Reformatio in peius della sentenza assolutoria: è necessario rinnovare l’istruzione dibattimentale?

Nel caso in cui il giudice di secondo grado decida di riformare in senso peggiorativo la sentenza di primo grado sulla base delle dichiarazioni dei testi, potrà farlo senza instaurare necessariamente una nuova istruzione dibattimentale, ma solo se si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 27156/16, depositata il 4 luglio. Il caso. La Corte d’appello di Brescia riformava la sentenza con cui il Tribunale di Crema aveva assolto il conducente di un automobile dal reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, c.p., perché – per imperizia, imprudenza e inosservanza delle norme sulla circolazione stradale –, eseguendo un sorpasso a distanza laterale non adeguata, aveva urtato un velocipede, provocando la caduta e quindi la morte del conducente. Avverso la sentenza della Corte d’appello ricorreva l’imputato. Innanzitutto deduceva vizio motivazionale e violazione di legge per non aver la Corte di merito operato una valutazione circa l’evitabilità altrimenti dell’evento inoltre, deduceva violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato sia con riferimento alla colpa generica che a quella specifica, censurando la valutazione dell’apporto testimoniale della teste, alla quale, nel corso dell’esame dibattimentale erano state contestate le dichiarazione rese nel corso delle indagini, pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 512 c.p.p., diversamente da quanto ritenuto da parte della Corte d’appello. Infine, proponeva un motivo unico con successiva memoria, rilevando la nullità della sentenza impugnata per violazione di legge, sostenendo che la reformatio in peius della sentenza assolutoria fosse avvenuta in difetto dell’audizione diretta dei testimoni, contravvenendo all’art. 6 CEDU. La reformatio in peius della sentenza assolutoria. Il motivo di ricorso più pregnante e su cui la Corte si è soffermata maggiormente è proprio l’ultimo depositato con la memoria successiva. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, infatti, un’interpretazione delle norme processuali conforme all’art. 111 Cost. e ai principi della Corte di Strasburgo non richiede l’automatica rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ogni volta in cui il giudice di secondo grado sovverta un verdetto assolutorio. Difatti, con la sentenza Dan c/ Moldova del 2011, la Corte di Strasburgo ha affermato che il giudice di secondo grado che, discostandosi dalla sentenza assolutoria del giudice a quo , voglia condannare l’imputato sulla base delle dichiarazione di un teste già ascoltato in primo grado, ha l’obbligo di sentirlo nuovamente, ma tale principio non trova applicazione qualora il giudice d’appello non proceda a una rivalutazione dell’attendibilità di una testimonianza, ma si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice - sent. 8423/14 - o qualora fondi il proprio convincimento su altri elementi di prova in relazione ai quali la valutazione del primo giudice sia mancata o travisata. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione di tali principi, atteso che la reformatio in peius della sentenza assolutoria è conseguita non alla mera rivalutazione della prova orale acquisita in primo grado, ma alla valorizzazione delle dichiarazioni della teste rese nel dibattimento.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 8 aprile – 4 luglio 2016, n. 27156 Presidente Izzo – Relatore Cappello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 23/04/2014, la Corte d’Appello di Brescia ha riformato la sentenza con la quale il Tribunale di Crema aveva assolto L.G. dal reato di cui all’art. 589 commi 1 e 2 cod. pen., perché - per imperizia, imprudenza ed inosservanza delle norme disciplinanti la circolazione stradale - eseguendo il sorpasso a distanza laterale non adeguata e urtando il velocipede condotto da LA.Be. , ne aveva provocato la caduta con esito mortale. 2. Questa in sintesi la vicenda, così come ricostruita nella sentenza impugnata. Il giorno omissis , in omissis , sulla via omissis , l’imputato, alla guida della propria autovettura, aveva urtato in fase di sorpasso la bicicletta condotta dal La. per effetto dell’impatto, testimoniato da un’abrasione sulla portiera anteriore destra dell’autovettura in corrispondenza del portapacchi posteriore del velocipede, il La. era caduto a terra, decedendo per le lesioni riportate. Gli agenti intervenuti avevano ipotizzato che il ciclista che percorreva la via con la stessa direzione di marcia dell’autovettura , si fosse spostato verso sinistra a causa di un restringimento dovuto alla presenza di un parcheggio sul lato destro. Una testimone oculare aveva riferito di aver visto l’auto procedere lentamente e il ciclista, nel punto in cui la strada si restringeva, spostarsi da destra verso sinistra andando contro la macchina nella fase delle indagini preliminari la donna aveva dichiarato di aver visto il velocipede intento ad attraversare la strada da destra a sinistra . Il Tribunale di Crema aveva assolto il L. dal delitto di omicidio colposo in danno di La.Be. perché il fatto non costituisce reato . Quel giudice aveva ricostruito la dinamica del sinistro sulla scorta degli accertamenti e dei rilievi tecnici effettuati dagli agenti della Polizia Stradale di Crema sui quali deponeva l’operante T.M. , nonché delle dichiarazioni rese da una testimone oculare del sinistro, C.Z.W.G. . La Corte d’appello ha sovvertito il verdetto assolutorio, ritenendo, al contrario, che le prove raccolte dimostrassero la colpevolezza dell’imputato, anche a fronte dell’accertato concorso di colpa della vittima. 2. L’imputato ha proposto ricorso a mezzo di difensore, con il quale ha formulato due separati motivi. Con il primo, ha dedotto vizio motivazionale e violazione di legge, per non avere la Corte di merito operato una valutazione circa l’evitabilità altrimenti dell’evento. Con il secondo, ha dedotto violazione di legge e vizio motivazionale, in relazione alla configurabilità dell’elemento soggettivo del reato, sia con riferimento alla colpa generica, che a quella specifica e, sempre con riferimento ai dati probatori, ha censurato la valutazione dell’apporto testimoniale della teste C.Z. , alla quale, nel corso dell’esame dibattimentale, erano state contestate le dichiarazioni rese nel corso delle indagini, pienamente utilizzabili ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen., diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello. Con successiva memoria depositata il 15 marzo 2016, la parte ha proposto un motivo unico, con il quale ha rilevato la nullità della sentenza impugnata per violazione di legge, atteso che la reformatio in peius della sentenza assolutoria ad opera della Corte d’appello è avvenuta in difetto dell’audizione diretta dei testimoni, così contravvenendo alla norma convenzionale di cui all’art. 6 della C.E.D.U., secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Considerato in diritto 1. Il ricorso va rigettato. 2. Il giudice del gravame ha accolto l’appello proposto dal Procuratore Generale, con il quale si era rilevato che l’avere il L. intrapreso il sorpasso del velocipede nel punto in cui la strada si restringeva aveva dato causa all’impatto tra i due mezzi testimoniato dalle tracce lasciate sulla portiera anteriore destra dell’auto e sul portapacchi posteriore della bicicletta . Così facendo l’imputato aveva tenuto un comportamento di guida imprudente e imperito, in evidente violazione delle specifiche norme in tema di circolazione stradale contestate, avendo effettuato una manovra di sorpasso senza rispettare una distanza laterale adeguata, poiché le risultanze dibattimentali avevano smentito l’assunto che il ciclista nell’occorso si era spostato a sinistra. La Corte territoriale, convenendo con i rilievi formulati dalla parte pubblica, ha ritenuto l’erroneità del giudizio assolutorio. Questo sarebbe stato reso sulla base della ricostruzione del comportamento della vittima che avrebbe effettuato una manovra di spostamento a sinistra di entità imprecisata, se non addirittura un vero e proprio attraversamento della carreggiata da destra a sinistra, che per il primo g i u d i ce aveva determinato l’esclusione di profili di colpa in capo al prevenuto, il quale non avrebbe avuto alcuna possibilità di evitare l’urto con il velocipede. Il giudice d’appello non ha dubitato che alla causazione del sinistro abbia concorso anche la condotta colposa della vittima, atteso che dalle dichiarazioni dibattimentali della teste C.Z.W.G. le uniche che ha ritenuto processualmente utilizzabili , era effettivamente emerso che il ciclista aveva posto in essere un’improvvisa deviazione a sinistra della bicicletta nel momento in cui veniva affiancata dall’autovettura. Ma, pur ritenendo pacifico, anche alla luce della ricostruzione operata dagli agenti della Polstrada, dei danni riportati dai due mezzi per effetto dell’urto e della posizione di quiete assunta dagli stessi, lo spostamento a sinistra del ciclista, la Corte d’appello ha rilevato che la teste oculare non aveva saputo precisare le ragioni e neppure l’entità dello spostamento. A ciò ha agganciato anche l’ulteriore considerazione per la quale i rilievi fotografici avevano dimostrato che l’autovettura recava tracce di abrasione sulla fiancata destra in corrispondenza della portiera anteriore e la bicicletta aveva riportato danni al sellino e sul lato sinistro del portapacchi posteriore, cosicché era rimasto provato che, quantomeno al momento dell’urto, i due veicoli si erano trovati sostanzialmente affiancati e che la traiettoria della bicicletta, pur potendo presenta re un’angolatura verso sinistra, in direzione del centro della carreggiata, non poteva però trovarsi in fase di attraversamento perpendicolare rispetto al senso di marcia del veicolo condotto dall’imputato, così da frapporsi come ostacolo del tutto imprevedibile e non evitabile. In tal caso, secondo la Corte territoriale, l’autovettura avrebbe riportato danni sulla parte frontale anteriore, in corrispondenza del cofano e del paraurti, e l’urto tra i due mezzi sarebbe avvenuto verso il centro della carreggiata e non nei pressi del margine destro percorso dal velocipede ciò afferma il giudice del gravame rinviando alle fotografie in atti e alla planimetria redatta dagli operanti, in cui il punto d’urto è indicato con la lettera C, in corrispondenza cioè di una macchia dovuta alla fuoriuscita di sostanza ematica dal capo della vittima . Pertanto, pur a fronte di una condotta imprudente della vittima che ha verosimilmente impresso al suo mezzo una svolta, più o meno marcata, a sinistra, l’imputato aveva, a sua volta, tenuto una condotta di guida non adeguata rispetto ai luoghi, avendo intrapreso una manovra di sorpasso in una strada del centro, pavimentata in acciottolato e dunque, già di per sé, piuttosto instabile per una bicicletta, in corrispondenza di un leggero restringimento della sede stradale sul lato destro della carreggiata, dovuto all’esistenza di un’area di parcheggio. Dette circostanze fattuali sono state ritenute tali da imporre al conducente dell’autovettura - una volta avvistato il ciclista che procedeva davanti a sé - di adottare il massimo delle cautele e della prudenza prima di iniziare la manovra di sorpasso, essendo ragionevolmente prevedibile, proprio in ragione della conformazione della strada, dell’intrinseca instabilità del velocipede e dell’età anziana del conducente, che questi avrebbe potuto deviare la propria traiettoria di marcia per la presenza dei parcheggi leggermente sporgenti sulla propria destra o anche solo per una incolpevole ed improvvisa perdita di equilibrio. E dunque, pur avendo osservato una velocità moderata, la condotta del L. è stata ritenuta genericamente colposa per imprudenza e imperizia, poiché in quelle particolari condizioni egli avrebbe dovuto eventualmente attendere o rinunciare al sorpasso fino a quando non vi fossero state le condizioni per portare a termine la manovra senza rischi per l’altro utente della strada e specificamente tale anche in relazione alle norme di comportamento dettate in tema di sorpasso dall’art. 148 C.d.S., che impone al conducente che intende sorpassare un altro veicolo di accertarsi preventivamente che la strada sia libera per uno spazio tale da consentire la completa esecuzione del sorpasso, portandosi sulla sua sinistra e superando l’altro mezzo sempre tenendosi ad una adeguata distanza laterale, così da non creare pericolo ad alcuno. Quel giudice ha conclusivamente ritenuto sfornita di substrato probatorio la tesi difensiva di un attraversamento della carreggiata da parte della vittima, tanto repentina quanto radicale nella sua entità, posto che la teste oculare, sentita in dibattimento, aveva dichiarato di ricordare solo uno spostamento da destra verso il centro della strada della bicicletta, senza riferimenti più precisi, laddove lo stesso imputato non aveva mai reso dichiarazioni sul punto, rimanendo contumace nel giudizio e di fatto rinunciando a fornire qualsiasi utile chiarimento. 3. Con i motivi del ricorso e, quindi, con il motivo unico esposto nella memoria successivamente depositata, la parte ha censurato la sentenza sotto tre distinti profili. Da un lato, si è rilevato che la Corte ha affermato in maniera generica ed apodittica che l’imputato avrebbe dovuto adottare tutte le cautele del caso prima di iniziare la manovra di sorpasso, senza specificare quali condotte e cautele omesse avrebbero potuto scongiurare l’evento, considerata l’accertata manovra di spostamento del ciclista a sinistra e la mancata ricostruzione della dinamica del sinistro, verifica indispensabile per individuare l’apporto causale delle condotte dei soggetti coinvolti, osservando altresì che, a fronte dell’accertata bassa velocità dell’autovettura, dell’insussistenza di divieti di sorpasso, della verificata manovra di spostamento a sinistra da parte del ciclista e della posizione di quiete dell’autovettura rinvenuta con l’angolo anteriore sinistro a ridosso del margine opposto della carreggiata, a massima distanza quindi dal velocipede , non vi era però la prova della traiettoria dei due mezzi, dell’entità della svolta impressa dal ciclista e della esatta ubicazione del punto d’urto. D’altro canto, la parte ha pure ritenuto insussistente la prova dell’elemento soggettivo del reato, sia con riferimento alla colpa generica che specifica, contestando la ricostruzione della dinamica dell’incidente, rispetto alla quale il giudice del gravame ha ritenuto di poter individuare il punto d’urto sulla scorta di rilievi planimetrici e della localizzazione della macchia ematica dovuta alla fuoriuscita di sostanza dal capo della vittima, macchia in realtà spazzata via dall’intervento dei passanti prima dell’arrivo della pattuglia, censurando, con riferimento agli altri dati probatori, la valutazione dell’apporto testimoniale della teste C.Z. , alla quale, nel corso dell’esame dibattimentale, erano state contestate, a causa della scarsa qualità dei suoi ricordi per un ictus cerebrale, le dichiarazioni rese nel corso delle indagini, da ritenersi queste pienamente utilizzabili. Più specificamene, secondo la parte ricorrente, sulla scorta delle prime dichiarazioni sarebbe stato accertato che il ciclista aveva intrapreso un vero e proprio attraversamento della carreggiata, laddove la Corte territoriale ha invece ritenuto processualmente utilizzabili solo le dichiarazioni rese in dibattimento con ciò violando il disposto di cui all’art. 512 del cod. proc. pen., essendo pacifico che il concetto di impossibilità di ripetizione degli atti ai sensi del citato articolo e la conseguente veicolazione nel dibattimento dei verbali delle prove raccolte nel corso delle indagini preliminari mediante semplice lettura, non è limitata alla mera impraticabilità materiale di reiterazione, ma si estende a tutti i casi in cui una dichiarazione non può essere utilmente assunta per le peculiari condizioni di salute del soggetto. Infine, con il motivo unico articolato con la successiva memoria, la parte ha dedotto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 6 della Convenzione E.D.U., essendo stata la sentenza assolutoria riformata in base ad una rivisitazione delle prove assunte in sede dibattimentale testimonianze T. e C.Z. ai fini della ricostruzione della dinamica del sinistro, delle quali il giudice del gravame ha fornito una diversa lettura senza disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, come costantemente ritenuto necessario invece dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. per garantire all’imputato un giusto processo secondo il dettato di cui all’art. 6 della Convenzione. 4. Nessuno dei motivi del ricorso è fondato. Va esaminato preliminarmente l’ultimo motivo articolato con la memoria successivamente depositata, attesa la natura della censura formulata. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, una interpretazione delle norme processuali conforme ai principi costituzionali recepiti nell’art. 111 della Costituzione e a quelli di matrice convenzionale elaborati dalla Corte di Strasburgo a tutela del diritto fondamentale dell’individuo ad avere un processo equo, secondo i dettami dell’art. 6 della Convenzione, non richiede l’automatica rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ogni volta che il giudice di seconda istanza sovverta un verdetto assolutorio. I principi richiamati dal ricorrente tra i quali certamente si collocano quelli formulati nella pronunce della Corte E.D.U., a partire dalla sentenza resa nel procedimento Dan c/ Moldova del 05/10/2011 e, a seguire, anche nelle sentenze Moinescu c/ Romania del 15/09/2015, Hogea c/ Romania del 29/10/2013 , infatti, sono stati recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte che ne ha però chiarito la portata. Si è così ritenuto, proprio con riferimento al principio che la Corte di Strasburgo ha affermato nella sentenza Dan c/ Moldova del 2011, per il quale il giudice di secondo grado, che - discostandosi dall’epilogo assolutorio della sentenza di primo grado intenda condannare l’imputato sulla base delle dichiarazioni di un teste già ascoltato in primo grado, ha l’obbligo di sentire nuovamente e personalmente il suddetto teste, che esso non trova applicazione qualora il giudice di appello non proceda ad una rivalutazione dell’attendibilità di una testimonianza, ma si limiti ad apprezzare le dichiarazioni rese alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice Sez. 5 n. 8423 del 16/10/2013 Ud. dep. 21/02/2014 , Rv. 258945 o allorché fondi il proprio convincimento su altri elementi di prova, in relazione ai quali la valutazione del primo giudice sia mancata o sia stata travisata Sez. 5 n. 16975 del 12/02/2014, Rv. 259843 . Tali principi sono stati più volte ribaditi e ad essi questa Corte intende conformarsi, ritenendo che, per esempio, per procedere ad una reformatio in peius della sentenza assolutoria di primo grado, il giudice del gravame non sia tenuto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale quando il primo giudice non ha negato l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni delle persone offese, ed egli, per affermare la penale responsabilità dell’imputato, deve limitarsi a fornire una lettura coerente e logica del compendio probatorio palesemente travisato nella decisione impugnata Sez. 3 n. 45453 del 18/09/2014, Rv. 260867 , non avendo l’obbligo di sentire nuovamente e personalmente il testimone, qualora non proceda ad una mera rivalutazione delle sue dichiarazioni, ma le apprezzi alla luce di ulteriori elementi trascurati dal primo giudice Sez. 5 n. 10965 dell’11/01/2013, Rv. 255223 . Questa stessa sezione, peraltro, si è allineata a tale intepretazione, conforme ai principi di matrice convenzionale, affermando che Il giudice di appello, qualora intenda riformare in peius una sentenza di assoluzione, è obbligato in base all’art. 6 CEDU - così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea del 5 luglio 2011 nel caso Dan c/ Moldavia - alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale per escutere, nel contraddittorio con l’imputato, i testimoni a carico quando la prova testimoniale abbia carattere di decisività ed il giudice di appello avverta la necessità di rivalutare l’attendibilità del teste. In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto legittima la reformatio in peius di una sentenza assolutoria per il delitto di tentata concussione, pur in assenza della escussione ex novo della persona offesa del reato, la rilettura delle cui dichiarazioni era stata legittimamente operata sulla base di altre prove testimoniali Sez. 4 n. 7597 dell’08/11/2013 Ud. dep. 18/02/2014 , Rv. 259127 . Nel caso di specie, la Corte bresciana ha fatto corretta applicazione di tali principi, atteso che la reformatio in peius della sentenza assolutoria è conseguita non già alla mera rivalutazione della prova orale acquisita in primo grado, ma alla valorizzazione delle dichiarazioni della teste C.Z. rese nel dibattimento e, quindi, nel pieno contraddittorio tra le parti , piuttosto che di quelle rese dalla donna a s.i.t Ciò toglie pregio anche al motivo di ricorso con il quale la parte ha sostanzialmente inteso far valere il meccanismo di recupero di cui all’art. 512 codice di rito, per il quale la norma tuttavia prevede che sia disposta la lettura di quegli atti, a richiesta di parte, allorché ne sia divenuta impossibile la ripetizione in dibattimento. Viceversa, nel caso di specie, in difetto di un’allegazione in tal senso, deve ritenersi che si sia proceduto alla semplice contestazione delle dichiarazioni rese dalla teste in sede di indagini preliminari, al fine di consentirle un agevole recupero dei ricordi, a suo dire compromessi da un evento patologico. Poiché non risulta alcuna dichiarazione di incapacità della teste, né invero detta condizione viene specificamente evocata nel ricorso tale non potendosi ritenere il rinvio alle difficoltà di tipo mnemonico giustificate dall’ictus cerebrale cha ha colpito la testimone , deve concludersi nel senso che le eventuali discrepanze nei ricordi, con specifico riferimento alla manovra di svolta approntata dal ciclista, valgono unicamente a saggiarne la attendibilità del riferito e la credibilità soggettiva, giudizio che, tuttavia, è stato svolto in maniera conforme dai giudici di primo e secondo grado. Sul punto, peraltro, questa Corte ha chiarito che Nel corso dell’esame dibattimentale del testimone e delle parti private può procedersi alla contestazione delle dichiarazioni rese in precedenza dai soggetti esaminati tutte le volte in cui queste ultime presentino difformità con le dichiarazioni dibattimentali, sia che in dibattimento il soggetto esaminato manifesti una conoscenza diversa, sia che riveli di non ricordare le vicende o i fatti sui quali aveva riferito in precedenza Sez. 2 n. 13927 del 04/03/2015, Rv. 264014 , e che In tema di valutazione della prova testimoniale, le dichiarazioni fornite dal testimone nel corso delle indagini preliminari e lette per le contestazioni ex art. 500 cod. proc. pen. - al di fuori dei casi di consenso delle parti o di violenza, minaccia o subornazione - possono essere valutate solo ai fini della credibilità dello stesso, ma mai come elemento di riscontro o come prova dei fatti in esse narrati, neppure quando il dichiarante, nel ritrattarle in dibattimento asserendone la falsità, riconosca di averle rese Sez. 3 n. 20388 del 17/02/2015, Rv. 264035 , senza che possa ritenersi nel sistema processuale un recupero delle dichiarazioni predibattimentali al di fuori dei meccanismi descritti dalle norme richiamate. La Corte d’appello ha, in sostanza, valutato l’apporto testimoniale della teste, ritenendo che nessuna improvvisa manovra di attraversamento della strada fosse stata posta in essere dalla vittima, diversa da una semplice deviazione a sinistra del velocipede, a causa di un ostacolo percepibile dall’automobilista. Ciò ha fatto sulla scorta del dichiarato della C.Z. , letto in uno con le obiettive risultanze degli accertamenti esperiti, sui quali ha ritenuto di dover rettificare la non corretta valutazione del primo giudice. Il riferimento è, in primo luogo, all’elemento rappresentato dai segni dell’impatto, rinvenuti proprio sulla fiancata destra dell’auto, all’altezza del sellino della bicicletta. La parte ricorrente non si è però confrontata con tale incontrovertibile dato, limitandosi a proporre una lettura degli elementi di prova in termini di inidoneità a consentire una affidabile ricostruzione della dinamica, inidoneità che, al contrario, con motivazione logica, coerente con i dati fattuali e scevra da contraddizioni, il giudice di secondo grado ha offerto a sostegno della riforma del verdetto assolutorio. Infondato è, infine, anche il primo motivo di ricorso, non rinvenendosi nella motivazione della sentenza impugnata i tratti di apoditticità segnalati in ricorso, avendo la Corte, al contrario, ampiamente motivato le sue conclusioni, sulla scorta dei dati fattuali e della testimonianza resa dalla C.Z. in dibattimento, ritenendo intanto indimostrata la manovra improvvisa del ciclista di attraversamento della strada, e provata la condotta colposa dell’imputato, il quale - a fronte del visibile restringimento della strada per la presenza del parcheggio e pur avendo avvistato la bicicletta - intraprendeva comunque la manovra di sorpasso senza tener conto del minor margine di azione del velocipede che rendeva prevedibile altresì il suo spostamento a sinistra, senza calcolare, quindi, una adeguata distanza che consentisse di effettuare la manovra in completa sicurezza. 5. Dalle considerazioni che precedono discende, pertanto, il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.