Divieto di avvicinamento ai “luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa”: definizione troppo generica?

In tema di misure cautelari personali, il provvedimento con cui il giudice dispone, ex art. 282-ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto della proibizione, perché solo in tal modo il provvedimento assicura sia l’esigenza di praticabilità della misura, sia la necessità di contenere le limitazioni imposte all’indagato nei confini strettamente necessari alla tutela della vittima.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27905/2016, depositata il 6 luglio, ha analizzato il seguente caso. Il caso. Il Tribunale di Napoli aveva accolto l’appello del pm avverso l’ordinanza emessa dal GIP dello stesso Tribunale, con la quale non era stata applicata la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa nei confronti dell’indagato per il delitto di cui all’art. 612- bis c.p Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato. Con l’ultimo motivo di ricorso, l’unico che trova accoglimento, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 282- ter c.p.p. per indeterminatezza della misura. Misure cautelari personali. Il motivo è fondato. La Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di misure cautelari personali, il provvedimento con cui il giudice dispone, ex art. 282- ter c.p.p., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto della proibizione, perché solo in tal modo il provvedimento assicura sia l’esigenza di praticabilità della misura, sia la necessità di contenere le limitazioni imposte all’indagato nei confini strettamente necessari alla tutela della vittima. Il Collegio ritiene che una interpretazione letterale della norma consenta di superare le difficoltà applicative create da una misura che, nello spirito della legge, deve essere calibrata” sulla situazione di fatto che si vuole tutelare in via cautelare. L’esigenza pratica è quella di rendere noto all’obbligato quali sono i luoghi da evitare, alla cui determinatezza è collegata la stessa praticabilità della misura. E’ da condividere pertanto la conclusione cui è pervenuta la richiamata giurisprudenza, secondo la quale un provvedimento che si limiti – come nel caso in esame – a parlare di luoghi frequentati dalla persona offesa”, oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in modo del tutto generico, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa. Si impone quindi l’annullamento della ordinanza impugnata in relazione all’applicazione della misura adottata, dovendo il Tribunale provvedere, in ossequio dei principi sopra enunciati, a specificare le modalità di esecuzione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”. La Corte annulla pertanto la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 gennaio – 6 luglio, n. 27905 Presidente Lapalorcia – Relatore Miccoli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 28 ottobre 2015 il Tribunale di Napoli, sezione riesame, ha accolto l’appello del Pubblico Ministero avverso l’ordinanza emessa dal GIP dello stesso Tribunale, con la quale non era stata applicata la misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa P.A. nei confronti di R.N. , indagato per il delitto di cui all’articolo 612 bis cod. pen Il Tribunale ha ritenuto sussistente il quadro di gravità indiziaria sulla scorta delle dichiarazioni della persona offesa che ha riferito di una serie continuativa di atti molesti oltre che di minacce gravi e di aggressioni fisiche e di alcune persone informate sui fatti. 2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione il R. , deducendo in primo luogo la nullità del provvedimento per vizi di motivazione in ordine alla valutazione della sussistenza di gravi indizi. Il ricorrente sostiene che l’ordinanza si sarebbe limitata a una riproposizione di quanto affermato dal Pubblico Ministero, con descrizione del profilo indiziario in modo generico, ripetendo mere formule di stile. Gli stessi vizi sono stati pure dedotti in ordine alla valutazione della attualità e concretezza delle esigenze cautelari. Con l’ultimo motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 282 ter per indeterminatezza della misura. Considerato in diritto Il ricorso è fondato limitatamente all’ultimo motivo proposto. 1. Il primo motivo è inammissibile, giacché fa specifico riferimento solo ad elementi di fatto non valutabili in questa sede. In proposito, è necessario ricordare che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e, cod. proc. pen. La modifica normativa di cui alla legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia, infatti, inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Con specifico riferimento all’impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato e, quindi, l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo ed insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità 1 l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, Siciliano, Rv. 251760 . 2. Fatte queste premesse di ordine generale, va rilevato che le censure mosse dal ricorrente attengono essenzialmente al giudizio rappresentativo dei fatti che hanno comportato l’applicazione della misura e sollecitano una revisione del giudizio di gravità indiziaria al giudice di legittimità. Peraltro, la motivazione del provvedimento impugnato possiede una capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità. Il discorso giustificativo sviluppato risponde pienamente alle esigenze di completezza e di consequenzialità logica sulle quali si esercita il controllo di legittimità nel giudizio di cassazione. In particolare, nella ordinanza del Tribunale sono state valorizzate le dichiarazioni accusatorie della persona offesa, la cui attendibilità è riscontrata da accertamenti della polizia giudiziaria, da dichiarazioni di terzi, dai certificati medici e dai sms acquisiti in atti. Non è affatto vero che il Tribunale si sia limitato a riprodurre le argomentazioni dell’appello del Pubblico Ministero, in quanto risulta sviluppata in maniera articolata la valutazione di tutti gli elementi posti a fondamento della richiesta di misura cautelare. Né può affermarsi che il Pubblico Ministero nell’atto di appello avverso l’ordinanza di rigetto della misura cautelare abbia motivato le sue doglianze con il mero richiamo al contenuto della originaria richiesta cautelare circostanza questa che, se si fosse verificata, avrebbe inciso sulla ammissibilità dello stesso atto appello, il quale deve soddisfare i requisiti di specificità tranne nel caso in cui, per motivi formali ritenuti assorbenti o per l’apoditticità della decisione del G.I.P., sia mancata qualsiasi valutazione della richiesta medesima Sez. 6, n. 277 del 07/11/2013, Clema, Rv. 257772 . 3. Esaustiva ed esente da vizi logici è anche la motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sulla proporzionalità della misura pag. 3 dell’ordinanza . Le doglianze del ricorrente, peraltro, si rivelano del tutto generiche e basate su questioni di fatto, non valutabili in questa sede. 4. Merita accoglimento, invece, l’ultimo motivo di ricorso. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, in tema di misure cautelari personali, il provvedimento con cui il giudice dispone, ex art. 282-ter cod. proc. pen., il divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa deve necessariamente indicare in maniera specifica e dettagliata i luoghi oggetto della proibizione, perché solo in tal modo il provvedimento assicura sia l’esigenza di praticabilità della misura sia la necessità di contenere le limitazioni imposte all’indagato nei confini strettamente necessari alla tutela della vittima Fattispecie in cui la Corte ha annullato l’ordinanza impugnata per indeterminatezza nell’indicazione dei luoghi vietati, demandando al giudice di merito la eventuale possibilità di applicare all’indagato un generale divieto di avvicinamento alla persona offesa che non richiede la specifica individuazione delle zone in cui è interdetto l’accesso Sez. 5, n. 5664 del 10/12/2014, B, Rv. 262149 si vedano anche Sez. 5, n. 28225 del 26/05/2015, F, Rv. 265297 Sez. 6, n. 8333 del 22/01/2015, R., Rv. 262456 Sez. 6, n. 14766 del 18/03/2014, F, Rv. 261721 . Si è detto, infatti, che l’art. 282 ter cod.proc.pen. introdotto dal D. L. 23 febbraio 2009, n. 11, conv., con mod., dalla L. 23 aprile 2009, n. 38 ha tipizzato una nuova figura di misura cautelare al fine di contrastare, prevalentemente, il fenomeno degli atti persecutori, costituito dal divieto di avvicinamento dell’imputato o dell’indagato a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa , nonché dall’imposizione dell’obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa . È vivo nella giurisprudenza di questa Corte ma non contraddittorio il dibattito sui caratteri che devono avere le misure suddette, affinché le esigenze di cautela sottese alla norma siano conciliabili con i diritti e le necessità della persona cui le misure sono imposte, sotto un duplice profilo a quello di determinare una compressione della libertà di movimento dell’onerato nella misura strettamente necessaria alla tutela della vittima b quella di assicurare una sufficiente determinatezza della misura, affinché sia ben chiaro all’obbligato quali comportamenti deve tenere e sia eseguibile il controllo sulla corretta osservanza delle prescrizioni a lui imposte. è compito del giudice, pertanto, riempire la misura di contenuti adeguati agli obbiettivi da raggiungere e rendere la misura sufficientemente determinata, per evitare elusioni o problematiche applicative. Ritiene il collegio che una interpretazione letterale della norma consenta di superare le difficoltà applicative create da una misura che, nello spirito della legge, deve essere calibrata sulla situazione di fatto che si vuole tutelare in via cautelare. Ebbene, l’art. 282-ter prevede innanzitutto il divieto di avvicinamento a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa e l’obbligo di mantenere una determinata distanza da tali luoghi , al fine evidente di assicurare alla vittima uno spazio fisico libero dalla presenza del soggetto che si è reso autore di reati in suo danno. La norma ricalca l’analoga previsione contenuta nell’art. 282 bis c.p.p., introdotto per analoghe ragioni, dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, secondo cui il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può ordinare all’imputato o all’indagato, oltre che di lasciare immediatamente la casa familiare, di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti . In entrambe le disposizioni è contenuta, quindi, l’avvertenza di riempire la prescrizione di un contenuto specifico quello della individuazione determinazione del luogo a cui l’autore del reato non si deve avvicinare. Tale previsione corrisponde ad una esigenza pratica e una esigenza di giustizia l’esigenza pratica è quella di rendere noto all’obbligato quali sono i luoghi da evitare, alla cui determinatezza è collegata la stessa praticabilità della misura l’esigenza di giustizia è quella di contenere le limitazioni imposte all’indagato nei limiti strettamente necessari alla tutela della vittima e di assicurare a quest’ultima la certezza di uno spazio libero dalla presenza del prevenuto. Entrambe le norme partono dal presupposto, quindi, che una indicazione generica del luogo interdetto all’obbligato non sia funzionale alle esigenze che si vogliono tutelare, perché non consentirebbe al prevenuto di sapere in anticipo quale comportamento è a lui richiesto. A questa categoria è da ascrivere ad avviso del Collegio anche il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa , sia perché l’obbligato non può sapere quali siano i luoghi suddetti peraltro normalmente destinati a variare a seconda delle esigenze e delle abitudini della persona sia perché la misura assumerebbe una elasticità dipendente dalle decisioni o anche dal capriccio dell’offeso, a cui verrebbe rimesso, sostanzialmente, di stabilire il contenuto della misura. Tanto, si badi bene, anche nel caso la frequentazione di un luogo avvenga, con priorità, da parte della persona sottoposta ad indagini, con la conseguenze a dir poco paradossale di imporgli un facere allontanarsi dal luogo anche quando sia la persona offesa ad avvicinarsi ad esso così in motivazione la citata sentenza Rv 262149 . È da condividere, pertanto, la conclusione cui è pervenuta la richiamata giurisprudenza, secondo la quale un provvedimento che si limiti -come nel caso in esame a parlare di luoghi frequentati dalla persona offesa , oltre a non rispettare il contenuto legale, appare strutturato in maniera del tutto generica, imponendo una condotta di non facere indeterminata rispetto ai luoghi, la cui individuazione finisce per essere di fatto rimessa alla persona offesa. Si impone quindi l’annullamento della ordinanza impugnata in relazione all’applicazione della misura adottata, dovendo il Tribunale provvedere, in ossequio dei principi sopra enunciati, a specificare le modalità di esecuzione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa . Va disposto l’oscuramento dei dati sensibili attesa la materia oggetto del procedimento. P.Q.M. La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Napoli per nuovo esame. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs 195/03 in quanto imposto dalla legge.