Non è possibile configurare la desistenza volontaria nel tentativo senza la costanza nella possibilità di commettere il delitto

La Corte di Cassazione interviene in tema di tentativo ribadendo la configurazione dell’ipotesi di desistenza.

se ne è occupata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22548 depositata il 27 maggio 2016. Desistenza volontaria e costanza nella possibilità di consumare il delitto. In particolare, secondo gli Ermellini, se l’idoneità richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante , tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, la desistenza volontaria presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, ricorre, sussistendone i presupposti, l’ipotesi del tentativo. Nella fattispecie concreta il ricorrente si vedeva applicata la misura cautelare della custodia in carcere in relazione all’imputazione provvisoria di concorso con altro soggetto in tentate lesioni gravissime con uso oggetto atto ad offendere in danno di un giudice delle indagini preliminari, poiché i due indagati, avendo concordato di vendicarsi del magistrato per i provvedimenti adottati dalla stessa nei loro confronti in altri procedimenti, ponevano in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a sfregiare il volto della vittima, atti consistiti nell’occultamente da parte di uno dei due di una lametta in bocca in occasione di un interrogatorio di garanzia cui doveva essere sottoposto, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla loro volontà, ma risalenti al dispositivo di sicurezza allestito dalla Polizia penitenziaria. Propositi dichiarati e assenza di disegno criminoso. Nel ricorso proposto le doglianze della difesa si accentrano sulla valenza dell’ordinanza impugnata che si limita ad una pedissequa trascrizione e ad una acritica condivisione di quanto proposto dal pubblico ministero che, tuttavia, con la sua richiesta descrive solo propositi dichiarati, che non possono integrare gli estremi del delitto tentato. Infatti, secondo la ricostruzione operata dal ricorrente – ed evidenziata nell’ordinanza – , quest’ultimo si era rifiutato di raggiungere l’aula-magistrati, aveva rifiutato l’interrogatorio e aveva improvvisamente estratto dalla bocca una lametta da barba minacciando di fare del male a se stesso e chiunque si fosse avvicinato, cosicché, pur avendo avuto la possibilità di incontrare la vittima prescelta, il ricorrente aveva fatto di tutto per non incontrarla, al punto di sottrarsi all’espletamento dell’interrogatorio di garanzia. Al riguardo i Giudici del Palazzaccio non possono fare a meno di evidenziare che il ricorso non merita accoglimento. Motivi dell’abbandono del designo criminoso. Infatti – come si legge nella ordinanza in commento - le varie deduzione del ricorrente a proposito del rifiuto da parte dello stesso di recarsi nell’aula-magistrati e di rendere l’interrogatorio, nonché dell’utilizzo della lametta in chiave autolesionistica non inficiano la qualificazione del fatto operata dall’ordinanza impugnata nel quadro delle valutazioni richiesta per la verifica del presupposto di cui all’art. 273 c.p.p. e sulla base del relativo standard indiziario. In particolare, tale qualificazione attribuisce valenza determinante dell’abbandono del proposito criminoso alla constatazione, da parte dell’indagato, del dispositivo di sicurezza allestito, in vista dell’interrogatorio, dalla polizia penitenziaria, constatazione questa, che intervenne quando il ricorrente fu condotto nella vicina sala perquisizioni al fine di essere sottoposto a perquisizione prima di trasferirsi nella stanza magistrati per l’interrogatorio, quindi in una fase del disegno criminale prossima all’incontro con il magistrato. Ciò che impedisce di configurare la desistenza dell’agente infatti, nella ricostruzione del fatto, operata dall’ordinanza applicativa, la costatazione da parte dell’agente della predisposizione del particolare dispositivo di sicurezza e di controllo ha integrato quella impossibilità di consumazione del delitto, per la non realizzabilità fisico-materiale della consumazione stessa, che esclude la desistenza volontaria. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 1 marzo – 27 maggio 2016, n. 22548 Presidente Fumo – Relatore Caputo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 07/01/2016, il Giudice delle indagini preliminari dei Tribunale di L'Aquila ha disposto l'applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di B.F.A. in relazione all'imputazione provvisoria di concorso con B.A.M. in tentate lesioni gravissime con uso di oggetto atto ad offendere in danno di F.G., Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Ascoli Piceno, perché i due indagati, avendo concordato di vendicarsi nei confronti del magistrato per i provvedimenti dallo stesso adottati nei loro confronti in altri procedimenti ed istigandosi a vicenda, ponevano in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a sfregiare il volto della vittima, atti consistiti nell'occultamento da parte di B.A. di una lametta in bocca in occasione di un interrogatorio di garanzia cui doveva essere sottoposto, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla loro volontà. 2. Avverso l'indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione per saltum B.F.A., attraverso il difensore avv. V. Di Nanna, denunciando - nei termini di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen. - violazione degli artt. 273, commi 1 e 2, cod. proc. pen., dell'art. 25 Cost., dell'art. 56, primo e secondo comma, cod. pen., nonché difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente. Già l'astratta formulazione dell'accusa provvisoria descrive un fatto l'estrazione della lametta da parte di B.A., colpitosi con la stessa che potrebbe assumere rilievo al più a norma dell'art. 115 cod. pen., ammettendo provati i pensieri e i desideri espressi in libertà e ad alta voce dagli indagati B.A., benché non scoperto dalla P.G. e prima ancora di essere condotto al cospetto della dott.ssa F., ha volontariamente utilizzato una lametta da barba per compiere atti di autolesionismo. L'ordinanza impugnata si è limitata alla pedissequa trascrizione e alla acritica condivisione della richiesta del P.M., la quale, tuttavia, descrive solo propositi dichiarati, che non possono integrare gli estremi dei delitto tentato la stessa ordinanza evidenzia che il detenuto si era rifiutato di raggiungere l'aula - magistrati, aveva rifiutato l'interrogatorio e aveva improvvisamente estratto dalla bocca una lametta da barba minacciando di fare del male a se stesso e a chiunque si fosse avvicinato, sicché, pur avendo avuto la possibilità di incontrare la vittima prescelta, B.A. ha fatto di tutto per non incontrarla, al punto da riuscire a sottrarsi persino all'espletamento dell'interrogatorio di garanzia. Nessun rilievo può attribuirsi a quanto riferito dalla P.G. in ordine alla circostanza che, nella mattinata, l'indagato aveva nascosto in bocca una lametta da barba sapendo di doversi presentare all'interrogatorio dinanzi al G.i.p. pur non essendogli stato notificato alcun avviso. L'ordinanza impugnata si è limitata ad affermare, in modo apodittico, che il tentativo non era andato a buon fine per via del corposo servizio di sorveglianza, servizio che, tuttavia, l'indagato era riuscito a superare nascondendosi la lametta in bocca e, pur avendo la disponibilità dell'arma e la possibilità di incontrare la presunta vittima, ha spontaneamente deciso di procurarsi delle lesioni allo scopo di sottrarsi all'interrogatorio. Difetta nel provvedimento impugnato la valutazione ex art. 273 cod. proc. pen., laddove il non fatto potrebbe al più integrare una desistenza volontaria, posto che, come evidenziato dalla stessa ordinanza, dopo aver conferito con il difensore l'indagato si rifiutava di raggiungere l'aula-magistrati, decisione, questa, assunta volontariamente in assenza di cause esterne idonee ad impedire la prosecuzione dell'azione. Considerato in diritto Il ricorso non merita accoglimento. L'ordinanza impugnata ha desunto la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al tentativo di lesioni gravissime in danno del magistrato F. da una pluralità di elementi. In estrema sintesi, sono state valorizzate, sotto un primo profilo, le risultanze di cui alle varie intercettazioni eseguite, risultanze che, nel percorso argomentativo dell'ordinanza impugnata, mettono in luce la reciproca istigazione dei due indagati a sfregiare il magistrato, nonché quanto riferito da B.F. alla moglie libera di muoversi all'esterno del carcere e in contatto con i complici dell'attività di spaccio del marito in ordine al fatto che la dott.ssa F. doveva essere sfregiata o investita. Sotto un secondo profilo, l'ordinanza impugnata ha ricostruito gli accadimenti del 13/04/2015, evidenziando che il dispositivo di sicurezza predisposto per l'interrogatorio di B.A. indagato per l'omicidio di un compagno di cella e autore di minacce di gravi lesioni e di morte nei confronti del magistrato aveva comportato la presenza di due ispettori e di quattro assistenti della Polizia penitenziaria il detenuto si era allora rifiutato di sottoporsi all'interrogatorio e, improvvisamente, aveva estratto dalla bocca una lametta da barba minacciando di fare del male a se stesso e a chiunque gli si fosse avvicinato in questo contesto si colloca il rilievo dell'ordinanza impugnata secondo cui B.A. aveva nascosto la lametta in bocca in occasione dell'incontro con il magistrato per l'interrogatorio di garanzia relativo al precedente fatto di omicidio, ma il tentativo si era interrotto a causa del corposo servizio di sorveglianza predisposto nell'occasione dalla Polizia penitenziaria. Nei termini indicati, la motivazione dell'ordinanza impugnata si sottrae alle censure del ricorrente che ne denunciano il carattere apparente e la mancanza di autonoma valutazione rispetto alla domanda cautelare le valutazioni operate dal G.i.p. - oltre a dar conto di un apprezzamento del compendio indiziario adesivo, nelle conclusioni, a quello prospettato dalla richiesta del P.M., ma svolto in termini autonomi rispetto ad esso - risultano dei tutto idonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692 conf. Sez. U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto , il che ne esclude la denunciata apparenza. Le ulteriori doglianze relative alla valutazione delle risultanze di cui alle intercettazioni non colgono nel segno esse, infatti, fanno leva su una lettura atomistica del compendio indiziario, laddove l'ordinanza impugnata, lungi dal dare rilievo a meri pensieri e desideri, ha posto in correlazione dette risultanze con la ricostruzione degli accadimenti dei 13/04/2015, così da delineare, nella prospettiva della ritenuta configurabilità del tentativo, l'univocità degli atti di cui all'imputazione provvisoria. Quanto agli accadimenti del 13/04/2015, le varie deduzioni del ricorrente a proposito, in sintesi, dei rifiuto da parte di B.A. di recarsi nell'aula-magistrati e di rendere l'interrogatorio, nonché dell'utilizzo della lametta in chiave autolesionistica non inficiano la qualificazione dei fatto operata dall'ordinanza impugnata nei quadro delle valutazioni richieste per la verifica del presupposto di cui all'art. 273 cod. proc. pen. e sulla base dei relativo standard indiziario tale qualificazione attribuisce valenza determinante dell'abbandono del proposito criminoso e degli altri accadimenti rimarcati dal ricorrente alla constatazione, da parte dell'indagato, dei dispositivo di sicurezza allestito, in vista dell'interrogatorio, dalla Polizia penitenziaria, constatazione, questa, che intervenne quando B.A. fu condotto nella vicina sala perquisizioni al fine di essere sottoposto, appunto, a perquisizione prima di trasferirsi nella stanza magistrati per l'interrogatorio e, dunque, in una fase dell'iter criminis prossima all'incontro con il magistrato. Tale rilievo giova anche ad escludere la prospettata configurabilità della desistenza dell'agente, posto che, come affermato da questa Corte, se l'idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità dei reato tentato, deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l'agente e delle modalità dell'azione, la desistenza volontaria presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, ricorre, sussistendone i presupposti, l'ipotesi del tentativo Sez. 2, n. 44148 del 07/07/2014 - dep. 23/10/2014, Guglielmino, Rv. 260855 nella ricostruzione del fatto operata, ai fini richiesti dall'art. 273 cod. proc. pen., dall'ordinanza applicativa, la constatazione da parte dell'agente della predisposizione dei particolare dispositivo di sicurezza e di controllo ha integrato quell'impossibilità di consumazione dei delitto, per la non realizzabilità fisico materiale della consumazione stessa, che esclude la desistenza volontaria Sez. 1, n. 9015 del 04/02/2009 - dep. 27/02/2009, Petralito, Rv. 242877 . Manifestamente inidonee a dar corpo ai vizi denunciati sono le ulteriori doglianze incentrate, in particolare, sull'imputazione provvisoria che, all'evidenza, descrive la vicenda nel suo complesso, registrando anche la condotta autolesionistica dei coindagato e sulla ricostruzione prospettata dalla Polizia Giudiziaria avendo l'ordinanza impugnata dato conto del presupposto indiziario nei termini sopra riassunti . Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94 comma 1 ter disp. att. c.p.p.