistenza di un accertamento giudiziale, ancorche’ non definitivo . La Corte territoriale, investita della richiesta di revisione, omette invece di riportare la negazione, segnalando che l’Avv. T. avrebbe recuperato un tema difensivo cui il giudice di merito aveva gia’ opposto la necessita’ che esso potesse validamente prospettarsi soltanto allegando un accertamento giudiziale, ancorche’ definitivo della responsabilita’ dolosa dei magistrati inquirenti . Si tratta di una mera svista, anche perche’, sul piano logico, il significato eminentemente concessivo dell’avverbio ancorche’ mal si attaglierebbe con quel senso letterale ove l’accertamento giudiziale fosse da intendersi financo connotato da definitivita’ rimangono pertanto irrilevanti le considerazioni comunque svolte in proposito dal Procuratore generale in sede di requisitoria scritta, sul - diverso - problema della possibilita’ da parte del soggetto attivo del reato di diffamazione di fornire prova liberatoria ex art. 596 cod. pen., ed analogamente e’ a dirsi circa le note di replica depositate da ultimo dal ricorrente. Quel che rileva e’, invece, che nulla poteva legittimare - quanto alle presunte soppressioni di atti che si erano volute evidenziare - sospetti di condotte dolose in capo a chicchessia, dovendosi ictu oculi escludere, dal tono delle dichiarazioni rilasciate dall’imputato al giornalista, che l’Avv. T. avesse voluto genericamente evocare comportamenti incolpevoli. Dalle osservazioni svolte dal Tribunale risulta d’altro canto evidente come il tema sotteso ad una delle acquisizioni istruttorie prospettate come elemento di novita’ la mancata documentazione, nei supporti versati in atti, dell’esistenza di un peculiare frammento osseo all’atto dei rilievi iniziali sia stato comunque tenuto presente dai giudici di merito nel corso del processo gia’ definito, e sempre nella prospettiva - coerente alla linea difensiva costantemente ribadita dall’imputato - dell’impossibilita’ di inferirne che le espressioni diffamatorie non sarebbero state rivolte ai magistrati di Aosta. Tant’e’ che, nella sentenza della Sezione Feriale di questa Corte n. 32788 del 17/08/2012, recante la declaratoria dell’inammissibilita’ del ricorso presentato dall’Avv. T. avverso la pronuncia a suo tempo emessa in grado di appello, si legge che quanto al fatto che i giudici di merito non avrebbero tenuto conto del fatto che all’epoca dei fatti vi era stato un procedimento penale a carico dei RIS di Parma, proprio per falsificazione delle prove dal che si doveva desumere che gli attacchi erano diretti piu’ contro gli organi di polizia giudiziaria che contro i magistrati della Procura sia sufficiente rilevare che i RIS di Parma, pur essendo ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, sicuramente non fanno parte della Procura di Aosta ne’, d’altronde, si potrebbero qualificare come marescialli di paese . L’esistenza di una coeva denuncia contro i RIS, dunque, non solo e’ irrilevante nella individuazione dei soggetti componenti la Procura di Aosta, ma, come ha osservato la Corte di Milano, neppure in linea generale spiega alcun effetto favorevole alla linea difensiva, posto che l’aver diretto delle accuse contro i Carabinieri di Parma non esclude che vi possano essere stati attacchi contro altri soggetti . Ne deriva, quale logico ed immediato corollario, che tutte le presunte conferme alle ipotesi di ulteriori sparizioni o soppressioni di foto od altri rilievi , indicate dallo stesso ricorrente come emergenze del giudizio celebratosi in grado di appello a carico di F.A.M. , nulla potrebbero dimostrare circa l’asserita convinzione dell’Avv. T. - il giorno dell’intervista a OMISSIS , risalente ad epoca abbondantemente anteriore - che taluno degli inquirenti si fosse reso responsabile di condotte di falso, men che meno il Procuratore capo od il Sostituto assegnatario del procedimento. 2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonche’ - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, in quanto riconducibile alla sua volonta’ v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000 - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, cosi’ equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.