Un negozio giuridico illecito chiamato corruzione

Un negozio giuridico illecito chiamato corruzione

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 19002, depositata il 6 maggio 2016. Il caso. La Corte di appello di Napoli conferma la decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale si accertava un evento corruttivo. Il condannato decide quindi di ricorrere per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, l’impossibilità nel realizzare il comportamento contestato ma anche un’erronea applicazione della legge penale, in particolare la sua condotta identificata come illecita dall’art. 319 c.p. corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e che invece – sempre secondo il ricorrente – era da ricondurre ad un caso di truffa. Do ut des. La Cassazione, esprimendosi in senso favorevole alle considerazioni fatte prima dal Tribunale e poi dalla Corte di Appello, discerne le due fattispecie della corruzione e della truffa aggravata. Partendo dall’assunto che in comune vi è la commissione di un abuso da parte del pubblico ufficiale e che questo è volto al raggiungimento di un indebito profitto, il giudice di legittimità specifica che ciò che distingue le due condotte illecite è dato dal fatto che nella corruzione chi dà o promette non è vittima di un errore e agisce su di un piano di parità con il pubblico ufficiale nel concludere un negozio giuridico illecito in danno della pubblica amministrazione, invece nella truffa il pubblico ufficiale si procura un indebito profitto carpendo la buona fede del soggetto passivo mediante artifici o raggiri, ai quali la qualità di pubblico ufficiale conferisce maggiore efficacia. Ne deriva che commette corruzione e non truffa il pubblico ufficiale che, per un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve denaro consegnatogli spontaneamente e non in conseguenza di artifici o raggiri . Una promessa è una promessa. Il comportamento tenuto dal condannato rientra quindi nella fattispecie del delitto di corruzione di cui l’art. 319 c.p., in quanto dalla condotta discende una violazione dell’esclusivo interesse pubblico che dovrebbe caratterizzare il suo ufficio e che inoltre per integrare il sinallagma illecito basta la mera disponibilità del pubblico ufficiale a compiere atti contrari ai doveri dell’ufficio, seppure non specificamente individuati . Quindi i requisiti ai quali bisogna dare maggiore attenzione sono una partecipazione del corruttore che è chiaramente non dovuta ad artifici o raggiri e la volontà, ancorché non tradotta in precisi ed individuati comportamenti da parte del pubblico ufficiale, ma comunque orientata in concreto a realizzare attività contrarie ai propri doveri d’ufficio. Peraltro, in relazione al caso specifico, non è stato riscontrato alcun elemento che facesse emergere l’intenzione del pubblico ufficiale a desistere dal compimento dell’illecito. Viene così rigettato il gravame del ricorrente che faceva perno sulla sua impossibilità nel realizzare la condotta e che si dovesse riconoscere il reato di truffa anziché quello di corruzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 aprile – 6 maggio 2016, numero 19002 Presidente – Relatore Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza numero 2571/2015 emessa il 2/4/2015, ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a A.C. ex artt. 110, 319, 321 cod. penumero capo B e ex artt. 110 cod. penumero e 71, commi 1, 4 e 5, legge 4 maggio 1983 numero 184 capo C , per avere - in violazione dei suoi doveri di ufficio - accettato, quale medico ginecologo in servizio presso clinica convenzionata, denaro per concorrere a affidare un nascituro in via definitiva a terzi. C. fece ricoverare nella clinica una gestante E.C. intenzionata, come pure il padre naturale D.C. , a cedere in cambio di denaro il nascituro a una coppia E.M. e C. G. che intendeva allevarlo come figlio. C. ricevette dalla coppia 25000 euro per agevolare l'operazione e accettò ulteriori 5000 euro per procurare una certificazione che avrebbe dovuto attestare la maternità naturale della G., anche se poi redasse una veridica certificazione attestante la maternità della C Dopo il parto, la madre consegnò il neonato alla coppia che riuscì per un breve periodo a tenerlo. 2. Nel ricorso presentato personalmente, A.C. chiede l'annullamento della sentenza deducendo vizio di motivazione e erronea applicazione della legge penale, in relazione a all'art. 319 cod. penumero , per avere ravvisato il reato di corruzione trascurando che l'imputato non era in grado di mantenere la promessa, fatta alla partoriente, di far dare il bambino in adozione, mentre avrebbe dovuto qualificare la condotta come truffa, non perseguibile per mancanza di querela b all'art. 71 legge numero 184 del 1983, per la mancanza dei presupposti per la definitività dell'affido alla coppia da favorire sia per la impossibilità di avviare la pertinente procedura amministrativa sia perché al neonato era già stato attribuito il cognome della madre naturale. Considerato in diritto 1. Reiterando l'argomento difensivo addotto nel giudizio di appello, il ricorrente assume che, poiché in realtà fece regolarmente sottoscrivere una veridica dichiarazione di maternità alla madre naturale, egli non realizzò un atto contrario ai suoi doveri di ufficio. Ma la Corte di appello ha evidenziato che dalle risultanze istruttorie emerge che C. fece ricoverare in clinica la gestante proponendo/e inizialmente di presentarsi con falsi documenti . In altri termini - secondo la ricostruzione della Corte pagg. 11 e 13 - la condotta prospettata da C. alla gestante era articolata in due momenti il ricovero della donna affinché partorisse nella clinica convenzionata con la compresenza della coppia destinataria del neonato che in effetti le fu consegnato e la successiva redazione di una falsa dichiarazione di maternità condotta non realizzata ma in relazione alla quale l'imputato aveva concordato una distinta e ulteriore corresponsione di denaro . Inoltre la Corte di appello ha rimarcato che la funzione di C. ha agevolato se non da sola reso possibile la consumazione del reato . 2. I reati di corruzione e di truffa aggravata, pur avendo come elemento comune l'abuso della pubblica funzione da parte del pubblico ufficiale al fine di conseguire un indebito profitto, si differenziano perché nella corruzione chi dà o promette non è vittima di un errore e agisce su di un piano di parità con il pubblico ufficiale nel concludere un negozio giuridico illecito in danno della pubblica amministrazione, invece nella truffa il pubblico ufficiale si procura un ingiusto profitto carpendo la buona fede del soggetto passivo mediante artifici o raggiri, ai quali la qualità di pubblico ufficiale conferisce maggiore efficacia. Ne deriva che commette corruzione e non truffa il pubblico ufficiale che, per un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve denaro consegnatagli spontaneamente e non in conseguenza di artifici e raggiri Cass. penumero Sez. 6, numero 6357 del 02/02/1988, Rv. 178464 Sez. 6, numero 1375 del 11/11/1970, dep. 1971, Rv. 117449 . Nel caso in esame, la Corte di appello ha correttamente qualificato la condotta come corruzione e non truffa, osservando che il denaro fu dato per il compimento di un atto contrario ai doveri d'ufficio rientrante fra quelli che C. aveva la concreta possibilità di compiere e fu corrisposto consapevolmente non per effetto di un consapevolmente errore indotto da raggiro . 3. Non emerge che C. nutrisse la riserva mentale di non attuare quanto convenuto pagg.14-15 . Né per configurare il delitto di corruzione propria è necessario individuare lo specifico atto contrario ai doveri d'ufficio per il quale il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ha ricevuto denaro o altre indebite utilità basta che dal suo comportamento emerga una attività diretta in concreto a vanificare la funzione demandatagli, perché già così viola il dovere di perseguire esclusivamente l'interesse pubblico Sez. 6, numero 34417 del 15/05/2008, Rv. 241081 Sez. 6, numero 20046 del 16/01/2008, Rv. 241184 . L'attività illecita può anche specificarsi in una pluralità di atti non preventivamente fissati, ma funzionali allo scopo perseguito Sez. F, numero 32779 del 13/08/2012, Rv. 253487 e per integrare il sinallagma illecito basta la mera disponibilità del pubblico ufficiale a compiere atti contrari ai doveri dell'ufficio, seppure non specificamente individuati Cass. penumero , Sez. 6, numero 33881 del 19/06/2014, Rv. 261406 . 4. Nel caso in esame, la veridica certificazione di maternità della puerpera C. rendeva impraticabile il meccanismo inizialmente escogitato, anzi già il fatto che la coppia destinataria del neonato non fosse sposata rendeva impossibile l'adozione legale. Tuttavia l'operazione - realizzata con il concorso determinante di C. - poteva consentire in effetti inizialmente consentì l'affidamento in fatto a tempo indeterminato alla coppia, sicché è sussumibile sotto la fattispecie incriminatrice dettata dall'art. 71 legge numero 1884 dei 1983. L'uso dell'espressione chiunque per denotare, senza ulteriori connotazioni, l'autore del reato rende evidente anche in termini linguistici che l'art. 71 della legge numero 184 del 1983 mira a sanzionare penalmente gli affidamenti di un minorenne a terzi che avvengano in fatto e con carattere definitivo, al di fuori dei presupposti e delle regole procedurali previste dalle legge 4 maggio 1983, numero 184 sulla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minorenne e la cessione di un neonato a qualcuno che intenda tenerlo presso di sé integra tipicamente questo delitto Sez. 1, numero 3569 del 31/10/1986, dep. 1987, Rv. 174855 . In questo quadro, il primo e il quarto comma dell'art. 71 sanzionano l'attività che consiste nel cedere in affidamento il minore o nell'avviarlo all'estero , mentre la previsione del comma quinto dell'art. 71, estende la sanzione al ricevere il minorenne in illecito affidamento con carattere di definitività Sez. 6, numero 40610 del 2012, Rv. 253497 Sez. F, numero 39044 del 10/09/2004, Rv. 230132 . P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.