Pazienti maltrattati, infermiere sotto accusa. Domiciliari a rischio: in ballo la sindrome da burn-out lavorativo

Nessun dubbio sugli abusi compiuti dall’uomo. Inequivocabili i video realizzati all’interno della struttura dalle forze dell’ordine. Legittimo il provvedimento di sospensione per sei mesi, provvedimento che ha riguardato anche gli altri operatori e i vertici del ‘Centro’. Fragile invece la motivazione che ha portato addirittura agli arresti domiciliari. Per i Giudici, difatti, gli abusi compiuti nella struttura sono frutto di ‘burn-out’ lavorativo.

Infermiere sotto accusa per maltrattamenti ai danni di alcuni disabili. Legittima la sospensione. Non scontata, invece, la misura cautelare più dura, cioè gli arresti domiciliari Cassazione, sentenza n. 27405/16, sezione Sesta Penale, depositata oggi . Sospensione. Scene orribili, quelle filmate di nascosto dalle forze dell’ordine, all’interno di un ‘Centro’ per l’assistenza a persone affette da problemi psichiatrici. Per i pazienti botte e umiliazioni – fisiche e verbali – ogni giorno. Sotto accusa sia gli operatori che i vertici della struttura. Conseguente l’applicazione della sospensione per sei mesi dall’ esercizio del pubblico servizio . Per uno dei dipendenti – un infermiere professionale – viene però disposta una misura ancora più pesante, cioè gli arresti domiciliari . Decisione, questa, poggiata su una semplice considerazione bisogna evitare, secondo i Giudici, che l’uomo riproponga i comportamenti aggressivi e maltrattanti anche fuori del contesto lavorativo , magari in occasione di servizi offerti ai privati cittadini . Burn-out. Secondo il difensore dell’infermiere, però, è eccessivo il ricorso agli arresti domiciliari . Ciò soprattutto per una ragione non è stata dimostrata la propensione dell’uomo ad atti violenti . Che, peraltro, aggiunge il legale, erano attribuibili alla cosiddetta ‘sindrome da burn-out’ , cioè allo stress che colpisce in particolare le persone che esercitano professioni di aiuto . Questa obiezione viene ritenuta plausibile dai Giudici della Cassazione. Sia chiaro, non è in discussione la gravità indiziaria né la sussistenza di esigenze cautelari , alla luce dei comportamenti tenuti dall’uomo all’interno del ‘Centro’. Proprio per questo, però, appare sufficiente la misura cautelare adottata in origine, cioè la sospensione dall’esercizio di un pubblico servizio per sei mesi , con consequenziale interdizione da qualsiasi attività nella struttura dove si sono verificati i maltrattamenti . Generico il richiamo a un possibile futuro impiego dell’infermiere a favore di privati cittadini . Peraltro, va anche tenuto presente, aggiungono i Magistrati del ‘Palazzaccio’, che i gravi fatti addebitati sembrano strettamente dipendenti dagli stimoli e dai condizionamenti connessi all’ambiente lavorativo . Anche per i Giudici, come già per il legale, pare corretto valutare i comportamenti violenti dell’ infermiere come frutto di ‘burn-out’, ossia di uno stato patologico che si verifica in individui che svolgono professioni di aiuto e – spiega l’Enciclopedia ‘Treccani’ – in figure professionali che devono sostenere in modo adeguato il proprio stress psico-emotivo e quello della persona assistita”. Di questo elemento dovranno tenere conto i Giudici del Tribunale per decidere sulla necessità di obbligare l’infermiere agli arresti domiciliari .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 giugno – 4 luglio 2016, n. 27405 Presidente Rotundo – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto 1. Il difensore di R.C. ha proposto ricorso per Cassazione contro l'ordinanza 10/3/ 2016 con la quale il Tribunale di CAGLIARI, in sede di appello dei pubblico ministero contro l'ordinanza applicativa del Gip della misura cautelare della sospensione dall'esercizio del pubblico servizio, aveva disposto la misura degli arresti domiciliari. 1.2 Il C. è sottoposto ad indagine per i reati di maltrattamenti e lesioni personali. 2. Il difensore ha dedotto un unico motivo di ricorso relativo alle esigenze cautelari l'indagato era incensurato e il Tribunale non aveva adeguatamente spiegato perché la propensione ad atti violenti manifestata dal ricorrente nel corso della attività lavorativa, attribuibili alla c.d. Sindrome di Burnout caratterizzata dallo stress che colpisce in particolare le persone che esercitano professioni di aiuto, avrebbe potuto estendersi anche ad un contesto esterno e alla vita di relazione dei C. e perché la misura originariamente disposta fosse inadeguata ed inidonea a tutelare le ragioni di cautela individuate dal Giudice, così che il livello di pericolo non poteva ritenersi, nel caso in esame, dotato della necessaria attualità. Considerato in diritto 1. L'ordinanza impugnata va annullata sul punto delle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di CAGLIARI per nuovo giudizio. 2. Oggetto specifico dei ricorso per Cassazione, come si è anticipato più sopra, è quello della adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal Tribunale di Cagliari, dato che non è in discussione né la sussistenza della gravità indiziaria né quella della effettiva sussistenza di esigenze cautelari ex art. 274 lett. c cod. proc. pen. nella loro concretezza ed attualità. 2.1 La motivazione della ordinanza impugnata ha rinvenuto i citati requisiti di adeguatezza e proporzionalità nella necessità di impedire che il ricorrente, già sottoposto dal Gip alla misura cautelare della sospensione dall'esercizio di un pubblico servizio per la durata di sei mesi e quindi sostanzialmente interdetto da qualsiasi attività all'interno della struttura AIAS di Decimomannu dove i maltrattamenti si sono verificati, iteri comportamenti aggressivi e maltrattanti al di fuori del contesto lavorativo, in particolare al servizio di privati o addirittura al di fuori di qualsiasi attività lavorativa. 2.2 In realtà, la motivazione data dalla Corte cagliaritana, sul punto specifico della idoneità dei soli arresti domiciliari a tutelare convenientemente le esigenze cautelari ex art. 274 lett. c cod. proc. pen. ritenute sussistenti nel caso al suo esame, appare sostanzialmente apodittica e fondata su considerazioni di fatto ipotetiche e non dimostrate infatti, l'accenno alla circostanza che il ricorrente potrebbe, in via del tutto teorica, ripetere la sua condotta maltrattante su pazienti privati o anche in un contesto non lavorativo, è sganciato da qualsiasi concreta ed attuale connotazione di fatto che lo giustifichi e si colloca piuttosto nell'ambito della mera possibilità astratta dal momento che non è allegata nessuna indicazione effettiva #rcirca un possibile, futuro impiego del C. a favore di privati, il tutto poi senza considerare che i gravi fatti di maltrattamento addebitati al ricorrente sembrano strettamente dipendenti, come osservato dalla difesa, dagli stimoli e dai condizionamenti connessi all'ambiente lavorativo in cui gli stessi sono maturati, dato che il ricorrente è persona priva di qualsiasi controindicazione di carattere penale in tema di atti aggressivi e violenti contro l'incolumità personale. 2.3 In conclusione, quindi, il Tribunale dei rinvio accerterà, sulla base delle considerazioni che sono state svolte più sopra in tema di adeguatezza e proporzionalità, se il pericolo cautelare ex lett. c dell'art. 274 cod. proc. pen., pur concreto ed attuale, deva comunque essere soddisfatto con la misura cautelare in corso di esecuzione o se possa trovare adeguata tutela in misure cautelari meno restrittive della libertà personale, sulla base del noto principio del minore sacrificio necessario che impone al Giudice di scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a tutelare le esigenze cautelari dei caso Cass. Sez. 6 del 22/9/2011 n. 36265 . P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di CAGLIARI.