La connivenza non integra una partecipazione nel reato

Un’assistenza inerte non è punibile qualora sia inidonea a dare un contributo alla condotta illecita, evitando così di rientrare nel rapporto di causalità.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18499, depositata il 4 maggio 2016. Il caso. Il Tribunale di Venezia confermava una misura cautelare disposta dal GIP relativa ad una detenzione al fine di spaccio di un certo quantitativo di sostanze stupefacenti. Il destinatario di tale misura ricorre per cassazione contro l’ordinanza confermativa. Il ricorrente motiva il suo gravame su due punti una frequentazione sporadica dell’abitazione – se pur a suo nome affittata - in cui era stata rinvenuta la sostanza stupefacente e la disponibilità dell’alloggio concessa al padre, anch’egli destinatario di una misura cautelare. Il ricorrente quindi lamenta come eccessiva l’ipotesi di un concorso nel reato, più opportuno – a suo parere - invece identificare il suo comportamento come di connivenza. L’assistenza inerte non equivale a cagionare un evento. La Cassazione accoglie il ricorso ed espone la sua decisione tracciando la distinzione, non colta dal Tribunale di Venezia, tra connivenza e concorso. La Suprema Corte non rinviene elementi che vadano a determinare i gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari, dimostrando un concorso nella detenzione degli stupefacenti da parte del ricorrente. Il giudice di legittimità ribadisce un punto che più volte in passato è stato trattato integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell’assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente . La Cassazione non rileva quindi una condotta tenuta dal ricorrente tale da indicare una responsabilità penale così come prevista dall’art. 40, comma 2, c.p. rapporto di casualità . In definitiva non sarebbe rinvenibile alcun comportamento orientato anche soltanto sotto il profilo morale ad indurre, determinare o agevolare l’illecito perpetrato o altrimenti volto a rafforzarne la volontà in chi ha effettivamente tenuto la condotta illecita. L’ordinanza viene quindi annullata e rinviata al Tribunale di Venezia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 novembre 2015 – 4 maggio 2016, n. 18499 Presidente Franco - Relatore Gentili Ritenuto in fatto Con ordinanza del 21 luglio 2015 il Tribunale di Venezia ha confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari disposti dal Gip del Tribunale di Venezia a carico di V.R. con provvedimento del 6 luglio 2015 in relazione ad una provvisoria imputazione avente ad oggetto la detenzione a fine di spaccio di circa 586 gr di cocaina rinvenuta all'interno dell'appartamento, preso in locazione dal V.R. ma di fatto da questi occupato saltuariamente, essendo residenza principale dei padre di quello, anch'egli attinto da misura cautelare per la violazione dell'art. 73 del dPR n. 309 del 1990, e della compagna dei medesimo. Ha proposto ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza il V. osservando che il compendio probatorio sulla base del quale è stato ritenuto che a suo carico sussistano i gravi indizi di colpevolezza era esclusivamente costituito dal fatto che l'alloggio all'interno del quale era stata trovata la sostanza stupefacente era stato affittato a nome di V.R., sebbene ivi abitasse per lo più, unitamente alla propria convivente, V. Antonio padre del ricorrente, e che, date le modalità di conservazione della sostanza, costui non poteva essere all'oscuro della sua esistenza all'interno della predetta abitazione. Tali argomenti, ad avviso del ricorrente non sarebbero idonei ad integrare un'ipotesi di concorso del reato, ma al massimo di mera connivenza in particolare laddove si volesse ritenere che l'attività di procacciamento della casa fosse stata strumentale alla detenzione dello stupefacente, dovrebbe ritenersi che il V. già fosse consapevole del programma criminoso paterno sin dal momento in cui ha preso in affitto l'appartamento in questione. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e, pertanto, la ordinanza impugnata deve, conseguentemente, essere annullata. Rileva, infatti, il Collegio che il Tribunale di Venezia, a fronte delle dichiarazioni dei ricorrente secondo le quali egli era ignaro dei fatto che il proprio padre custodisse nella sua abitazione un considerevole quantitativo di sostanza stupefacente, ha controbattuto che siffatte dichiarazioni si palesavano inattendibili in quanto l'appartamento era stato affittato dall'attuale ricorrente ed era stato poi messo a disposizione dei genitore e della convivente di quest'ultimo affinché vi fosse ivi custodito lo stupefacente all'interno della abitazione, delle cui chiavi era in possesso anche il V.R. il quale trascorreva all'interno di esso dei momenti di riposo e vi conservava la documentazione concernente la sua attività di commercio di autovetture, vi erano gli strumenti atti ai confezionamento dello stupefacente ed erano altresì conservate significative somme di danaro e titoli finanziari. Una siffatta motivazione, ad avviso dei Collegio non vale ad integrare, considerate anche le dichiarazioni autoaccusatorie di V. Antonio, padre dei ricorrente, i gravi indizi di colpevolezza necessari ai fini della emissione della misura cautelare a carico dell'odierno indagato. Il Tribunale lagunare parrebbe fondare, in sostanza, la sussistenza della ipotesi accusatoria a carico dei V.R., ipotesi ricostruita inequivocabilmente dal giudice deii riesame sotto la specie del concorso da parte del figlio nell'illecito commesso dal padre in tal senso milita necessariamente il tenore letterale della ordinanza laddove si legge avendo il predetto affittato l'appartamento in questione, che poi poneva a disposizione del padre e della convivente di questo , che lo usavano anche quale luogo per custodire la droga , sulla base di elementi ritenuti indicativa dei fatto che l'odierno ricorrente fosse a conoscenza della presenza dello stupefacente nell'appartamento in questione. In tal modo, però, il Tribunale parrebbe confondere il concetto di mera connivenza con quello di concorso. Come, infatti, questa Corte ha più volte chiarito proprio in materia di detenzione di sostanze stupefacenti, integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva, consistente nell'assistenza inerte, inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell'illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 ottobre 2015, n. 41055 idem Sezione III penale, 20 agosto 2015, n. 34985 . Nel caso in questione, premesso che non è ravvisabile in siffatta materia a carico dei soggetti che siano venuti a conoscenza di un fatto illecito, l'esistenza dell'obbligo giuridico di evitare il verificarsi dell'evento, o comunque il protrarsi di esso, che possa costituire il fondamento di una responsabilità penale derivante dalla condotta omissiva, secondo il paradigma di cui all'art. 40, comma secondo, cod. pen., va precisato che il Tribunale di Venezia non ha evidenziato alcun comportamento posto in essere dal V.R. cui sia stata attribuita a livello causale una valenza idonea anche soltanto sotto il profilo morale ad indurre, determinare o agevolare l'illecito perpetrato da V. Antonio o a rafforzare nei medesimo l'intenzione di compierlo. A tale proposito va, infatti, chiarito è frutto di una mera illazione, priva di qualsivoglia fondamento probatorio o anche meramente indiziario riportato nella motivazione della ordinanza, impugnata, il ritenere che V.R. abbia affittato a proprio nome l'appartamento, ove è poi andato a vivere il padre, nella consapevolezza dei fatto che questi avrebbe ivi costituito la base operativa per il traffico di stupefacenti dei quale egli era evidentemente partecipe. Sotto il descritto profilo, cioè la mancanza di elementi che integrino i gravi indizi di colpevolezza della partecipazione concorsuale dell'odierno ricorrente nella detenzione di stupefacente imputata provvisoriamente anche al padre, la ordinanza deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Venezia, che, in diversa composizione, riesaminerà la richiesta di riesame presentata dall'attuale ricorrente avverso l'ordinanza cautelare emessa nei suoi confronti dal Gip dei Tribunale lagnare, facendo applicazione dei principi testé enunciati. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Venezia Sezione per il riesame.