Nemmeno una precedente condanna ferma il persecutore

Essendo il delitto di atti persecutori un reato che prevede la realizzazione di eventi alternativi, ciascuno dei quali è idoneo ad integrarlo, per la sua configurazione non è essenziale un mutamento delle abitudini di vita della vittima, bastando che la condotta incriminata abbia ingenerato nella stessa uno stato di ansia e timore per la propria incolumità e per quella delle persone a lei vicine.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18473/16, depositata il 3 maggio. Il caso. L’imputato, con sentenza riformata in punto di pena in appello, era stato condannato, per il delitto di stalking e per alcuni episodi di violenza privata nei confronti della ex fidanzata. Per fatti analoghi commessi nei confronti della stessa era già stato condannato e, proprio a causa della violazione delle prescrizioni impostegli, era scattato l’avvio del nuovo procedimento penale, in assenza di querela della stessa. L’imputato aveva proposto ricorso, tuttavia, censurando la sentenza di appello nella parte in cui forniva una motivazione apparente sulla sussistenza dell’elemento materiale del delitto di atti persecutori, non essendo stato fatto alcun riferimento all’effettivo mutamento delle abitudini di vita della persona offesa in conseguenza della condotta dell’agente, avendo la stessa, fondato unicamente la condanna sul presunto stato di ansia della vittima. La disposizione. Come è noto il delitto di atti persecutori previsto dall’art. 612- bis c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita . La norma, dunque, prescrive che il delitto possa configurarsi ogni qualvolta l’azione persecutoria, posta in essere dall’agente, cagioni un perdurante stato di ansia o paura o ingeneri un fondato timore per l’incolumità propria o di altri soggetti alla stessa legati o, ancora, la costringa a modificare le proprie abitudini di vita. Eventi alternativi. La Corte ha ricordato il proprio orientamento secondo cui il delitto di stalking prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo. D’altra parte, è evidente, già da un’interpretazione letterale della norma, come proprio la presenza della congiunzione disgiuntiva o” stia ad indicare che, affinchè possa ritenersi configurato il reato de quo , la condotta dell’agente debba avere determinato quanto meno uno, o anche più, degli eventi ivi indicati. L’avere, dunque, indotto nella vittima uno stato di ansia tale da arrivare a temere per sé e per coloro che le stanno vicini è sufficiente per ritenere perfezionata la fattispecie astratta. Nel caso di specie, infatti, la vittima era stata costretta a assumere psicofarmaci per sedare l’ansia e a frequentare di nascosto il nuovo compagno per evitare ripercussioni da parte dello stalker. Non è necessario, dunque, che si realizzino tutti i distinti eventi individuati dalla disposizione, affinchè possa ritenersi configurato in concreto il reato. La gravità del fatto reato. Concordemente a quanto già espresso con riferimento all’evento del reato, la Corte ha ulteriormente precisato che anche il giudizio di gravità del fatto prescinde dal verificarsi di tutti o di uno soltanto degli eventi alternativi di cui all’art. 612- bis c.p., essendo, oltre ciò, la valutazione del giudice incentrata sull’analisi delle condotte poste in essere dall’imputato e, quindi, sulle molestie e/o minacce perpetrate nei confronti della vittima.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 26 febbraio – 3 maggio 2016, n. 18473 Presidente Vessichelli – Relatore Morelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Torino ha parzialmente riformato, riducendo la pena, la sentenza del GUP presso il Tribunale di Asti del 25.9.14 che aveva condannato B.G.P. in ordine ai reati di atti persecutori e violenza privata tentata e consumata continuata in danno di P.K. . 1.1. Premesse le doglianze contenute nei motivi di appello e relative alla inattendibilità della persona offesa, alla carenza degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla eccessività della pena, la Corte d’Appello evidenzia, per contro, che la parte lesa, già vittima dei medesimi comportamenti persecutori ad opera del B. e in ordine ai quali costui aveva già subito un periodo di carcerazione, non aveva sporto autonomamente denuncia e non si era neppure costituita parte civile, dimostrando così l’assenza di intenti persecutori e il semplice desiderio di ottenere la cessazione delle condotte vessatorie. 1.2. La credibilità della vittima sarebbe ulteriormente avvalorata, a giudizio della Corte, dalla pacatezza dei toni di una missiva indirizzata ai giudici e dai riscontri individuabili nel contenuto di una conversazione su facebook. 1.3. Le dichiarazioni della P. sarebbero quindi idonee a determinare piena prova anche delle conseguenze della condotta dell’imputato, così da ritenere pienamente integrato il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., e della sussistenza delle ulteriori ipotesi di tentata violenza privata. 2. Propone ricorso il difensore di fiducia dell’imputato articolando quattro motivi di impugnazione. 2.1. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla sussistenza di uno degli elementi costitutivi del reato di atti persecutori, precisamente l’evento essendosi limitato, il giudice di appello, a fornire una motivazione del tutto apparente alle specifiche doglianze formulate sul punto nell’impugnazione. Più precisamente non vi sarebbe alcun riferimento al mutamento delle abitudini di vita della vittima ed una motivazione di stile quanto alla prova del perdurante stato di turbamento e del timore per la propria incolumità. Si sostiene che, ove fosse ritenuto provato uno soltanto degli eventi indicati dalla norme in via alternativa, la pena avrebbe dovuto essere ridotta. 2.2. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla ritenuta attendibilità della parte offesa, essendo invece desumibile dalla lettura degli atti, che la relazione sentimentale fra i due giovani non si era interrotta neppure dopo la condanna e la carcerazione di lui e che la P. era unicamente preoccupata di nascondere il rapporto ai propri genitori. 2.3. Si deducono vizi motivazionali in ordine alla ritenuta sussistenza delle tre ipotesi di violenza privata evidenziando, quanto al capo b , che il fatto era stato descritto dai tre testimoni in tre modi diversi, quanto al capo c , che l’unica prova era costituita dalla deposizione della parte lesa, non attendibile e, quanto al capo d , che il racconto è intrinsecamente inattendibile. 2.4. Si deduce infine violazione di legge, oltre ai vizi motivazionali, in ordine alla determinazione dell’aumento di pena per i reati posti in continuazione, in quanto l’aumento di pena inflitto per i reati di tentata violenza privata è identico a quello inflitto per il reato di violenza privata consumata. Considerato in diritto 1. I primi due motivi di impugnazione rappresentano una sostanziale replica dei motivi di appello, avendo, in quella sede, il difensore sostenuto che la P. , già vittima di atti persecutori ad opera dell’imputato, condannato con sentenza della Corte d’Appello di Torino del 25.5.11, irrevocabile il 13.8.11, temeva le reazioni di genitori ed amici se avessero scoperto che aveva ripreso a flirtare con il B. e quindi aveva reso le dichiarazioni poste a fondamento dell’accusa per dissimulare la vera natura dei rapporti con l’ex fidanzato. Il giudice d’appello ha sottoposto le dichiarazioni della vittima ad un attento vaglio di attendibilità ed ha escluso la strumentalità di esse in quanto il processo non era sorto a seguito di una denuncia della ragazza bensì dopo una segnalazione inviata dalla PG che aveva svolto accertamenti in ordine alla richiesta di ammonimento ai sensi dell’art. 8 DL 11/09. Pure sono stati positivamente valutati, al fine di giudicare l’attendibilità della teste, la mancata costituzione di parte civile, l’assenza di toni esasperati nei suoi narrati e l’esistenza di messaggi facebook. Si è anche dato conto, nel procedere ad una riduzione della pena, che la giovane aveva stigmatizzato la gravità delle condotte in suo danno soltanto in relazione a quelle commesse nell’ultimo periodo autunno 2013- primi mesi del 2014 ed aveva sfumato i toni con riguardo ai comportamenti dell’imputato nell’anno precedente, non escludendo che inizialmente vi potesse essere stato un fraintendimento, da parte dell’imputato, dell’atteggiamento della vittima. 1.1. Complessivamente, quindi, il giudice di merito ha compiuto una corretta valutazione dell’attendibilità della parte lesa applicando i canoni interpretativi indicati dalla costante giurisprudenza della Cassazione e tenendo nel debito conto le argomentazioni difensive. Le dichiarazioni della persona offesa, costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. A tal fine è necessario che il giudice indichi le emergenze processuali determinanti per la formazione del suo convincimento, consentendo così l’individuazione dell’iter logico-giuridico che ha condotto alla soluzione adottata mentre non ha rilievo, al riguardo, il silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame qualora si tratti di deduzione disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, non essendo necessaria l’esplicita confutazione delle specifiche tesi difensive disattese ed essendo, invece, sufficiente una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione implicita di tale deduzione senza lasciare spazio ad una valida alternativa Sez. 5, Sentenza n. 1666 del 08/07/2014 Ud. - dep. 14/01/2015 - Rv. 261730 1.2. Deve essere altresì ricordato che in tema di sentenza penale di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonché della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo giudice. Le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Dunque, il giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino conff. Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003, Vigevano sez. 2, n. 19947 del 15 maggio 2008 . Ciò perché la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi . 1.3. In particolare, si osserva che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto inaccettabile la tesi difensiva secondo cui il fatto che la parte lesa abbia, in alcune occasioni, dato corso alle attenzioni dell’imputato, la renda immune dalla conseguenze dei pesanti atti persecutori subiti. 2. L’insussistenza di vizi motivazionali in ordine alla riconosciuta attendibilità della parte lesa determinano l’infondatezza del ricorso anche per quanto riguarda la prova della sussistenza dell’evento del reato di atti persecutori. 2.1. Premesso che il delitto di atti persecutori è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità. Sez. 5, n. 29872 del 19/05/2011 Rv. 250399 i giudici di merito hanno quindi correttamente ritenuto che le affermazioni della parte offesa fossero idonee a ritenere provata l’esistenza di un turbamento emotivo ed ingenerato il timore per l’incolumità propria e delle persone vicine. 2.2. Evidentemente il complessivo giudizio di attendibilità attribuito alla parte lesa ha consentito di ritenere provato che la condotta dell’imputato le avesse cagionato un perdurato stato di turbamento emotivo ed ingenerato il timore per l’incolumità propria e delle persone a lei vicine si veda sul punto pag. 4 della motivazione di primo grado ove si riportano le dichiarazioni della P. secondo cui ella era arrivata a frequentare di nascosto compagnie maschili per timore delle ritorsioni da parte dell’imputato e la situazione, nel suo complesso, le aveva ingenerato un forte stato di ansia, per contrastare il quale era stata costretta ad assumere dei farmaci . 2.3. Non vi è alcuna contraddizione o illogicità nell’avere ritenuto che lo stato di ansia in capo alla parte offesa possa essersi determinato anche in ragione dell’indole violenta ed aggressiva dell’imputato, dal momento che l’avere riportato una condanna per atti persecutori nei confronti della medesima parte offesa e l’avere posto in essere le condotte contestate nell’ambito del presente procedimento evidenziano certamente un’indole violenta ed aggressiva da parte del B. , a prescindere dal fatto che egli abbia o meno picchiato la ragazza. 2.4. Il giudizio di gravità del fatto prescinde dal verificarsi di tutti o di uno soltanto degli eventi alternativi di cui all’art. 612 bis c.p., in ogni caso, quanto osservato nel ricorso sul punto non ha rilevanza alcuna, posto che i giudici di appello hanno evidentemente effettuato una valutazione di maggior favore per l’imputato riducendo la pena. 3. Le argomentazioni svolte consentono di ritenere infondato anche il terzo motivo di ricorso, dal momento che l’attendibilità della parte lesa fonda il giudizio di responsabilità in ordine ai reati contestati ai capi c e d mentre, quanto al capo b , le discrasie fra i racconti dei testi non sono tali da sminuirne la validità come già osservato dai giudici di merito con valutazioni in fatto incensurabili in questa sede Si veda comunque sul punto l’ampia motivazione alle pagg.8 e 9 della sentenza di primo grado, ove si elencano gli elementi di riscontro alle affermazioni della P. anche per quanto riguarda le ipotesi di violenza privata . 4. L’avere determinato gli aumenti per la continuazione in misura identica per ciascun reato satellite, nonostante si trattasse delle diverse fattispecie di violenza privata tentata e consumata, non viola il principio di legalità né quello di ragionevolezza. Il giudice di appello ha accolto uno dei motivi di gravame ed ha ridotto gli aumenti per la continuazione a giorni quindici di reclusione per ciascuno dei reati satellite. 4.1. Va ricordato che, in tema di determinazione della pena, quando la pena venga irrogata in misura prossima al minimo edittale l’obbligo di motivazione del giudice si attenua, sicché è sufficiente anche il richiamo a criteri di adeguatezza, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 c.p. Sez. 4, n. 38536 del 21/9/07. 5. Dal momento che si procede in ordine al reato di cui all’art. 612 bis c.p., debbono essere omesse, in caso di diffusione del provvedimento, le generalità e gli altri dati identificativi delle parti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d. lgs. 196/03.