Mantenimento versato in misura ridotta alla moglie: non scontata la condanna dell’uomo

Per alcuni mesi il marito ha improvvisamente tagliato l’assegno da consegnare alla consorte 800 euro, e non i 4mila euro previsti. Condotta inequivocabile, eppure non sufficiente, cifre alla mano, per ritenere che alla famiglia dell’uomo siano mancati i mezzi di sussistenza.

Taglio drastico all’assegno di mantenimento. Per alcuni mesi l’uomo versa alla moglie solo 800 euro, non i 4mila euro previsti. Ciò, però, non è sufficiente per ritenerlo colpevole di aver fatto mancare la necessaria assistenza alla propria famiglia Cassazione, sentenza n. 23010, sezione Sesta Penale, depositata il 31 maggio 2016 . Assegno. Linea dura, quella adottata dai giudici sia in Tribunale che in Corte d’appello a prescindere dalle cifre in ballo, l’uomo – in qualità di padre e marito separato – viene condannato a due mesi di reclusione e 200 euro di multa . Egli è ritenuto colpevole di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie e ai due figli minori . Elemento centrale, e non in discussione, è la scelta consapevole di versare per alcuni mesi alla coniuge un assegno di mantenimento ridotto 800 euro invece dei previsti 4mila euro. Altrettanto certa è la ampia disponibilità economica dell’uomo egli ha goduto in passato di un reddito elevato, pari a 180mila euro ha scelto di non svincolare il ‘Tfr’ maturato dal ‘Fondo pensioni’ ha costituito nuove società di consulenza , dopo la cessazione del rapporto di lavoro . E, non a caso, ha anche provveduto a rimediare ai propri errori, pagando tutto il debito pregresso nei confronti della consorte . Bisogno. Resta, però, un aspetto ancora da chiarire, cioè la circostanza dello stato di sussistenza della moglie e dei figli minori . Su questo fronte, difatti, i Magistrati evidenziano la riduzione del mantenimento si era verificata per soli 7 mesi , e comunque la cifra versata – 800 euro – non era irrisoria, anche considerando i risparmi a disposizione della donna, pari a 25mila euro. E tali dati rendono poco plausibile, osservano ancora i Magistrati, lo stato di bisogno attribuito a figli minori e coniuge . Proprio per questo, la vicenda dovrà essere esaminata con maggiore attenzione dai giudici d’Appello, che dovranno decidere se effettivamente l’uomo ha fatto mancare i mezzi di sussistenza alla propria famiglia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 – 31 maggio 2016, n. 23010 Presidente Conti – Relatore Gianesini Ritenuto in fatto 1. II difensore di M.C.F. ha proposto ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte di Appello di MILANO che ha confermato la sentenza di primo grado di condanna alla pena di due mesi di reclusione e 200,00 euro di multa per il reato di cui all'art. 570, comma 2 n. 2 cod. pen. per essersi il F. sottratto ai doversi di coniuge separato e padre di due minori riducendo l'importo dell'assegno di mantenimento mensile dal 4.000,00 a 800,00 euro, facendo quindi mancare i mezzi di sussistenza. 2. II difensore ha dedotto quattro motivi di ricorso. 2.1 Con i primi due motivi, il ricorrente, come già aveva fatto con i motivi di appello, ha lamentato che il Tribunale di Milano avesse revocato l'ordinanza di ammissione di una teste già ammessa con la motivazione che, essendo la stessa in stato di gravidanza, non si sarebbe presentata alla successiva udienza già calendarizzata, che lo stesso Tribunale non avesse disposto l'audizione ex art. 507 cod. proc. pen. e che la Corte di Appello avesse negato la richiesta di rinnovazione del dibattimento per l'audizione della stessa teste, da ritenersi decisiva per la dimostrazione della sostanziale impossidenza dei F. dal gennaio al luglio 2009. 2.2 Con il terzo motivo, il ricorrente ha svolto considerazioni critiche sulla motivazione della sentenza della Corte che aveva affermato sia lo stato di bisogno della moglie e dei figli, sia la concreta possibilità di adempimento da parte del F. dal momento che, per un verso, la riduzione dell'assegno di mantenimento a 800,00 euro mensili era durata solo pochi mesi, da gennaio a luglio 2009, dall'altro la ex moglie aveva risparmiato, per sua stessa ammissione, la somma di 25.000,00 euro, così che l'aiuto dei familiari era in realtà dei tutto inutile, per l'altro ancora che l'imputato si era trovato effettivamente, nel periodo indicato, nella impossibilità di versare interamente quanto dovuto. 2.3 Con il quarto motivo, infine, il ricorrente ha impugnato il punto relativo alla liquidazione delle spese di lite, quantificate in violazione di quanto previsto dal D.M. 127/2004 vigente all'epoca. 3. La parte civile ha depositato una memoria con la quale ha ripercorso la vicenda processuale oggetto di ricorso e ha insistito per la dichiarazione di inammissibilità dello stesso. Considerato in diritto 1. La sentenza impugnata va annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di MILANO. 2. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono palesemente infondati va ricordato infatti che secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, la prova decisiva la cui mancata assunzione legittima il ricorso ai sensi dell'art. 606, comma 1 lett. d è solo quella che risulti determinante per un diverso esito dei processo e che, valutata unitamente alle prove già assunte, si riveli tale da determinare sicuramente una pronuncia giurisdizionale di segno diverso o contrario rispetto a quella effettivamente adottata in tal senso, tra le tante di analogo tenore e da ultimo, Cass. sez.4 dei 23/1/2014 n. 6783, Rv 250323 . 2.1 Nel caso in esame la testimonianza ammessa ma non assunta non avrebbe avuto quel valore determinante cui si è fatto cenno più sopra posto che la stessa, anche se effettivamente assunta secondo le indicazioni di fatto proposte dal difensore, non sarebbe stata in grado di apportare alcuna reale modifica al giudizio di concreta capacità dell'imputato di adempiere ai suoi obblighi di versamento enunciati nella motivazione della sentenza impugnata in questa linea argomentativa, quindi, sono dei tutto esenti da censure in termini di vizi motivazionali le decisioni del Tribunale in sede di negazione della ammissione ex art. 507 cod. proc. pen. della testimonianza richiesta e della Corte di appello in sede di negazione della rinnovazione dei dibattimento ex art. 603 cod. proc. pen. per lo stesso adempimento istruttorio. 3. II terzo motivo di ricorso, nella parte relativa alla affermata, assoluta impossibilità da parte dell'imputato di corrispondere i mezzi di sussistenza, è infondato sia la sentenza di primo grado che quella di appello, con un sostanziale rinvio alla prima, hanno posto in evidenza, con motivazione scevra da qualsiasi vizio di contraddittorietà e/o di illogicità, che il F. aveva goduto in passato di un reddito elevato pari a 180.000,00 euro l'anno, aveva volontariamente scelto di non svincolare il t.f.r. maturato dal fondo pensioni, aveva costituito, dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la F., nuove società di consulenza dalle quali aveva assai verosimilmente tratto fonti di reddito e aveva poi pagato, dopo la decisione del Tribunale, il debito pregresso nei confronti della moglie, così che del tutto legittimamente era stato dedotto che egli fosse nella concreta possibilità di adempiere ai suoi obblighi di corresponsione dei mezzi di sussistenza. 3.1 Non pare invece adeguatamente motivata la circostanza della sussistenza dello stato di bisogno della moglie e dei figli minori è stato infatti accertato in giudizio che la parziale riduzione della somma che l'imputato corrispondeva alla moglie da 4.000,00 euro mensili a 800,00 euro mensili ha avuto la durata di soli 7 mesi da gennaio a luglio 2009 ed è stata successivamente poi sanata interamente e che la B. godeva di risparmi di un certo rilievo economico circa 25.000,00 euro . 3.2 A fronte delle accertate circostanze di cui sopra, il Tribunale e poi la Corte hanno alluso ad un grave disagio e effettivo stato di bisogno di moglie e figli riportando alcune massime della Corte di Cassazione circa la nozione di stato di bisogno, circa la presunzione di esistenza di esso in casi di figli minori e circa l'ininfluenza di versamenti e corresponsioni di denaro da parte di familiari ed altre persone che non si confrontano però criticamente con i dati di fatto sopra accertati e richiamati, che lascerebbero invece trasparire, in ragione del fatto che la somma versata era comunque di un qualche rilievo economico e della circostanza che il ridotto adempimento era durato per pochi mesi, una sostanziale inesistenza di un effettivo stato di bisogno dei destinatari dei versamenti, tenuto esso distinto dall'obbligo di mantenimento ed individuato in quanto è necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze quali abbigliamento, istruzione, abitazione, mezzi di trasporto e simili Cass. Sez. Unite 31/1/2013 n. 23866, Rv 255272 e Cass. Sez. 6, 21/11/2008,ì n. 2736, Rv 242855 . La Corte di Appello di MILANO, in sede di rinvio, accerterà dunque, sulla base delle indicazioni sopra accennate, l'effettività dello stato di bisogno della moglie e dei figli minori dell'imputato durante il ristretto periodo temporale in cui il F. ha ridotto l'importo versato ad 800,00 euro mensili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.