Per accedere ai rimedi risarcitori non è necessario che il grave pregiudizio all’esercizio dei diritti sia anche attuale

La sentenza in commento, davvero ben articolata e argomentata, ha posto – si spera – definitivamente fine ad una serie di inaccettabili prassi applicative ed interpretative della riforma” dell’ordinamento penitenziario mirante a garantire una effettiva tutela delle condizioni di umanità nell’esecuzione della pena detentiva.

In tal senso, Corte di Cassazione sentenza n. 25180/16, depositata il 16 giugno. Vista l’importanza della decisione, conviene procedere con ordine. Il caso. Un detenuto aveva lamentato avanti al magistrato di sorveglianza di aver subito un trattamento inumano e, quindi, aveva chiesto una riduzione della pena ex art. 35- ter ord. pen Il giudice, tuttavia, aveva dichiarato de plano l’inammissibilità del ricorso, sostenendo che mancava l’attualità del pregiudizio, essendo venute meno, al momento della presentazione del ricorso, le condizioni inumane” lamentate. L’interessato ha così proposto ricorso per cassazione, evidenziando l’invalidità del provvedimento sia per violazione del contraddittorio sia per la sussistenza dei presupposti di riferimento. Diritti dei detenuti. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, sottolineando innanzi tutto che per la disciplina dell’art. 35- ter ord. pen. si deve aver riguardo al modello procedimentale ex art. 35- bis ord. pen. e, dunque, a quello previsto ex artt. 666 e 678 c.p.p Se così è, il magistrato, salvo i casi di manifesta infondatezza, deve procedere nel contraddittorio delle parti. Nella specie, a detta della Corte, mancava il requisito della manifesta infondatezza”, dovendosi considerare che la richiesta è manifestamente infondata qualora difettino ictu oculi le condizioni di legge ovvero costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata e basata sui medesimi elementi. Infatti, nel caso in questione, il giudice non si era limitato ad una presa d’atto” delle condizioni di legge , ma aveva operato una serie di accertamenti e di valutazioni discrezionali, avendo proceduto ad una seppur preliminare istruttoria in assenza del contraddittorio, essendosi basato sulle informazioni fornite dal competente Provveditorato. Si è poi osservato che avverso il provvedimento di inammissibilità adottato de plano dal Magistrato di Sorveglianza unico mezzo di impugnazione [è] solo il ricorso per cassazione e non il reclamo al Tribunale di Sorveglianza nel contraddittorio delle parti, per la ragione evidente che la declaratoria di inammissibilità de plano adottata eventualmente fuori dai casi previsti impone che la richiesta venga esaminata dal magistrato nel giudizio partecipato di primo grado, recuperando il contraddittorio espressamente previsto, e non dinanzi al tribunale saltando un grado di merito . Del resto, ha continuato la Corte, se l’unico rimedio fosse quello di proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza a fronte di una palese e radicale violazione del contraddittorio, dovrebbe, giocoforza, riconoscersi che il giudice collegiale sarebbe comunque tenuto a provvedere ai sensi dell’art. 604 comma 4 c.p.p., dichiarando la nullità del provvedimento di primo grado, rimettendo le parti avanti al Magistrato di Sorveglianza, con inutile dispendio di tempo . Fatte queste premesse, la Suprema corte ha da ultimo evidenziato come la ratio complessiva delle modifiche, tra le quali la disciplina dei particolari rimedi risarcitori di cui all’art. 35- ter ord. pen., va rintracciata nel rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione della legalità della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell’autorità giurisdizionale” , sicché pur avendo il legislatore ricondotto il pregiudizio derivato al detenuto dalle condizioni inumane e degradanti della carcerazione a quello più generale dell’esercizio dei diritti del soggetto ristretto, derivante dall’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dall’ordinamento penitenziario, ciò non autorizza a ritenere che le caratteristiche di gravità” e di attualità” del pregiudizio costituiscano presupposto essenziale per accedere al rimedio risarcitorio compensativo . Infatti, se le competenze del Magistrato di Sorveglianza venissero meno nel momento in cui vengono rimosse le condizioni di carcerazione causa del pregiudizio risarcibile, sarebbe arduo in base alla lettera della norma individuare il giudice al quale il soggetto ancora detenuto si debba rivolgere per ottenere il rimedio compensativo del pregiudizio cessato, posto che il comma 3 dell’art. 35- ter ord. pen. espressamente attribuisce la competenza del giudice civile per le richieste di coloro che hanno terminato di espiare la pena detentiva. E sarebbe difficilmente difendibile una soluzione che congeli eventualmente per anni la possibilità di indennizzare chi ha subito un trattamento contrario al senso di umanità” . Da qui la conclusione per cui il richiamo contenuto nell’art. 35- ter comma 1 c.p.p. al pregiudizio di cui all’art. 69 comma 6 lett. b individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto ed al modello procedimentale applicabile, ma non può essere riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessaria attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione . Se così è, il provvedimento impugnato non poteva che essere cassato. Conclusioni. La decisione in oggetto è davvero tranquillizzante, poiché ha espresso con dovizia e cura sistematica oltre che esegetica il senso della disciplina compensativa dell’art. 35- ter ord. pen. Non vi è, dunque, molto da aggiungere e da sottolineare, se non segnalare come sia ancora dura da vincere una certa ritrosia burocratica contro strumenti che siano volti a garantire l’effettività delle condizioni umane di carcerazione. Inoltre non può stupire come su una materia del genere, vi siano giudici che, de plano e dunque senza contraddittorio, ritengono di poter legittimamente dichiarare come inammissibili richieste di giustizia fondate su così gravi ragioni. Ma di ciò, in fondo, non bisogna preoccuparsi molto. Del resto, il principio del contraddittorio così come quello della dignità della persona umana ancorché condannata rappresentano i riferimenti dello sviluppo dell’intero sistema penale e i baluardi a cui aggrapparsi allorché la legge o la prassi mirino ad oltrepassare il segno della ragione e della ragionevolezza. Costa fatica il giudicare ed il giudicare bene richiede tempo ed il tempo prima o poi restituisce dignità e valore alle cose ma soprattutto alle persone.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 9 febbraio – 16 giugno 2016, n. 25180 Presidente Bonito – Relatore Casa Ritenuto in fatto l. Con decreto del 6.2.2015, il Magistrato di Sorveglianza di Mantova dichiarava inammissibile, ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., il reclamo con il quale F.A., detenuto presso la Casa di Reclusione di Milano, aveva chiesto il risarcimento in forma specifica della riduzione della pena da espiare per le condizioni inumane di detenzione ai sensi dell'art. 35-ter legge n. 354 del 1975, introdotto dall'art. 1 d.l. n. 92 del 2014 convertito nella legge n. 117 del 2014. Riteneva, a ragione, che la tutela risarcitoria azionabile dal detenuto era ancorata dal legislatore alla ricorrenza di un pregiudizio attuale, ossia in atto al momento della presentazione della domanda, grave e derivante da inosservanza di disposizioni dell'ordinamento penitenziario. Che, quindi, la pregressa e cessata detenzione delle condizioni degradanti della persona attualmente detenuta trovava tutela esclusiva in sede civile ordinaria ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., non ricorrendo la competenza speciale dei giudice civile indicata all'art. 35-ter, comma 3, Ord. Pen. per i casi di intervenuta cessazione dello stato detentivo. Rilevava, quindi, che, nella specie, il F., alla data della richiesta, non era più detenuto in condizioni di sovraffollamento, atteso che nei suoi confronti risultavano rispettati i parametri di superficie detentiva di tre metri quadri pro capite. Le ulteriori doglianze, per la loro genericità, non consentivano all'amministrazione di svolgere adeguate controdeduzioni. Nel caso in esame, pertanto, la mancanza di un requisito necessario per l'accoglimento della domanda attualità del pregiudizio determinava l'inammissibilità del reclamo. 2. Ricorre l'interessato, personalmente, denunciando violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all'art. 35-ter Ord. Pen., con riferimento sia alla ritenuta necessità del presupposto dell'attualità per il risarcimento in forma specifica, sia alla valutazione sulla quale il Magistrato di sorveglianza ha fondato l'esclusione delle condizioni degradanti con riguardo alla detenzione in corso ossia, basandosi esclusivamente sulle informazioni fornite dal Provveditorato Regionale della Lombardia . Inoltre, il ricorrente assume che, ove sussista un contrasto di giurisprudenza circa l'accoglimento della richiesta, non può esservi alcuna carenza certa delle condizioni di legge e la relativa questione deve, pertanto, essere affrontata nel contraddittorio delle parti. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto qualificarsi il ricorso come reclamo con trasmissione degli atti al Tribunale di Sorveglianza di Brescia. Considerato in diritto 1. Tema preliminare è quello di rito relativo all'individuazione dello statuto da seguire, in caso di istanza reclamo risarcitoria dinanzi al Magistrato di Sorveglianza, ai sensi dell'art. 35-ter, commi 1 e 2, Ord. Pen La questione è già stata affrontata da questa Corte Sez. 1, n. 46966 del 16/7/2015, Koleci Sez. 1, n. 46966 del 16/7/2015, dep. 12/1/2016, n. 876, Ruffolo Sez. 1, n. 2228 del 16/7/2015, dep. 12/1/2016, n. 874, Tripi , che ha elaborato i principi che si passa a riassumere. 1.1. La norma testé richiamata, introdotta dall'art. 1 d.l. n. 92 del 2014, convertito nella legge n. 117 del 2014, contempla i rimedi risarcitori per violazione dell'art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo nei confronti dei detenuti e degli internati. In essa si prevede la riduzione di un giorno di pena per ogni dieci giorni di detenzione non conforme all'indicata fonte convenzionale ovvero l'attribuzione della somma di 8,00 euro per ogni giorno di detenzione, egualmente patita nelle indicate condizioni. La riduzione della pena è disposta dal Magistrato di Sorveglianza comma 1 art. 35-ter L. 26 luglio 1975, n. 354 . Solo nel caso in cui la sanzione detentiva residua non consenta la detrazione nella misura prevista o in ipotesi di pregiudizio inferiore a quindici giorni è prevista la liquidazione della somma indicata comma 2 . Al Giudice civile è rimessa la cognizione sulle domande di risarcimento diverso da quello in forma specifica comma 3 . 1.1.1. Posto che l'art. 35-ter disciplina specificamente soltanto il procedimento per il risarcimento di competenza del giudice civile di cui al comma 3, per quello attribuito al Magistrato di Sorveglianza si deve ritenere - come anche la dottrina ha affermato - che il modello procedimentale sia quello previsto per il reclamo giurisdizionale di cui all'art. 35-bis Ord. Pen., introdotto con il d.l. n. 146 del 2013, convertito con legge n. 10 del 2014. In tal senso, del resto, milita anche il rinvio del comma 1 della disposizione in esame all'art. 69, comma 6, Ord. Pen., come modificato dal predetto d.l., secondo il quale il Magistrato di Sorveglianza applica il procedimento di cui all'art. 35-bis per decidere sui reclami dei detenuti ed internati relativi alle condizioni di esercizio del potere disciplinare ed ai pregiudizi all'esercizio di diritti che derivino dalla inosservanza da parte dell'amministrazione penitenziaria di disposizioni dell'ordinamento penitenziario. D'altro canto, il modello del reclamo giurisdizionale introdotto con l'art. 35-bis, che si svolge secondo le cadenze degli artt. 666 e 678 cod. proc. pen., appare, invero, sotto il profilo logico-sistematico, conforme alla ratio che complessivamente sottende alla introduzione del rimedio compensativo nella forma specifica della riduzione della pena da espiare, volto alla effettiva e congrua riparazione dei pregiudizio per inumano trattamento detentivo in violazione dell'art. 3 della convenzione EDU. E' stato giustamente osservato come, nonostante il richiamo all'art. 678 cod. proc. pen., lo schema procedimentale dei reclamo giurisdizionale introdotto con l'art. 35-bis Ord. Pen. si distingua dal procedimento di sorveglianza in senso stretto, caratterizzato, tra l'altro, dalla procedibilità di ufficio, mentre quello in esame prende avvio con il reclamo dell'interessato che, pur non richiedendo una forma specifica, deve indicare almeno cosa chiede petitum e perché causa petendi . Il primo comma, poi, prevede in maniera inequivoca che Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., il Magistrato di Sorveglianza fissa l'udienza e ne fa dare avviso anche all'amministrazione interessata che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste . Tra le peculiarità del procedimento disciplinato dall'art. 35-bis Ord. Pen., quindi, vi è, certamente, la previsione dei doppio grado di giudizio di merito nel contraddittorio delle parti difatti, la decisione sul reclamo deve essere adottata dal Magistrato di Sorveglianza all'esito dell'udienza nel contraddittorio delle parti e, al comma 4, è prevista l'impugnazione di tale decisione attraverso il reclamo al Tribunale di Sorveglianza, introdotto in sede di conversione dei d.l. n. 146 dei 2013 in luogo della sola ricorribilità per cassazione, normalmente prevista salvo casi specifici come per l'applicazione delle misure di sicurezza, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere per i provvedimenti del Magistrato di Sorveglianza assunti all'esito di procedimento in contraddittorio. 1.1.2. La descritta cadenza processuale introdotta dall'art. 35-bis Ord. Pen. e la scelta legislativa dei contraddittorio nel doppio grado di merito impongono di considerare come la possibilità per il Magistrato di Sorveglianza di emettere un provvedimento fuori dal modello partecipato sia limitata alla sola eccezione prevista dallo stesso art. 35-bis, comma 1, Ord. Pen., laddove fa salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell'art. 666 comma 2 cod. proc. pen. . Quindi, soltanto nei casi in cui risulti che la richiesta è manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge ovvero costituisce mera riproposizione di una richiesta già rigettata, basata sui medesimi elementi , il Magistrato di Sorveglianza potrà dichiarare con decreto de plano il reclamo inammissibile. Come è stato già affermato da Sez. 1, n. 43722 dell'11/6/2015, Salierno, - sia pure pervenendo a diverse conclusioni quanto al regime impugnatorio - l'esercizio da parte del Magistrato di Sorveglianza del potere di cui all'art. 666, comma 2, cod. proc. pen. deve essere limitato alle ipotesi in cui la presa d'atto dell'assenza delle condizioni di legge non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali. Si è, infatti, richiamato in proposito l'orientamento consolidato secondo il quale la dichiarazione di inammissibilità risulta possibile solo quando facciano difetto nell'istanza i requisiti posti direttamente dalla legge che non implicano alcuna valutazione discrezionale Sez. 1, n. 277 del 13/1/2000, Rv. 215368 . Con riferimento al rimedio del reclamo giurisdizionale in esame, che ha riguardo alla materia della violazione dei diritti, anche la dottrina ha avvertito dei pericolo che la ricognizione dei presupposti di ammissibilità della domanda involga una implicita valutazione del merito con la adozione di provvedimenti di sostanziale rigetto in assenza della esplicazione del regolare contraddittorio che l'art. 35-bis Ord. Pen. impone. Di tal che, la carenza delle condizioni di legge deve essere rilevabile ictu oculi, non deve comportare valutazioni discrezionali, né valutazioni negative fondate su argomentazioni complesse o rese opinabili da possibili differenti ricostruzioni della situazione di fatto posta a base della richiesta . Infatti, l'anticipazione alla fase del vaglio preliminare di ammissibilità di una decisione sostanzialmente nel merito sull'istanza violerebbe il contraddittorio che nei procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, laddove prevista, garantisce il diritto di partecipazione dell'interessato finalizzato alla possibilità di prospettare le proprie opzioni nella dialettica tra le parti. 1.2. Le peculiarità ed i limiti evidenziati della pronuncia di inammissibilità ai sensi dell'art. 666, comma 2, cod. proc. pen., sono coerenti con il mezzo di impugnazione che la norma indica nel ricorso per cassazione ed il rinvio espresso del comma i dell'art. 35-bis Ord. Pen. all'art. 666, comma 2, cod. proc. pen. non può che operare anche sotto tale profilo. Avverso il provvedimento di inammissibilità adottato de plano dal Magistrato di Sorveglianza - ad avviso del Collegio - unico mezzo di impugnazione potrà essere il ricorso per cassazione e non il reclamo al Tribunale di Sorveglianza nel contraddittorio delle parti, per la ragione evidente che la declaratoria di inammissibilità de plano adottata eventualmente fuori dai casi previsti impone che la richiesta venga esaminata dal magistrato nel giudizio partecipato di primo grado, recuperando il contraddittorio espressamente previsto, e non dinanzi al tribunale saltando un grado di merito. I medesimi argomenti sono stati posti a fondamento di analoghe decisioni di questa Corte sul punto Sez. 1, n. 35840 del 14/5/2015, Manrique Sanchez Josue Ismael Sez. 1, n. 45376 del 12/6/2015, Giordano Sez. 1, n. 47480 del 16/7/2015, Manfra . E' stato, in specie, rilevato con la prima delle citate sentenze - dando conto anche di precedenti decisioni parzialmente diverse - che l'analisi in via sistematica dell'art. 35-bis Ord. Pen. induce a ritenere che la previsione del reclamo al Tribunale di Sorveglianza riguardi soltanto le decisioni assunte dall'ufficio di sorveglianza che si sia pronunciato sul merito del reclamo, accogliendolo o respingendolo, e che la declaratoria di inammissibilità sia contestabile unicamente mediante ricorso per cassazione e ciò in coerenza con la previsione più generale dell'art. 666 cod. proc. pen. comma 2, richiamata nella sua interezza e senza eccezioni di sorta dal primo comma dell'art. 35-bis. Tale lettura, oltre a rispettare la formulazione testuale ed il significato logico del richiamo all'art. 666, offre il vantaggio di assicurare alle parti la possibilità di uno scrutinio di merito, esteso a tutte le questioni coinvolte ed articolate in due successivi gradi innanzi a giudici dotati di pieni poteri di cognizione sul fatto quando la decisione si sia addentrata in tali profili, mentre quando si sia limitata al riscontro immediato e formale d'inammissibilità siffatto raddoppio del sindacato di merito non è necessario ed è esperibile il solo controllo di legittimità . D'altronde, se si seguisse la tesi secondo la quale anche in caso di provvedimento illegittimamente emesso de plano l'unico rimedio è il reclamo di merito al Tribunale di Sorveglianza, a fronte di una patente e radicale violazione del contraddittorio, dovrebbe, giocoforza, riconoscersi che il giudice collegiale sarebbe comunque tenuto a provvedere ai sensi dell'art. 604, comma 4, cod. proc. pen., dichiarando la nullità del provvedimento di primo grado, rimettendo le parti davanti al Magistrato di Sorveglianza, con inutile dispendio di tempo. Per dette ragioni il ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità del reclamo proposto ai sensi degli artt. 35-bis e 35-ter Ord. Pen. emesso dal magistrato di sorveglianza ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen. - quale è quello in oggetto - non può essere qualificato reclamo ai sensi dei comma 4 dell'art. 35-bis Ord. Pen. con trasmissione degli atti al Tribunale di Sorveglianza, come richiesto dal Procuratore Generale. 2. Passando, quindi, all'esame delle censure mosse attraverso il ricorso per cassazione, con il decreto impugnato il Magistrato di sorveglianza di Mantova ha dichiarato inammissibile de plano il reclamo proposto dal F. per ottenere il risarcimento in forma specifica ai sensi dell'art. 35-ter Ord. Pen. ritenendo la insussistenza delle condizioni inumane e degradanti relativamente alla detenzione in corso presso la Casa di reclusione di Milano alla luce delle informazioni fornite dal Provveditorato Regionale della Lombardia con nota del 7.1.2015, da cui si evince che, in quella regione, l'effettivo allineamento dei dati relativi alla metratura delle camere detentive e alla ubicazione dei singoli detenuti è avvenuta a partire da maggio 2014 e ha permesso di azzerare le situazioni in cui la disponibilità di spazio per ciascun detenuto era inferiore ai tre mq . In conseguenza di detta valutazione, il Magistrato di Sorveglianza ha affermato che, al momento della domanda del detenuto, certamente il pregiudizio lamentato non era attuale e tanto escludeva l'azionabilità dei rimedio risarcitorio compensativo di sua competenza, ai sensi dell'art. 35-ter, comma 1, Ord. Pen., in relazione all'art. 69 comma 6 lett. b . 3. Ricorre, ad avviso del Collegio, la violazione di legge denunciata dal ricorrente sotto due distinti profili. 3.1. Si deve rilevare, in primo luogo, che il Magistrato di Sorveglianza ha affermato la mancanza dell'attualità del pregiudizio del detenuto causato da condizioni di detenzione in violazione dell'art. 3 della Convenzione EDU procedendo alla valutazione nel merito di specifici elementi - come innanzi sintetizzati - acquisiti dalle informazioni fornite dal competente Provveditorato, e svolgendo, quindi, una, sia pure preliminare, istruttoria in assenza dei contraddittorio e, pertanto, con modalità non consentita per le ragioni che sono state indicate al punto precedente avuto riguardo allo schema procedimentale richiesto dall'art. 35-bis Ord. Pen La mancanza di un presupposto di legge, ipotizzato come necessario per procedere ai sensi dell'art. 35-ter, comma 1 Ord. Pen., non era, infatti, percepibile ictu oculi dalla domanda avanzata dal detenuto, con conseguente illegittimità della declaratoria di inammissibilità pronunciata dal Magistrato di Sorveglianza ex art. 666, comma 2, cod. proc. pen Tanto basterebbe a determinare l'annullamento del decreto impugnato. 3.2. Ciò nondimeno, la Corte ritiene non corretta l'opzione interpretativa che conduce alla esclusione dei rimedio risarcitorio di competenza del Magistrato di Sorveglianza, disciplinato dai commi 1 e 2 dell'art. 35-ter Ord. Pen., per coloro che in costanza di detenzione lamentino il pregiudizio derivante da condizioni di carcerazione inumane in violazione dell'art. 3 della CEDU non più attuali. Essa non risulta conforme, sotto il profilo logico-sistematico, alle finalità proprie delle disposizioni introdotte dal legislatore in materia di ordinamento penitenziario nel 2013 e 2014, per porre termine alle condizioni di espiazione delle pene detentive ritenute in contrasto con la Convenzione dei diritti dell'uomo secondo le indicazioni della Corte EDU a partire dai casi S. e T. , per risarcire i pregiudizi derivati da tali condizioni e, più in generale, per realizzare un sistema di tutela dei diritti dei soggetti ristretti con maggiori caratteristiche di effettività e tempestività rispetto a quello esistente, sia pure modulato ed applicato secondo i correttivi interventi della Corte costituzionale e, in specie, della sentenza n. 26 del 1999. La ratio complessiva delle modifiche, tra le quali la disciplina dei particolari rimedi risarcitori di cui all'art. 35-ter Ord. Pen., va rintracciata - come è stato indicato da questa Corte Sez. 1, n. 43722 dell'11/6/2015, Salierno - nel rafforzamento complessivo degli strumenti tesi alla riaffermazione della legalità della detenzione con estensione dei poteri di verifica e di intervento dell'autorità giurisdizionale . Ma l'individuazione nell'attualità del pregiudizio del discrimine tra la competenza dei Magistrato di Sorveglianza comma 1 e 2 art. 35-ter e quella dei giudice civile comma 3 e, quindi, tra possibilità di ottenere il rimedio compensativo in forma specifica della riduzione delle pena da espiare, ovvero solo quello pecuniario, non trova sufficiente fondamento neppure sul piano dell'interpretazione letterale della norma. Pur avendo il legislatore ricondotto il pregiudizio derivato al detenuto dalle condizioni inumane e degradanti della carcerazione a quello più generale dell'esercizio dei diritti dei soggetto ristretto, derivante dall'inosservanza da parte dell'amministrazione di disposizioni previste dall'ordinamento penitenziario, attraverso il richiamo espresso del comma 1 dell'art. 35-ter all'art. 69, comma 6, lett. b , Ord. Pen., ciò non autorizza a ritenere che le caratteristiche di gravità e attualità del pregiudizio indicate da tale ultima norma costituiscano presupposto essenziale per accedere al rimedio risarcitorío compensativo che può essere richiesto dal detenuto al Magistrato di Sorveglianza a norma dei commi 1 e 2 dell'art. 35-ter Ord. Pen E' stato, innanzitutto, rilevato che il rinvio al pregiudizio di cui all'art. 69, comma 6, lett. b , Ord. Pen., oltre ad essere menzionato esplicitamente al comma 1 dell'art. 35-ter, si riflette anche sul comma 3 con il richiamo al pregiudizio di cui al comma 1 , ancorché sia evidente che la condizione detentiva inumana e degradante risarcibile attraverso la azione dinanzi al giudice civile non possa essere attuale. Così come, pur essendo chiara la indicazione della competenza del Magistrato di Sorveglianza, il risarcimento di un pregiudizio inferiore a quindici giorni di cui al comma 2 non potrebbe mai essere attuale al momento della decisione. Se la competenza del Magistrato di Sorveglianza venisse meno nel momento in cui vengono rimosse le condizioni di carcerazione causa dei pregiudizio risarcibile, sarebbe arduo in base alla lettera della norma individuare il giudice al quale il soggetto ancora detenuto si debba rivolgere per ottenere il rimedio compensativo dei pregiudizio cessato, posto che il comma 3 dell'art. 35-ter Ord. Pen. espressamente attribuisce la competenza al giudice civile per le richieste di coloro hanno terminato di espiare la pena detentiva. E - come è stato efficacemente rimarcato da parte della dottrina - sarebbe difficilmente difendibile una soluzione che congeli eventualmente per anni la possibilità di indennizzare chi ha subito un trattamento contrario al senso di umanità . Una simile interpretazione, all'evidenza, esporrebbe la norma a rilievi per violazione dei principi convenzionali e costituzionali, ma ad essi non si sottrarrebbe neppure la tesi - sostenuta nel provvedimento impugnato, ma comunque sganciata dalla interpretazione letterale della norma - secondo la quale, venuta meno l'attualità dei pregiudizio e, con essa, la competenza del Magistrato di Sorveglianza, si radicherebbe quella dei giudice civile. Detta ipotesi esclude, certamente, che il detenuto possa ottenere il risarcimento nella forma specifica della diminuzione della pena da espiare e lascerebbe spazio a non pochi dubbi circa le forme e modalità di intervento dei suddetto giudice, proprio tenuto conto delle limitate ipotesi cui si riferisce lo specifico procedimento dinanzi al tribunale in composizione monocratica, ai sensi dell'art. 737 cod. proc. civ., disciplinato dal comma 3 dell'art. 35-ter Ord. Pen Come è stato già condivisibilmente rilevato da questa Corte con la richiamata sentenza n. 43722 dell'al/6/2015 , l'essenziale caratteristica della introduzione dei rimedio di cui alla disposizione in esame è rappresentata dalla finalità compensativa risarcitoria e, quindi, da un quid pluris rispetto alla ordinaria inibizione della prosecuzione dell'inosservanza da parte dell'amministrazione delle regole in funzione della realizzazione del diritto negato o compromesso cui è finalizzato il reclamo giurisdizionale in genere. Indiscussa la compatibilità dei due rimedi, inibitorio e risarcitorio, mentre l'attualità del pregiudizio è condizione connaturata al reclamo di cui all'art. 69, comma 6, Ord. Pen. in ragione della correlazione con la tipologia di tutela art. 35-bis comma 3 non è presupposto necessario quando il reclamo è volto ad ottenere quegli effetti compensativi che garantiscono una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione EDU derivanti dal sovraffollamento richiesti dalla Corte EDU nella sentenza pilota T. v. per l'efficace sintesi del comando di legislazione così impartito, Corte cost. n. 279 del 2013, p. 7 che il legislatore ha voluto attuare con predeterminazione del quantum e, in via prioritaria, in forma per così dire specifica con la riduzione della durata della pena ancora da espiare nella misura di un giorno per ogni dieci di pregiudizio sofferto, rimedio che presuppone soltanto, ma necessariamente, la detenzione in atto. Sia l'interpretazione letterale che quella sistematica della norma devono, quindi, condurre a ritenere che il richiamo contenuto nell'art. 35-ter, comma 1, Ord. Pen. al pregiudizio di cui all'art. 69, comma 6, lett. b , individua la categoria del reclamo relativo alla violazione dei diritti inviolabili del detenuto ed al modello procedimentale applicabile, ma non può essere riferito ai presupposti del pregiudizio in termini di necessaria attualità al momento della domanda e, ancor meno, della decisione in termini, Sez. 1, n. 46967 del 16/7/2015, Mecikian . 4. Per tutte le ragioni indicate il provvedimento impugnato, quindi, deve essere annullato senza rinvio e gli atti devono essere trasmessi al Magistrato di sorveglianza di Mantova per la trattazione della richiesta nel contraddittorio delle parti ai sensi dell'art. 35-bis, comma 1, Ord. Pen P.Q.M. Annulla senza rinvio il decreto impugnato e dispone la trasmissione degli atti al Magistrato di Sorveglianza di Mantova.