Limiti al sequestro per equivalente in danno del patrimonio del liquidatore

L’art. 36 d.P.R. n. 602/1973 stabilisce che i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e quelli anteriori rispondono, in proprio, del pagamento se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente alla assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale norma ha una diretta incidenza sulla configurabilità del reato di omesso versamento delle imposte e, dunque, sulla possibilità di disporre il sequestro per equivalente sul patrimonio personale del liquidatore.

Questo l’importante principio di diritto affermato dalla Terza Sezione della Cassazione Penale, con la pronuncia in commento. Il sequestro per equivalente in danno del legale rappresentante. Come noto, dopo la sentenza a Sezioni Unite n. 10561/14, Gubert, è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in danno del legale rappresentate di una persona giuridica nel cui interesse sia stato commesso il reato tributario allorché non sia stato reperito il profitto del delitto fiscale compiuto dagli organi della società stessa, nel patrimonio di questa ultima. La conseguenza di tale principio è che, allorché le fattispecie penali di cui agli artt. 10- bis e 10- ter d.lgs. n. 74/2000 si perfezionino durante il periodo in cui la società è in liquidazione, i suddetti principi troveranno applicazione in danno del liquidatore che, ex lege , ha la legale rappresentanza della persona giuridica. Con l’ulteriore conseguenza che, in caso – invero non infrequente – di mancato reperimento del profitto del reato nel patrimonio della società, sarà il patrimonio personale del liquidatore, quale legale rappresentate al tempus commissi delicti , ad essere esposto al sequestro per equivalente. Il caso di specie. Quanto sopra ipotizzato si era puntualmente verificato nel caso preso in esame dalla pronuncia in commento. Il liquidatore di una società per azioni aveva subito un cospicuo sequestro per equivalente sul proprio patrimonio personale, in relazione all’omesso versamento di ritenute certificate per un ammontare complessivo di oltre 700.000,00 euro da parte della società, fatto per cui risultava indagato per la fattispecie di cui all’art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000, in virtù della sua qualifica soggettiva. La natura sanzionatoria del sequestro per equivalente. Come ormai da tempo e definitivamente acclarato anche dalla giurisprudenza, il sequestro per equivalente finalizzato alla confisca ha natura esclusivamente sanzionatoria e va a colpire beni di cui abbia la disponibilità l’indagato, senza che sia necessario alcun nesso pertinenziale fra i beni oggetto del sequestro e il reato contestato. La confisca per equivalente è, infatti, una forma di confisca assai distante dalle figure tradizionali della confisca, caratterizzate dalla necessaria pericolosità dei beni che ne sono oggetto. Già tali osservazioni rendono evidente la opportunità di interrogarsi se sia conforme a diritto sanzionare, incidendo sul suo patrimonio personale, il soggetto che si sia limitato ad operare come liquidatore della società e senza distrarre alcuna somma non abbia rinvenuto disponibilità economiche tali per fare fronte al pagamento delle imposte dovute. La limitazione della responsabilità del liquidatore. A fondamento del proprio ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame che aveva confermato il sequestro per equivalente del suo patrimonio, il liquidatore pone tuttavia la ritenuta violazione di una specifica norma di legge, limitativa della sua responsabilità patrimoniale l’art. 36 d.P.R. n. 602/73. Detta norma prevede che i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione e quelli anteriori rispondono in proprio del pagamento se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente alla assegnazione di beni ai soci o associati ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Il campo di applicazione del dettato dell’art. 36 d.P.R. n. 602/73. L’applicazione del disposto della norma appena menzionata era stata invocata dal liquidatore indagato anche in sede di impugnazione avanti al Tribunale del riesame, che, tuttavia, aveva disatteso la specifica doglianza sulla base del rilievo che l’operatività della norma invocata sarebbe limitata alla responsabilità civile del liquidatore. Di diverso avviso sono gli Ermellini, che rammentano come il liquidatore sia tenuto nell’espletamento della propria funzione ad osservare l’obbligo giuridico di un ordine gerarchico nell’assolvimento delle posizioni debitorie. É allora evidente, osserva la Cassazione, che se la rigorosa osservanza di detto obbligo comporta il mancato assolvimento delle obbligazioni tributarie non potrà parlarsi di una volontaria omissione contributiva, con conseguente inconfigurabilità di alcun illecito penale. Peraltro, sarebbe paradossale prevedere una penale responsabilità con conseguente applicabilità della sanzione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente laddove lo stesso legislatore esclude espressamente la responsabilità civile per aver il liquidatore operato in adempimento di uno specifico obbligo giuridico. L’esito del ricorso. Sulla base dei suesposti principi il ricorso proposto viene accolto e l’impugnata ordinanza annullata con rinvio, in accoglimento, peraltro, di quanto aveva richiesto anche il Procuratore generale nella propria requisitoria scritta.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 aprile 2015 – 26 maggio 2016, n. 21987 Presidente Fiale – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 16/11/2015 ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 12/10/2015 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Velletri finalizzato alla confisca per equivalente, dei beni mobili, immobili, societari e dei saldi attivi bancari e finanziari giacenti sui rapporti finanziari riconducibili a B.M. , nella sua qualità di liquidatore della ALBAFOR s.p.a. in liquidazione, in relazione all’omesso versamento di ritenute per un ammontare complessivo di Euro 739.085,00, fatto per il quale risulta indagato per il reato di cui all’art. 10-bis d.lgs. 74/2000. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2. Riprodotto testualmente il contenuto della richiesta di riesame e di due memorie successivamente prodotte al Tribunale, denuncia, con un primo motivo di ricorso, la violazione di legge, lamentando che il Tribunale avrebbe omesso di considerare il rilevo, assunto nella fattispecie, dall’art. 36 del d.P.R. 602/1973, ritenendone del tutto inconferente il richiamo in considerazione del suo profilo squisitamente civilistico, privo, dunque, di rilevanza penale ed affermando che lo stesso sarebbe riferibile all’omesso versamento dei tributi propri della società in liquidazione e non anche di quelli al pagamento dei quali è tenuta nella sua qualità di sostituto di imposta. 3. Con un secondo motivo di ricorso deduce l’erroneità delle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale nell’escludere, nella fattispecie, la sussistenza di uno stato di necessità ovvero di una forza maggiore che, dimostrati dalla difesa, avevano impedito il versamento delle ritenute. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta che i giudici del riesame avrebbero erroneamente ritenuto sussistenti i requisiti di legge per la confiscabilità dei beni sequestrati, non avendo egli conseguito alcun vantaggio patrimoniale dalla consumazione del reato oggetto di provvisoria incolpazione. 5. Il Procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, ritenuta la fondatezza del primo motivo di ricorso, ha concluso per l’annullamento dell’ordinanza impugna con rinvio al Tribunale di Roma. In data 18/4/2016 la difesa del ricorrente ha depositato memoria con allegata documentazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei termini di seguito specificati. L’art. 36 del d.P.R. 602/1973 stabilisce che i liquidatori dei soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori rispondono, in proprio, del pagamento delle imposte se non provano di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari. Tale responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti. Come rilevato dal ricorrente nell’istanza di riesame testualmente riprodotta in ricorso, con argomentazioni condivise dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, la richiamata disposizione opera una puntuale delimitazione dell’ambito di responsabilità in proprio dei liquidatori, riferendosi, in primo luogo, alle imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori e, in secondo luogo, precisando che detta responsabilità consegue nel caso in cui essi non provino di aver soddisfatto i crediti tributari anteriormente all’assegnazione di beni ai soci o associati, ovvero di avere soddisfatto crediti di ordine superiore a quelli tributari . Il legislatore ha quindi tenuto in debito conto la particolare attività svolta dal liquidatore tanto sotto il profilo temporale quanto sotto quello funzionale specifico, ponendo un’ulteriore limite quantitativo laddove stabilisce che la responsabilità è commisurata all’importo dei crediti d’imposta che avrebbero trovato capienza in sede di graduazione dei crediti . Come correttamente osservato dal Procuratore Generale, la responsabilità delineata dalla norma in esame si configura se i soggetti preposti alla liquidazione distraggano l’attivo della società al fine del pagamento delle imposte e lo destinino a scopi differenti, ma non deriva, invece, dal mero adempimento fiscale, ponendo inoltre in evidenza l’irragionevolezza di una diversa lettura della norma che porterebbe alla illogica conseguenza della imposizione al liquidatore, da un lato, dell’obbligo di osservare un ordine gerarchico nell’assolvimento delle posizioni debitorie - tra le quali rientrano anche quelle fiscali - e, dall’altro, nella previsione di responsabilità nel caso in cui l’osservanza di tale criterio di riparto abbia comportato la non volontaria omissione del versamento delle ritenute. 2. Tali rilievi paiono al Collegio pienamente condivisibili e non possono ritenersi confinati, come afferma il Tribunale, peraltro in maniera assertiva, in un ambito prettamente civilistico, avendo, per le ragioni dianzi esposte, una diretta incidenza in ordine alla configurabilità del reato in caso di insussistenza dei presupposti limitativi della responsabilità dei liquidatori individuati dal più volte citato articolo 36 d.P.R. 602/73. Parimenti corretta risulta, inoltre, la diversa lettura della norma, ancora una volta suggerita dal ricorrente e dal Procuratore Generale, che esclude, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, secondo il quale l’ambito di operatività della disposizione sarebbe attinente all’omesso versamento dei tributi propri della società in liquidazione e non di quelli ai quali essa è tenuta nella sua qualità di sostituto di imposta. Va a tale proposito considerato, infatti, il contenuto dell’art. 35 del d.P.R. 602/1973, il quale dispone che quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sopratasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido senza alcun riferimento ai tributi propri della società di liquidazione. 3. Ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame alla luce di quanto in precedenza affermato, dovendo i giudici del rinvio, sulla base degli atti e della documentazione nella loro disponibilità, verificare se la condotta ascritta all’indagato abbia o meno travalicato i limiti posti dall’art. 36 d.P.R. 602/1973 alla responsabilità del liquidatore. La natura assorbente del motivo di ricorso appena esaminato esonera la Corte dal prendere in considerazione gli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.