Avverte il suo spacciatore delle indagini in corso nei suoi confronti: nessun dubbio su chi volesse favorire

In tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, l’esimente prevista dall’art. 384 c.p., comma 1, non può essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla libertà o all’onore, implicando essa un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialità e non di semplice supposizione.

Con sentenza n. 27604/16, depositata il 5 luglio, la Corte di Cassazione ha deciso quanto segue. Il caso. L’imputato impugnava la sentenza della Corte d’appello di Venezia che aveva confermato la decisione, resa all’esito del giudizio abbreviato, con la quale il giudice di primo grado lo aveva dichiarato responsabile del delitto di favoreggiamento personale nei confronti del suo fornitore” di stupefacenti, limitandosi a ridurre la pena inflitta. L’accusa, in particolare, si riferiva ad una telefonata che l’imputato avrebbe fatto per informare – dopo essere stato sentito dagli organi di polizia quale persona informata dei fatti – il suddetto di dismettere le utenze telefoniche di cui aveva la disponibilità, riferendogli che erano in corso indagini a suo carico e che per tale motivo era esposto al rischio di intercettazioni. Intervento ritenuto fondamentale dal Giudice per neutralizzare l’attività di intercettazione in corso nei confronti dell’indagato. Ad avviso dei giudici di merito, l’imputato avrebbe prima mostrato di voler collaborare con gli inquirenti e poi ostacolato le indagini nei confronti del soggetto indagato che avrebbe dunque favorito. Per la cassazione ricorre l’imputato a mezzo del suo difensore. Secondo la difesa, la telefonata dell’imputato trova spiegazione nel fatto che egli sapesse che le utenze dell’indagato erano sotto controllo per essere implicate in un traffico di stupefacente. Per tale ragione, appena apprende delle indagini in corso, avverte il fornitore” di dismettere le utenze telefoniche. L’interpretazione dell’art. 384 c.p. sarebbe dunque per la difesa erronea, poiché escluderebbe ab origine l’invocazione dell’esimente pur in presenza di un pericolo di danno futuro. L’esimente prevista dall’art. 384 c.p., comma 1. Per gli Ermellini il ricorso è infondato. La causa di non punibilità invocata nel caso in esame, è quella prevista dal primo comma dell’art. 384 c.p. e non quella del secondo comma dello stesso, il quale configura una diversa tipicità del fatto”, applicabile solo ai reati propri” in essa previsti, nonché al delitto di favoreggiamento, in forza della sentenza n. 416/1996 che ha esteso la tassatività delle ipotesi di reato anche al favoreggiamento, ma pur sempre realizzato mediante false o reticenti dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, è da escludere che l’imputato volesse favorire se stesso, poiché l’informazione resa all’indagato è intervenuta solo dopo il colloquio avuto con gli organi di polizia. Per la Suprema Corte vi fu favoreggiamento perché l’imputato non era sottoposto ad alcuna indagine – in caso contrario non avrebbe potuto essere sentito ex art. 362 c.p.p., bensì con l’assistenza del proprio difensore – e aiutò in quel momento il suo fornitore” di stupefacenti ad eludere le indagini. In tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, ha spiegato la Corte, l’esimente prevista dall’art. 384 c.p., comma 1, non può essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla libertà o all’onore, implicando essa un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialità e non di semplice supposizione. La Corte rigetta pertanto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 5 luglio, numero 27604 Presidente Paoloni – Relatore Carcano Ritenuto in fatto 1.T.F. impugna la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha confermato la decisione, resa all’esito di giudizio abbreviato, con la quale il giudice di primo grado lo ha dichiarato responsabile del delitto di favoreggiamento personale a vantaggio di B.M. , limitandosi a ridurre la pena inflitta. In particolare, l’accusa formulata a carico di T. è quella di avere telefonicamente informato - dopo essere stato sentito dagli organi di polizia quale persona informata dei fatti - B.M. di dismettere immediatamente le utenze telefoniche di cui aveva la disponibilità, riferendogli che erano in corso indagini a suo carico e, per tal motivo, era esposto a rischio di intercettazioni. Intervento, ritenuto dal giudice di primo grado, decisivo per neutralizzare l’attività di intercettazione in corso nei confronti di B. . La Corte d’appello precisa che il giudice di primo grado ha escluso la fondatezza alla tesi difensiva secondo cui T. avrebbe parlato per favorire se stesso tesi non sostenibile poiché l’informazione resa a B. , non è intervenuta prima o durante, ma solo dopo il colloquio avuto da T. con gli organi di polizia. Ad avviso dei giudici di merito, T. , da un lato, ha mostrato di voler collaborare con gli inquirenti e, dall’altro, ha poi ostacolato le indagini nei confronti di B. . La Corte d’appello ha condiviso le conclusioni cui è giunto il giudice di primo grado, disattendendo i motivi di gravame e, in particolare, ritenendo infondata la deduzione difensiva diretta a ottenere l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 384 c.p., poiché all’epoca in cui T. fu sentito come persona informata dei fatti non era sottoposto ad alcuna indagine relativa a traffico di stupefacente in concorso con B. , non essendoci elementi a suo carico ipotesi emersa solo dopo la telefonata a B. . In conclusione, al momento in cui T. ebbe a parlare con gli inquirenti e a informare B. non era indagato e per tale ragione, ribadisce anche la Corte d’appello, non è configurabile l’esimente di cui all’art. 384 c.p 2.11 difensore di T.F. , avvocato Roberto De Nicolaio, deduce - violazione di legge in punto di mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p Ad avviso della difesa, la telefonata di T. a B. del 27 gennaio trova spiegazione nel fatto che egli era a conoscenza che le utenze di B. erano sotto controllo per essere implicate in un traffico di stupefacente. Per tal motivo, egli, appena apprende delle indagini in corso, avverte B. di dismettere le utenze telefoniche. La difesa dopo avere esposto i singoli argomenti riportati nella sentenza di primo grado e condivisi dal giudice d’appello, ritiene che l’interpretazione applicativa dell’art. 384 c.p. è erronea poiché escluderebbe ab origine la invocazione dell’esimente pur in presenza di un pericolo di danno futuro. In tal modo, l’ambito di operatività dell’esimente è limitato a soli casi in cui non vi sia più pericolo e sia certa la lesione alla propria libertà e l’onore. L’impostazione dei giudici di merito è di ritenere che l’attualità del pericolo avrebbe dovuto essere caratterizzata da una indagine in corso nei confronti di T. per traffico di stupefacenti in concorso con B. . Invece, ciò che T. intende evitare è l’avvio di quella indagine dalla quale egli vuole difendersi e tutelarsi. Nella giurisprudenza di legittimità, la fattispecie dell’art. 384 c.p. tipizza un pericolo, cioè, di alta probabilità di realizzazione del nocumento alla libertà o all’onore. Ne discende che l’utilizzo delle utenze telefoniche di B. costituiva percolo concreto e attuale di nocumento a T. . In conclusione, ad avviso della difesa, vi è un auto-favoreggiamento mediato il cui effetto è che il favoreggiamento del terzo è anche l’unico strumento per favorire se stesso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Anzitutto va precisato che la causa di non punibilità invocata nel caso in esame è quella prevista dal primo comma dell’art. 384 c.p. e non quella del secondo comma del predetto articolo che configura una diversa tipicità del fatto , applicabile solo ai reati propri in essa previsti nonché anche al delitto di favoreggiamento, in forza della sentenza numero 416 del 1996 che ha esteso la tassatività delle ipotesi di reato anche al favoreggiamento sempre che realizzato, al pari delle altre ipotesi delittuose indicate, mediante false o reticenti dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria. Norma, quella del secondo comma, estesa ulteriormente con sentenza numero 75 del 2009 del Giudice delle leggi mediante false o reticenti dichiarazioni fornite agli organi di polizia giudiziaria da chi non avrebbe potuto essere obbligato a renderle o comunque a rispondere in quanto persona indagata per reato probatoriamente connesso a quello commesso da altri, cui le dichiarazioni si riferiscono Delineato il corretto ambito giuridico della vicenda, va ulteriormente precisato che anche qui si è in presenza di una azione tipica del soggetto che commette il fatto perché costretto al fine di evitare un grave e inevitabile nocumento alla libertà o all’onore per sé medesimo o un prossimo congiunto. 2. I Giudici di merito hanno puntualmente ricostruito la vicenda concreta, come descritta in narrativa, escludendo correttamente la configurabilità degli elementi richiesti per integrare la causa di non colpevolezza prevista dal citato primo comma dell’art. 384 c.p., concordando entrambi sul fatto che T.F. , dopo essere stato sentito dagli organi di polizia giudiziaria, quale persona informata sui fatti, ebbe a telefonare al proprio fornitore di stupefacenti, B.M. , per sollecitarlo a immediatamente dismettere le utenze telefoniche , in tal modo neutralizzando l’attività di indagine svolta a carico di B. . In altri termini, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, è da escludere che T. avrebbe parlato per favorire sé stesso, poiché l’informazione resa a B. , non è intervenuta prima o durante, ma solo dopo il colloquio avuto da T. con gli organi di polizia nel corso del quale il predetto T. fu sentito come consumatore di stupefacenti su fatti riguardanti B. . Nella sentenza impugnata, come già detto in narrativa, si afferma che T. , da un lato, ha mostrato di voler collaborare con gli inquirenti e, dall’altro, ha poi ostacolato le indagini nei confronti di B. . Vi fu, dunque, favoreggiamento, poiché T. non era sottoposto ad alcuna indagine - altrimenti non avrebbe potuto essere sentito ex art. 362 c.p.p., bensì con l’assistenza del proprio difensore - e aiutò in quel momento B. ad eludere le indagini di polizia giudiziaria. Né rilievo alcuno può avere ai fini della conclusione raggiunta la circostanza che T. fu poi sottoposto a procedimento penale anche per concorso nell’attività di spaccio con B. , accusa dalla quale poi fu assolto dal giudice di primo grado che ritenne invece T. responsabile del solo delitto di favoreggiamento. La situazione pur suggestiva non è tale da incidere sulla condotta realizzata al momento in cui T. non era indiziato per tale reato né avrebbe potuto ritenere di esserlo, come rilevato dalla Corte d’appello. 3. Il Collegio ritiene di confermare quanto già affermato in precedenza da questa Corte di legittimità secondo cui in tema di reati contro l’amministrazione della giustizia, l’esimente prevista dall’art. 384 c.p., comma 1, c.p. non può essere invocata sulla base del mero timore, anche solo presunto o ipotetico, di un danno alla libertà o all’onore, implicando essa un rapporto di derivazione del fatto commesso dalla esigenza di tutela di detti beni che va rilevato sulla base di un criterio di immediata ed inderogabile consequenzialità e non di semplice supposizione ex plurimis v. Sez. VI, 2/4/15, numero 19110 id. 28/3/2014, numero 13086 id. 15/11/2012, numero 10271 . In conclusione, il soggetto chiamato a deporre in qualità di parte offesa o di persona informata dei fatti di un reato di cui sia rimasto vittima ovvero mero protagonista, quale mero acquirente-consumatore di stupefacenti, non lo abilita a violare l’obbligo su di lui gravante di riferire quanto di sua conoscenza, a meno che non espliciti, in maniera anche solo allusiva, ma comunque inequivocabile, di essere fatto segno, direttamente o attraverso un prossimo congiunto, di attuale minaccia o violenza ovvero di avvio di un procedimento a suo carico. 4. Il ricorso va, dunque, rigettato e, a norma dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.