Travisamento della prova: giudizio di legittimità o terzo grado di merito?

Il c.d. travisamento della prova, consistente nella presenza in motivazione di un’informazione rilevante inesistente nel processo o nell’omissione della valutazione di una prova decisiva apre le porte ad un giudizio che, comunque, rimane improntato alla sola legittimità della motivazione e non anche ad una rilettura nel merito degli elementi posti a sostegno della decisione.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, con la sentenza n. 17656 depositata il 28 aprile 2016. Un processo dagli esiti altalenanti. Il protagonista della sentenza in commento viene indagato per lesioni colpose gravi, commesse in danno di una signora che, sua paziente, subiva l’installazione di alcune protesi dentarie a base di nichel. Un’allergia a detto metallo procurava alla sfortunata persona offesa, poi costituitasi parte civile, non poche seccature. Condannato in primo grado, l’imputato veniva invece assolto in appello con la formula tipica della carenza dell’elemento soggettivo del reato. La decisione di secondo grado, non avendo accontentato nessuna delle due parti private, veniva impugnata sia dall’imputato – per via della formula terminativa a suo giudizio errata – sia dalla parte civile, che ha visto sfumare le proprie aspettative risarcitorie. Assolto, ma con la formula giusta. La doglianza sollevata dall’imputato ci appare, prima ancora di leggere il modo in cui viene valutata dalla Suprema Corte, pienamente condivisibile. Risulta, infatti, che l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato” era agganciata ad una valutazione liberatoria che, invece, poneva alcuni dubbi in merito alla sussistenza del rapporto di causalità tra condotta ed evento lesivo. Ora, è noto che il nesso eziologico appartiene alla componente oggettiva dell’illecito penale e che ogni carenza inerente quest’ultimo deve essere sancita con la formula perché il fatto non sussiste” proprio perché con essa si descrive una situazione concreta – per come rappresentata dal materiale probatorio in atti, ovviamente – non sovrapponibile alla fattispecie astratta descritta dalla norma incriminatrice. La carenza, invece, dell’elemento soggettivo, consacrata nella formula perché il fatto non costituisce reato”, implica, nell’ipotesi in cui ci si trovi al cospetto di un reato di evento come le lesioni colpose che una condotta vi sia stata, che quest’ultima abbia avuto un nesso eziologico con un danno e che, infine, un evento lesivo si sia comunque verificato. Soltanto che, per l’appunto, questo danno non sia dipeso dalla violazione di una regola cautelare rimproverabile all’imputato. Il vizio di travisamento della prova non consente un terzo grado di giudizio nel merito. Se la Suprema Corte non esita ad accogliere la doglianza dell’imputato con poche brevi battute, va detto che uguale fortuna non incontrano le numerose censure sollevate dalla parte civile. Quest’ultima, per come è dato leggere nella decisione della Suprema Corte, ha censurato la sentenza d’appello nella quale, evidentemente, si è rinvenuta un’interpretazione insoddisfacente delle varie prove testimoniali assunte in dibattimento. La Cassazione, però, taglia corto e richiama un suo consolidato orientamento è vero che per travisamento della prova si intende quel vizio consistente nell’introduzione – tra le basi di giudizio – di un elemento probatorio inesistente, o l’omessa valutazione di altro elemento probatorio rilevante. Ma è anche vero, ricordano gli Ermellini, che il sindacato della Corte di Cassazione rimane pur sempre quello di legittimità e non può consistere in una rilettura nel merito degli elementi probatori acquisiti. La conclusione è scontata ma, azzardiamo noi, è altrettanto scontato che quando si lamenta il travisamento della prova è pressocchè impossibile scansare la tentazione di offrire una rilettura nel merito degli elementi probatori oggetto d’analisi. Il confine è davvero labile e un ricorso fondato sul travisamento della prova potrebbe trovare accoglimento, ad esempio, se con esso si dimostrasse che un elemento probatorio deliberatamente ignorato dal giudice di merito, se valutato, avrebbe introdotto nella motivazione un vizio logico insanabile. Cosa ben difficile, possiamo immaginare. Un ultimo rilievo la valutazione della prova scientifica. Un passaggio della sentenza che, infine, riteniamo degno d’interesse è quello dedicato alle regole motivazionali che il giudice di merito deve seguire quando deve confrontarsi con due opposte ricostruzioni scientifiche della stessa materia. Dice la Corte, richiamando anche qua un proprio precedente orientamento, che il giudice di merito, quando sceglie quale soluzione tecnica ritenere attendibile, non deve necessariamente dimostrare la fallacia delle conclusioni opposte. Il vizio di motivazione, continuano i Supremi Giudici, potrebbe risiedere solo nel caso in cui queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile [] la fallacia delle conclusioni del primo . Perfetto e ineccepibile. Solo una domanda, però questo tipo di valutazione non presuppone un terzo giudizio di merito?

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 marzo – 28 aprile 2016, n. 17656 Presidente Piccialli – Relatore Dell’Utri Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 14/6/2012, il Tribunale di Messina ha condannato B.G. alla pena di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita in solido con il responsabile civile , in relazione al reato di lesioni personali colpose commesso, ai danni di G.A. , in , dal al omissis . All’imputato era stata originariamente contestata la condotta colposa consistita nella violazione dei tradizionali parametri della colpa generica, poiché, installando alla paziente numerosi protesi dentarie a base di nichel, consapevole dell’allergia a tale metallo della G. , le causava una dermatite allergica dalla quale derivavano, a carico della stessa, lesioni personali gravi. 2. Su appello dell’imputato, con sentenza in data 14/11/2014, la Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza di primo grado, ha assolto il B. dal reato ascrittogli, perché il fatto non costituisce reato. 3. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione l’imputato e la parte civile G.A. . 4. L’imputato propone ricorso sulla base di un unico motivo di impugnazione, dolendosi della violazione di legge e del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale per aver omesso di assolvere il B. con la formula più corretta, riferita alla non commissione del fatto, anziché di quella orientata al riconoscimento che il fatto non costituisce reato. Tale ultima formula, infatti, era stata adottata dalla corte territoriale sul presupposto peraltro corretto secondo cui, all’epoca dell’intervento dell’imputato sulla parte civile, non era ancora nota, neppure alla stessa paziente, la relativa allergia al nichel. Senonché - secondo l’argomentazione del B. - nessuna prova certa era stata acquisita, nel corso del processo, circa l’effettiva installazione sulla paziente, da parte dell’imputato, dell’unica protesi dentaria contenente nichel, con la conseguente impossibilità di ricondurre, al fatto dell’imputato, l’evento lesivo concretamente subito dalla parte civile. Sotto altro profilo, secondo la prospettazione del ricorrente, la corte territoriale sarebbe incorsa in un’evidente contraddizione, per aver pronunziato la formula assolutoria secondo cui il fatto non costituisce reato pur avendo espressamente dato atto dell’insussistenza di alcuna prova certa circa il nesso di derivazione causale tra la condotta dell’imputato e l’evento lesivo sofferto dalla paziente. 5. La parte civile, G.A. , propone ricorso sulla base di cinque motivi d’impugnazione. 5.1. Con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, avendo la corte territoriale travisato il contenuto degli elementi probatori acquisiti al processo, sulla base dei quali era emersa la piena prova della conoscenza, da parte dell’imputato, dell’allergia della G. al nichel in epoca anteriore agli interventi dallo stesso eseguiti. Al riguardo, la ricorrente richiama le deposizioni rese dai testi M. , S. e R. , che avevano reso manifesta l’acquisita consapevolezza, da parte dell’imputato, della sofferenza allergica della G. prima ancora che si provvedesse all’installazione sulla paziente di materiale protesico contenente nichel. 5.2. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel non ritenere raggiunta la prova dell’avvenuta utilizzazione, da parte dell’imputato, di materiali non concordati con la paziente, in palese contrasto con quanto emerso dalla congiunta valutazione delle deposizioni rese dai testi Ro. , So. , Gr. , R. , D.T. e A. . 5.3. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la corte territoriale erroneamente interpretato la disciplina giuridica sul consenso informato ai trattamenti sanitari, omettendo di riconoscere, in contrasto con le evidenze probatorie acquisite, come l’imputato avesse proceduto all’esecuzione di trattamenti sanitari sulla persona della G. in totale difformità dagli accordi raggiunti con la paziente e, pertanto, in violazione del consenso dalla stessa prestato per gli interventi prospettati dall’imputato. 5.4. Con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e vizio di motivazione, avendo la corte d’appello trascurato il riconoscimento delle gravi forme di negligenza, imperizia e di imprudenza dell’imputato nella scelta dei materiali da utilizzare per i trattamenti sanitari offerti alla paziente e per aver omesso di rilevare i gravi profili di colpa del B. nel trascurare di intervenire nuovamente per il beneficio della paziente una volta acquisita la piena consapevolezza della dannosità dei materiali utilizzati in ragione delle allergie sofferte dalla G. . 5.5. Con il quinto e ultimo motivo d’impugnazione, la ricorrente si duole del vizio di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale nel disconoscere la sussistenza di un preciso nesso di causalità tra le lesioni sofferte dalla paziente e la condotta dell’imputato, in contrasto con quanto emerso per effetto delle controdeduzioni tecniche analiticamente richiamate in ricorso opposte dalla parte civile alle errate e semplicistiche considerazioni contenute nella consulenza tecnica dell’imputato. 6. Con memoria pervenuta in data 7/3/2016, la parte civile ricorrente, sinteticamente richiamando le argomentazioni esposte nell’atto d’impugnazione, ha insistito per l’accoglimento del ricorso. 7. Con memoria in data 8/3/2016, la Zurich Insurance Public Limited Company, quale responsabile civile, dopo aver riproposto l’eccezione concernente la propria carenza di legittimazione passiva in assenza di alcuna azione diretta del danneggiato nei confronti della compagnia assicuratrice dell’imputato , ha insistito per il riconoscimento dell’inammissibilità, ovvero in via gradata, per il rigetto del ricorso della parte civile. 8. Con memoria pervenuta in data 23/4/2016, il difensore dell’imputato ha insistito per l’accoglimento del proprio ricorso. Considerato in diritto 9. Il ricorso proposto dalla parte civile è infondato. Osserva il collegio come, con l’impugnazione proposta in questa sede, la parte civile ricorrente si sia limitata alla sterile enumerazione di una serie di ipotetici vizi di motivazione della decisione contestata, sotto il profilo del preteso travisamento della prova concernente 1 la conoscenza, da parte dell’imputato, dell’allergia della G. al nichel in epoca anteriore agli interventi dallo stesso eseguiti 2 l’avvenuta utilizzazione, da parte dell’imputato, di materiali non concordati con la paziente 3 l’esecuzione di trattamenti sanitari sulla persona della G. in totale difformità dagli accordi raggiunti con la paziente 4 le gravi forme di negligenza, imperizia e di imprudenza dell’imputato nella scelta dei materiali da utilizzare per i trattamenti sanitari offerti alla paziente nonché nel trascurare di intervenire nuovamente per il beneficio della paziente, una volta acquisita la piena consapevolezza della dannosità dei materiali utilizzati in ragione delle allergie sofferte dalla G. 5 la sussistenza di un preciso nesso di causalità tra le lesioni sofferte dalla paziente e la condotta dell’imputato. Il travisamento delle prove acquisite al processo - e, in ogni caso, l’illogicità e la contraddittorietà dell’argomentazione giustificativa dettata dalla corte territoriale - riguarderebbero, secondo la ricorrente, l’interpretazione attribuita dal giudice d’appello alle testimonianze partitamente richiamate in ricorso, nonché la scelta delle valutazioni contenute nelle consulenze tecniche di segno contrario a quelle offerte al processo dalla difesa della parte civile. Su ciascuno di tali punti, tuttavia, ritiene il collegio che le censure avanzate dalla G. appaiono risolversi in una proposta di rilettura inammissibile in questa sede delle fonti di prova acquisite al processo prove che, viceversa, la corte territoriale risulta aver elaborato in maniera esauriente, completa e del tutto coerente sotto il profilo logico-argomentativo. Al riguardo, occorre evidenziare come la corte d’appello abbia correttamente proceduto, nel corso dello svolgimento argomentativo della motivazione, ad analizzare la sostanziale inidoneità di ciascuno degli elementi di prova acquisiti e del compendio probatorio nel suo complesso a fornire una compiuta e univoca rappresentazione - non solo di un possibile legame di natura causale tra le lesioni accusate dalla parte civile partitamente descritte nel capo d’imputazione sollevato nei confronti del B. e le prestazioni professionali dallo stesso eseguite sulla G. , bensì - della stessa esistenza dell’allergia al nichel denunciata da quest’ultima. Nel ripercorrere la valutazione degli elementi di prova testimoniale acquisiti, infatti, la corte territoriale ha dapprima raggiunto la conclusione dell’insussistenza di alcuna prova in ordine alla circostanza che le protesi posizionate dall’imputato, a partire dal secondo semestre del 2003, fossero di nichel, per poi sottolineare l’irriducibile lacunosità della stessa pretesa prova del nesso di causalità tra le gravi lesioni denunciate dalla querelante e il posizionamento delle corone contenenti nichel da parte dell’imputato, essendo piuttosto emerso come le patologie accusate dalla G. potessero piuttosto qualificarsi alla stregua di conseguenza di altra patologia, come la MCS Sensibilità Chimica Multipla diagnosticata dal prof. Ge. , o come la Pemfigoide diagnosticata dal prof. Ai. , a testimonianza delle persistenti possibilità non smentite dalle conclusioni tecniche sostenute dalla difesa di spiegazioni causali alternative, e dunque di alternativi decorsi causali, quantomeno equiprobabili a quelli denunciati dall’odierna ricorrente. Sul punto, la corte d’appello ha evidenziato come, nel maggio 2006, la parte offesa, pur in assenza di elementi in nichel rimossi dal dottor So. nel febbraio del 2005 , pur presentando elementi solo in titanio e in lega di titanio, continuava ad essere afflitta dalle patologie lamentate un dato che, se consente di affermare l’ipotesi di un’allergia conclamata ai metalli nel 2006, comunque non consente di retrodatare tale consapevolezza all’epoca nella quale il B. ebbe a posizionare gli impianti oggetto dell’odierno esame né, in assenza di tale consapevolezza, può addebitarsi all’imputato la scelta di esser venuto incontro alla richiesta della paziente di apporre impianti fissi luogo di protesi mobili, poiché a quella data le proporzione di tali patologie allergiche e immunologiche non erano note neppure alla stessa Gattrella, tanto che costei indicò nel solo nichel l’elemento da escludere negli impianti richiesti al B. , richiedendo in epoca successiva, al dott. So. , la collocazione di nuovi impianti in titanio. La valutazione integrata e complessiva degli elementi probatori richiamati dalla corte d’appello appare dunque condotta secondo un percorso logico dotato di lineare coerenza e di congruenza argomentativa, tale da giustificare la conclusione della ragionevole impossibilità, su dette basi, di fornire una plausibile e verosimile ricostruzione dei fatti di causa caratterizzata da un elevato grado di probabilità logica, o da un livello di certezza idonea a superare il limite del ragionevole dubbio. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio di motivazione sotto la forma del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valutazione di una prova decisiva ai fini delta pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa valutazione delle risultanze processuali v., ex multis, Cass., Sez. 2, n. 23419/2007, Rv. 236893 . Da ciò consegue che gli altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e , c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito Cass., Sez. 4, n. 35683/2007, Rv. 237652 . Quanto alla pretesa mancata o trascurata valutazione delle divergenti considerazioni tecniche della parte civile, mette conto di evidenziare come le stesse non possano in alcun modo ritenersi tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallacia delle conclusioni raggiunte attraverso le consulenze tecnica avverse, essendosi limitate a prospettare un’alternativa ricostruzione del fatto sulla base di ipotesi che i giudici d’appello hanno ritenuto recessive, sotto il profilo dell’attendibilità e della ragionevolezza logico-scientifica, rispetto a quelle raggiunte dagli ausiliari privilegiati. Sul punto, è appena il caso di richiamare il consolidato insegnamento di questa corte di legittimità in forza del quale, in terna di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle conclusioni dell’ausiliario di una parte, in difformità da quelle della parte avversa, non può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le conclusioni dell’ausiliario privilegiato, senza ignorare le argomentazioni contrarie, conseguendone la possibilità di ravvisare un vizio di motivazione solo nel caso in cui queste ultime siano tali da dimostrare in modo inconfutabile occorrenza non verificatasi nel caso di specie la fallacia delle conclusioni del primo Cass., Sez. 1, n. 25183/2009, Rv. 243791 Cass., Sez. 4, n. 34379/2004, Rv. 229279 Cass., Sez. 1, n. 6528/1998, Rv. 210712 . 10. Ciò posto, esclusa la sussistenza di una prova certa circa il nesso di causalità tra la condotta contestata all’imputato e gli eventi lesivi denunciati dalla parte civile, accanto al rigetto del ricorso della parte civile dev’essere viceversa accolto il ricorso dell’imputato, dovendo ritenersi fondata la censura relativa alla denunciata erroneità della formula assolutoria utilizzata dal giudice d’appello il fatto non costituisce reato . Da tanto segue la correzione di detta formula assolutoria con quella per cui il fatto non sussiste . 11. Quanto infine alle considerazioni avanzate, con la memoria in data 8/3/2016, dalla Zurich Insurance Public Limited Company, quale responsabile civile circa il proprio difetto di legittimazione passiva, in assenza di alcuna azione diretta del danneggiato nei propri confronti , osserva il collegio come, pur non potendo disconoscersi la fondatezza dell’argomentazione su tale punto indicata v., ex plurimis, Sez. 4, Sentenza n. 38704 del 27/05/2011, Rv. 251098, secondo cui la legittimazione passiva del responsabile civile presuppone che questi debba rispondere in base alla legge civile e non anche in base a un titolo contrattuale , la stessa non può trovare alcuna traduzione sul piano dispositivo, avendo lo stesso responsabile civile del tutto trascurato di proporre impugnazione avverso la sentenza l’appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente alla formula di proscioglimento adottata nei confronti di B.G. formula di proscioglimento che sostituisce con quella perché il fatto non sussiste . Rigetta il ricorso della parte civile G.A. , che condanna al pagamento delle spese processuali.