Il bene tutelato è la pubblica fede, non l’affidamento del singolo acquirente

L'interesse giuridico tutelato dall'art. 473 c.p. e dall'art. 474 c.p. è la pubblica fede” in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo, sicché non è necessario per integrare il reato che sia realizzata una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto.

Questo il principio di diritto sancito dalla Quinta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18289, depositata il 2 maggio 2016. La strategia difensiva in caso di contraffazione Nell’ipotesi di contraffazione, è opportuno contestare la mancata esecuzione di una perizia sulla merce sequestrata, nonché di fotografie raffiguranti la merce stessa. Ciò appare sempre necessario, al fine di stabilire se si tratti effettivamente di capi contraffatti. Anche a voler ritenere che si tratti di capi contraffatti consapevolmente detenuti dall’indagato/imputato, in caso di reato di pericolo presunto come quello di cui all’art. 474 c.p. , occorre operare una duplice valutazione da un lato, valutare se la condotta posta in essere ricalca in astratto quella tipizzata dal legislatore dall’altro, valutare se la condotta posta in essere è in concreto idonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice in caso contrario, potrebbe infatti configurarsi un contrasto con il principio di necessaria offensività del reato, di cui agli artt. 3, 13, 24, 25, comma 2, 27, comma 1 e 2, e 111 Cost L’offensività della contraffazione manca, se essa non cade su elementi essenziali del marchio, o se è palesemente grossolana ed inidonea, secondo un giudizio ex ante , a ledere il bene giuridico della fede pubblica verificandosi così un reato impossibile ex art. 49, comma 2, c.p. . Difficile sarà poi configurare il reato de quo , ove dall’istruttoria emerga che i prodotti sequestrati sono di pessima qualità, hanno un colore diverso da quello solitamente rinvenibile nei capi originali, oppure ove il marchio sia posto in un punto diverso rispetto ai capi originali, o ancora se i prodotti siano destinati ad essere venduti ad un prezzo eccessivamente basso, per lo più per strada o in mercatini rionali ed ambulanti. In tali casi, la non originalità delle merce è riconoscibile da parte di un numero indeterminato di persone, e indipendentemente dalle circostanze di acquisto e di uso della merce stessa. In un caso analogo a quello in commento, la Supreme Corte ha stabilito che la configurabilità del reato di cui all'art. 474 c.p. non è esclusa dalla presenza di locandine che avvertono della falsità del prodotto offerto in vendita, sulla cui confezione - che riproduceva i marchi originali - figurava la scrittura falso d'autore”. c’è contraffazione sul prodotto per cui è stata depositata domanda di privativa? La sentenza in commento appare particolarmente interessante anche in relazione al tema della configurabilità dei reati di cui agli artt. 473 e 474 c.p. in caso di richiesta di privativa industriale. Orbene, in tema di introduzione nel territorio dello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, alla luce delle modifiche apportate agli art. 473 e 474 c.p. dalla l. n. 99/2009, non è sufficiente per la configurabilità del reato che prima della sua consumazione sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere il titolo di privativa, ma è invece necessario che questo sia stato effettivamente conseguito. Con tale pronuncia, la Suprema Corte si è posta in contrasto con il proprio precedente consolidato orientamento, affermando in motivazione che, poiché la tutela penale dei marchi o dei segni distintivi delle opere dell'ingegno o di prodotti industriali è finalizzata alla garanzia dell'interesse pubblico preminente della fede pubblica, più che a quello privato del soggetto inventore, l'art. 473, comma 3, c.p. - secondo il quale le norme incriminatrici in tema di contraffazione e alterazione dei marchi o dei segni si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale - deve essere interpretato nel senso che per la configurabilità dei delitti contemplati dai precedenti commi del medesimo articolo è necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge all'esito della prevista procedura, sicché la falsificazione dell'opera dell'ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale dall'affermazione di tale principio discende che la tutela penale dei marchi e dei segni distintivi non possa estendersi - contrariamente a quanto avviene in campo civilistico - anche alla posizione interinale del brevettante nel periodo intercorrente tra il momento della presentazione della domanda e quello della concessione del brevetto o della registrazione. La Corte ritiene che l'inciso inserito dalla l. n. 99/2009 nell'art. 473, comma 1, c.p. - potendo conoscere dell'esistenza del titolo di proprietà industriale - lascia fondatamente pensare che, con la riforma, si è inteso ratificare la giurisprudenza che richiedeva, per la tutela penale, l'avvenuta registrazione del marchio o del segno, non bastando la semplice domanda si può conoscere, infatti, solo un titolo già rilasciato mentre la semplice richiesta dello stesso non dà luogo alla garanzia dell'esito positivo della procedura amministrativa avviata. La Corte ha anche evidenziato che dall'andamento dei lavori preparatori non risulta che il legislatore abbia manifestato in modo chiaro una volontà diversa da quella risultante dalla lettera della legge né può ritenersi che il citato inciso, formulato testualmente con riferimento alla posizione del contraffattore materiale del marchio, non estenda la propria efficacia - limitatrice della operatività del precetto - alla posizione, menzionata nello stesso comma della norma e rilevante per il caso di specie, del semplice utilizzatore del marchio contraffatto. Per l'opposto orientamento, il reato de quo è invece configurabile anche solo se sia stata depositata la domanda tesa ad ottenere la registrazione del segno distintivo.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 gennaio – 2 maggio 2016, n. 18289 Presidente Lapalorcia – Relatore Guardiano Fatto e diritto 1. Con l'ordinanza di cui in epigrafe il tribunale di Lucca, in funzione di tribunale del riesame, adito ex art. 324, c.p.p., confermava il decreto di convalida di sequestro probatorio di polizia giudiziaria, avente ad oggetto sei borse, recanti elementi riconducibili ai marchi registrati della Prada s.p.a. , adottato dal pubblico ministero presso il tribunale di Lucca, in data 11.6.2015, nei confronti di V.M., in relazione al delitto di cui all'art. 473, c.p., così qualificando la fattispecie concreta, rispetto alla originaria contestazione ex art. 474, c.p. 2. Avverso tale ordinanza, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il V., a mezzo del suo difensore di fiducia, avv. C.S., del Foro di Lucca, lamentando violazione di legge, in relazione alla ritenuta ipotesi di reato prevista dall'art. 473, c.p., di cui, in realtà, non ricorrono gli elementi costitutivi, in quanto, tenuto conto che all'atto del sequestro il modello Prada Inside , cui appartenevano tutte le borse sequestrate, per ammissione della stessa società produttrice, non era stato ancora messo in commercio, né pubblicizzato, la condotta dell'indagato non era idonea a generare alcuna confusione circa la reale provenienza del bene, non ancora inserito nel circuito commerciale, e perciò a sviare il consumatore, il quale ignorava che il modello era stato registrato da un soggetto diverso. Ne consegue che non risulta leso nel caso in esame il bene giuridico tutelato dalla norma penale, cioè il generale affidamento circa la provenienza dei modello, ma solo l'interesse economico dei produttore che aveva ottenuto la registrazione dello stesso. 3. II ricorso non può essere accolto per infondatezza dei motivi che lo sorreggono. 4. Ed invero l'assunto difensivo secondo cui il singolo consumatore non avrebbe potuto essere tratto in inganno in ordine alla reale provenienza dei bene, in quanto il modello Inside , cui erano riconducibili le borse messe in vendita dal V. con impressa la dicitura M. V. Prodotto da G.S. , recanti elementi identificativi dei marchi registrati della Prada s.p.a. , non era ancora stato lanciato sul mercato dalla suddetta società, non è condivisibile. L'interesse del singolo acquirente, infatti, non rappresenta l'oggetto della tutela giuridica apprestata dalla norma penale di riferimento. Come affermato, infatti, dal prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474, c.p., è innanzitutto ma non solo, come si dirà in seguito la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell'ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l'affidamento del singolo, sicché, ai fini dell'integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto cfr. Cass., sez. II, 27/04/2012, n. 28423, rv. 253417 Cass., sez. II, 27/04/2012, n. 28423 . Sicché, ai fini della configurabilità del reato di cui si discute, sotto il profilo oggettivo, è sufficiente e necessario che il marchio o il segno distintivo, di cui si assume la falsità, sia stato depositato, registrato o brevettato, nelle forme previste dalle leggi interne o dalle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale, all'esito della prevista procedura, in quanto la falsificazione dell'opera dell'ingegno può aversi soltanto se essa sia stata formalmente riconosciuta come tale cfr. Cass., sez. V, 04/06/2013, n. 41891, rv. 256707 Cass., sez. V, 12/04/2012, n. 25273 , circostanza, quest'ultima, pacificamente verificatasi nel caso in esame, poiché, come rilevato dallo stesso ricorrente, il modello Inside è stato registrato in ambito comunitario dalla stessa Prada in data 26.3.2015 presso I'UAMI di Alicante. Né va taciuto, che, come da tempo evidenziato dalla migliore dottrina penalistica, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il reato di cui all'art. 473, c.p., ha natura di reato plurioffensivo, destinato a tutelare non solo quel particolare bene giuridico, di natura immateriale e collettiva, rappresentato dalla pubblica fede, ma anche altri beni meritevoli di protezione, quali le privative sui marchi registrati, l'interesse alla regolarità del commercio e dell'industria e, più in generale, l'economia nazionale, secondo una condivisibile tendenza volta ad assicurare effettività ai principi costituzionali in materia di iniziativa economica e di proprietà privata. In questa prospettiva si colloca la giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione, che, nella sua espressione più autorevole, ha evidenziato come, in tema di oggettività giuridica, nei delitti contro la fede pubblica deve riconoscersi, oltre a un'offesa alla fiducia collettiva in determinati atti, simboli o documenti - bene oggetto di primaria tutela - anche un'ulteriore attitudine offensiva degli atti stessi in riguardo alla concreta incidenza che esercitano nella sfera giuridica dei singolo privato. I delitti previsti dal titolo VII del vigente codice penale, pertanto non tutelano solo la fede pubblica, ma anche gli specifici interessi concreti dei soggetti che subiscono un pregiudizio dalla attività di falsificazione o di utilizzazione dei beni frutto della falsificazione cfr. Cass., sez. un., 25/10/2007, n. 46982 . Può, dunque, sostenersi che l'art. 473, c.p., appresta una tutela anticipata alla pluralità di interessi che possono essere pregiudicati dalle attività di falsificazione o di utilizzazione dei prodotti contraffatti in esso contemplate, che prescinde dalla immissione sul mercato dei suddetti prodotti, in quanto il bene oggetto,, della falsificazione, una volta registrato, è per sua natura destinato alla circolazione nel libero mercato, anche se non ancora inserito nel relativo circuito commerciale. In questo senso, del resto, si sono espressi una serie di condivisibili arresti della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'uso di marchi e segni distintivi punito dall'art. 473, c.p., essendo inteso a determinare un collegamento tra il marchio contraffatto e un certo prodotto, precede l'immissione in circolazione dell'oggetto falsamente contrassegnato e se ne distingue cfr. Cass., sez. II, 22.6.2010, n. 26263, rv. 247684 Cass., sez. V, 2.4.1996, n. 4305, rv. 204837 . 5. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in premessa va, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.