Triplice bypass e problema cardiologico non operabile: niente ritorno a casa per il detenuto

Respinta la richiesta dell’uomo, condannato all’ergastolo per associazione di stampo mafioso. Nessun dubbio sul suo precario stato di salute. Ciò nonostante, le patologie sono tutte affrontabili in carcere e col ricorso a ricoveri esterni. E il rischio di un fatto cardiologico letale non è legato alla detenzione, ma a una patologia cardiologica non trattabile con un intervento.

Condannato all’ergastolo per associazione di stampo mafioso”. L’uomo, però, evidenziando le proprie precarie condizioni fisiche, punta al differimento della pena” o, in alternativa, alla detenzione domiciliare”. Richiesta respinta in modo netto dai magistrati a loro dire, le patologie lamentate dal detenuto sono fronteggiabili con il ricorso a ricoveri in strutture ospedaliere esterne al carcere. E neanche il richiamo al rischio – concreto – di un problema cardiologico letale modifica la situazione conferma la detenzione nella struttura carceraria Cassazione, sentenza n. 20489/2016, Sezione Prima Penale, depositata ieri . Ergastolano. Davvero complesso il quadro clinico dell’uomo, condannato, come detto, all’ergastolo egli ha subito l’amputazione di un arto inferiore , è affetto da cardiopatia – con tanto di triplice bypass – e diabete mellito , e, peraltro, il quadro coronografico è negativo . Nonostante tutto, però, il giudice di sorveglianza ritiene impensabile la detenzione domiciliare a casa dei familiari . L’uomo si sarebbe così ritrovato, difatti, nel luogo dove era stato commesso il reato di associazione mafiosa . Prioritarie, quindi, le esigenze di prevenzione sociale . Anche perché la pena inflitta all’uomo non appare, secondo il giudice, contraria al senso di umanità . Salute. Pronta e durissima l’opposizione del difensore del detenuto. A suo dire, difatti, il Tribunale di sorveglianza ha disposto che il suo cliente muoia in carcere . Secondo il legale, è risibile il riferimento a presunti legami con la criminalità e all’ipotetico pericolo di recidiva . Le condizioni di salute dell’uomo sono troppo deteriorate , spiega l’avvocato, per poter davvero temere la consumazione di nuovi reati . Ogni obiezione si rivela inutile, però. Anche per i magistrati della Cassazione, difatti, è corretto rifiutare la detenzione domiciliare all’uomo. Ciò perché, pur a fronte delle sue gravi condizioni cliniche , il tenere l’uomo dietro le sbarre non è contrario al senso di umanità , e comunque le numerose patologie sono fronteggiabili in carcere o con il ricorso a ricoveri esterni . Inaccettabile, poi, l’affermazione secondo cui il Tribunale avrebbe deciso di lasciare morire il detenuto in carcere . Su questo fronte, in particolare, viene evidenziato che il rischio di un serio problema cardiologico, anche fatale non è legato alla detenzione ma alla patologia cardiologica non trattabile – poiché una nuova operazione sarebbe troppo rischiosa – né prevedibile .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 22 marzo – 17 maggio 2016, n. 20489 Presidente Siotto – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Sorveglianza di Milano respingeva le istanze presentate da T.C., detenuto per un provvedimento di cumulo alla pena dell'ergastolo per associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsione ed altro, di differimento obbligatorio o facoltativo della pena per motivi di salute o di detenzione domiciliare. Il Magistrato di Sorveglianza aveva ritenuto che il grave quadro clinico esiti di amputazione arto inferiore, cardiopatia e diabete mellito, triplice bypass, quadro coronografico negativo corrispondesse a quanto previsto dall'art. 147 comma 1, n. 2 cod. pen., ma non alla previsione dell'art. 146 cod. pen., atteso che la malattia non era giunta in fase così avanzata da escludere la rispondenza del soggetto alle terapie, mentre i rischi segnalati non erano ancorati ad un giudizio di certezza ed erano fronteggiabili con il ricovero esterno ai sensi dell'art. 11 ord. pen Il Tribunale dava atto che l'ultima relazione sanitaria confermava il quadro clinico, riferendo del rifiuto da parte del paziente di alcune analisi, ribadendo che il rischio per eventi acuti cardiovascolari anche fatali, non prevedibili né prevenibili, era alto ed aumentato riferiva, altresì, delle informazioni dei Carabinieri secondo cui il detenuto era affiliato al clan Forte e che i familiari avevano dato la disponibilità ad accogliere il detenuto. Secondo il Tribunale, sussisteva un pericolo di recidiva concreto e grave la pena in detenzione domiciliare sarebbe stata eseguita nello stesso luogo dove erano stati commessi sia il reato di associazione mafiosa che gli altri l'esito della comparazione tra le esigenze di prevenzione sociale e quelle di una pena non contraria al senso di umanità faceva prevalere le prime, atteso che la detenzione in Istituto non aveva le caratteristiche di detenzione disumana. 2. Ricorre per cassazione il difensore di T.C., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. La decisione adottata, in sostanza, disponeva che T. morisse in carcere tale decisione era stata presa sulla base di legami con la criminalità e di pericolo di recidiva del tutto inesistenti, poiché le associazioni camorristiche una volta operanti sul territorio erano state sgominate e i capi erano divenuti collaboratori di giustizia per di più, le condizioni di salute di T. erano troppo deteriorate per temere la consumazione di nuovi reati. 3. II Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. II ricorso deve essere rigettato. Il Tribunale ha valutato le gravi condizioni cliniche del ricorrente, ritenendo che la detenzione non sia contraria al senso di umanità e che le numerose patologie siano fronteggiabili in carcere o con il ricorso ai ricoveri esterni ai sensi dell'art. 11 ord. pen L'argomento difensivo secondo cui il Tribunale avrebbe deciso di lasciare morire T. in carcere è suggestivo ma inconferente come si è detto, le patologie sono ritenute curabili e sono curate in carcere nella misura in cui ciò è possibile e il detenuto lo consente il rischio di evento acuto cardiologico anche fatale non è legato alla detenzione, ma alla patologia cardiaca non trattabile atteso che una nuova operazione sarebbe troppo rischiosa ed esso, d'altro canto, non è prevedibile nel tempo e nelle modalità di insorgenza. La valutazione in ordine al pericolo di recidiva è ampiamente motivata e tiene conto dei gravissimi reati commessi dal ricorrente e dal suo legame con associazioni mafiose l'affermazione del ricorrente secondo cui tale rischio sarebbe inesistente è in fatto e, quindi, non valutabile da questa Corte, né la motivazione dell'ordinanza impugnata appare manifestamente illogica sul punto. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.