Spetta al banco nazionale di prova decidere se si tratta di arma comune da sparo

Ne segue che la pena è minore di un terzo ex art. 7 della legge n. 895 del 1968 nel caso il possesso riguardi armi belliche. Inoltre tentano di sfuggire all’arresto, la popolazione ostacola le forze di polizia. Tanto basta per riconoscere l’aggravante mafiosa del reato ex art. 7 della legge n. 152 del 1991.

Così la Cassazione, Prima sez. Penale, sentenza n. 17020/2016, depositata il 22 aprile. Il fatto. In terra di camorra, un controllo di polizia su strada rionale coglieva i conducenti di un motoveicolo in possesso di arma di fuoco – una parabellum, calibro 9 x 19 -. Il primo, con in mano l’arma, non riusciva a sfuggire alla forza di polizia, il secondo si dava alla fuga, poi raggiunto dai vigilanti. Questi dovettero ricorrere ad ulteriori unità di polizia a supporto, vista la resistenza della comunità locale occorsa in difesa dei malviventi ad ostacolare l’iniziativa della pubblica autorità. Il Tribunale a seguito di abbreviato e poi i giudici dell’appello condannano gli imputati per detenzione e porto illegale d’armi ai sensi degli artt. 10 e 12 della legge n. 497 del 1974, aggravato dalla finalità mafiosa ai sensi dell’art. 7 della legge n. 152 del 1991. I ricorrenti in Cassazione contestano la qualifica di arma di guerra di quella rinvenuta in corpo ad uno dei condannati e la mancata conoscenza dell’uno del possesso dell’arma da parte dell’altro conducente dell’autoveicolo. Nonché l’aggravante mafiosa, tacitamente ammessa dai giudici in assenza di elementi realmente identificativi della modalità mafiosa, sulla scorta del semplice contesto ambientale a supporto della resistenza degli imputati all’arresto. La Cassazione accoglie solo in punto di qualificazione della natura dell’arma rivenuta. Non è la capacità offensiva” a fare l’arma da guerra. Nonostante sia stato il criterio identificativo utilizzato dai giudici del merito per qualificare il reato ed escludere l’attenuante ex art. 7 della l. n. 895/1967 – che consente la riduzione di un terzo della pena -. Sul punto la Cassazione annulla con rinvio la determinazione dei giudici d’appello. Specifica che il discrimine della spiccata potenzialità offensiva – contenuto nell’art. 1, primo e terzo comma, della l. n. 110/1975, il quale distingue armi da guerra, armi di tipo guerra e le munizioni di guerra - non risulta in grado di poter identificare l’arma comune da sparo in luogo dell’arma da guerra. I divieti di commercializzazione. Va precisato che per le armi da guerra vige un divieto assoluto di commercializzazione ai privati, per l’intrinseca natura bellica. Nel caso delle armi comuni da sparo, l’art. 2 della legge n. 110/1975, prevede un divieto assoluto di commercializzazione – salvo siano destinate all’uso per le forze armate o dei corpi armati dello Stato -, funzionale a consentire, in caso di conflitti a fuoco, la riferibilità dei bossoli ai componenti dei corpi armati, facilitando le investigazioni. Prevale un criterio nominale. E’ il Banco nazionale di prova a qualificare l’arma. A seguito dell’art. 23, dodicesimo comma sexdecies , della l. n. 135/2012, è il Banco nazionale di prova a classificare le armi comuni da sparo – come nel caso è l’arma in possesso degli imputati -, seguito dall’approvazione del Ministero dello sviluppo economico. La parabellum calibro 19 fu classificata come arma comune da sparo non destinata alla commercializzazione a privati nel territorio italiano, bensì riservata ai soli corpi armati dello Stato. Sta dunque nel riconoscimento nominale dell’ente deputato alla classificazione dell’arma la qualifica di arma comune da sparo, al di là del criterio – di natura tecnica e sperimentale – della capacità offensiva dell’arma. In quanto comuni armi da sparo, gli imputati godono dell’attenuazione di pena prevista ai sensi dell’art. 7 della l. n. 895/1968, dai giudici del merito non riconosciuta.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 novembre 2015 – 22 aprile 2016, n. 17020 Presidente Vecchio – Relatore La Posta Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 16.7.2014 la Corte di appello di Napoli confermava la decisione di primo grado con la quale il Gup della stessa sede, all’esito del giudizio abbreviato, condannava P.P. e L.P. , con la continuazione e la recidiva, rispettivamente alla pena di anni otto di reclusione, oltre la multa e di anni sei e mesi otto di reclusione, oltre la multa, per i reati di concorso nella detenzione e porto illegale di una pistola cal. 9 parabellum, arma da guerra e delle relative munizioni, nella detenzione e porto dell’arma clandestina e nella ricettazione della stessa, con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 per il metodo e la finalità mafiosa, commessi il 22.6.2013. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione, con atti separati, i predetti imputati, personalmente. 2.1. Il L. denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità fondata su elementi del tutto insufficienti e su petizioni di principio, posto che aveva accompagnato il P. con il motoveicolo senza essere a conoscenza della disponibilità dell’arma del resto, il veicolo si trovava in pessimo stato, quindi, inidoneo alla commissione di attività delittuose, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di merito. Il tentativo di fuga è stato determinato da una sollecitazione del coimputato alla vista della polizia. Contesta, altresì, la qualificazione dell’arma come arma da guerra, non potendo considerarsi tale una pistola cal. 9 parabellum, tanto anche con riferimento alle cartucce calibro 9 x 19, alla luce delle disposizioni del novellato testo normativo del decreto legislativo n. 204 del 2010 in attuazione della direttiva comunitaria 2008/51/CE ed in vigore dal 1 luglio 2011. Con un ulteriore motivo di ricorso si denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 ed al trattamento sanzionatorio. In specie, contesta che sia stato ritenuto il metodo mafioso per il fatto di circolare armati su motoveicolo in considerazione anche della zona, teatro di vicende camorriste. Rileva, quindi, come le circostanze attenuanti generiche siano state negate esclusivamente in considerazione della gravità del fatto, omettendo la valutazione della personalità del ricorrente che non risulta gravato da precedenti come il coimputato. 2.2. Il P. , ugualmente, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione alla ritenuta circostanza aggravante e alla negazione delle circostanze attenuanti generiche al fine di adeguare meglio la pena al fatto. Nel corpo di tali doglianze il ricorrente contesta, altresì, la qualificazione dell’arma come arma da guerra. 3. Con atto depositato il 23.10.2015, a mezzo del difensore di fiducia, i ricorrenti hanno indicato motivi nuovi, denunciando la violazione di legge ed il vizio della motivazione in ordine alla qualificazione dell’arma come arma da guerra, alla luce dei più recenti arresti della giurisprudenza di legittimità in ordine alla ritenuta clandestinità dell’arma che può avere ad oggetto soltanto armi comuni da sparo, le sole immatricolate cui vengono imposti dal banco di prova i numeri di segni identificativi, con conseguente esclusione anche del reato di ricettazione fondato sul presupposto della clandestinità. In via subordinata, si denuncia la violazione di legge con riferimento alla configurabilità del reato di ricettazione, attesa la contestazione relativa alla detenzione di arma clandestina. Considerato in diritto I ricorsi - che possono essere esaminati congiuntamente - sono fondati limitatamente alla natura dell’arma che è stata ritenuta dai giudici di merito arma da guerra. 1. Quanto ai rilievi mossi dal L. avuto riguardo alla affermata responsabilità, premesso che la sentenza della Corte territoriale non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado sviluppandosi entrambe secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti, deve rilevarsi che il discorso giustificativo della sentenza impugnata è compiuto ed immune da contraddizioni e da illogicità manifeste. La Corte di merito, richiamando la sentenza di primo grado, con valutazione ancorata alle concrete e specifiche emergenze probatorie acquisite nel giudizio abbreviato ha dato atto che la polizia era intervenuta a seguito dell’esplosione di colpi di arma da fuoco ed aveva bloccato i due imputati mentre tentavano di allontanarsi a bordo di motoveicolo condotto dal L. il passeggero, P.P. , teneva la mano destra alla cintola facendo intendere di essere armato e al momento in cui era stato fermato impugnava la pistola con il colpo in canna, mentre il L. aveva tentato la fuga a piedi. La asserita assenza di consapevolezza da parte del L. della disponibilità dell’arma viene fondata su argomenti generici e scarsamente plausibili a fronte delle circostanze di fatto di univoca valenza probatoria accertate al momento dell’intervento della polizia, quali la fuga del L. che conduceva il motoveicolo e la circostanza che il P. impugnava la pistola. 2. La Corte di appello, invece, non ha fatto corretta applicazione dei principi recentemente affermati dalla Corte di legittimità in ordine alla configurabilità dei delitti contestati ai ricorrenti al capo A di cui agli artt. 10 e 12 legge n. 497 del 1974, detenzione e porto di un’arma da guerra con riferimento ad una pistola marca Model 75 calibro 9 provvista di caricatore con 11 cartucce dello stesso calibro. È stato, infatti, più volte ribadito che la pistola semiautomatica cal. 9 parabellum ha natura di arma comune da sparo Sez. 1, n. 52170 del 29/10/2014, Spadaro Tracuzzi, rv. 261602 Sez. 1, n. 52526 del 17/09/2014, Raso, rv. 262186 Sez. 1, n. 6875 del 05/12/2014 - dep. 17/02/2015, Colitti, rv. 262609 Sez. 1, n. 11172 del 11/11/2014 - dep. 17/03/2015, Carfora, rv. 262850 . Le richiamante decisioni, invero, hanno chiarito come il criterio della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra e delle munizioni destinate al loro caricamento contenuta nella legge n. 110 del 1975, art. 1, commi 1 e 3, come requisito tipico e individualizzante dell’appartenenza del modello di pistola in oggetto alla categoria delle armi da guerra o tipo guerra , è contraddetto e messo in crisi dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo della pistola semiautomatica calibro 9 x 21, liberamente commerciabile come tale nell’ovvia osservanza della normativa di pubblica sicurezza sul mercato interno, che costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di capacità balistiche pressoché identiche se non addirittura superiori a quelle del modello 9 x 19, rispetto al quale l’unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum che costituisce, in generale, una delle cartucce per pistola più diffuse e utilizzate al mondo, anche al di fuori dell’impiego militare e da parte delle forze di polizia, perché unisce una traiettoria piatta a un moderato contraccolpo e a un discreto potere d’arresto, oltre ad avere un costo economico contenuto . L’esclusione dell’intrinseca potenzialità offensiva, tipica del munizionamento per armi da guerra o tipo guerra, secondo la definizione contenuta nella legge n. 110 del 1975, art. 1, comma 2 , della cartuccia cal. 9 x 19 parabellum è confermata dall’esistenza e dalla commerciabilità sul mercato italiano di munizioni per arma comune da sparo dotate di una superiore capacità di offesa alla persona come il calibro 357 magnum 9 x 33 mm R , liberamente detenibili da soggetti privati nel rispetto della normativa di pubblica sicurezza, nonché - soprattutto - dalla circostanza che armi lunghe da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, come la carabina Thureon Defense di fabbricazione USA, hanno recentemente ottenuto dal Banco nazionale di prova di OMISSIS la certificazione di armi comuni da sparo importabili e commerciabili in Italia. La conclusione che ne consegue per cui la qualificazione in termini di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l’utilizzo di munizionamento cal. 9 x 19 parabellum non può discendere da un inesistente carattere intrinseco della stessa come arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all’impiego bellico, trova riscontro sul piano normativo - sistematico nel fatto che la relativa disciplina è contenuta non già nella legge n. 110 del 1975, art. 1 che definisce, come si è visto, le armi da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra , ma nel successivo art. 2, che definisce le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo, al comma 2, il divieto di fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di armi corte da fuoco salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello Stato, ovvero all’esportazione , così presupponendo che, in mancanza di tale divieto, le armi stesse sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi comuni da sparo posto che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione dell’art. 1, l’importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbe di per se inibita dalla relativa qualità, senza la necessità di stabilire un apposito divieto al riguardo . Il divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare, detenere e portare con le debite autorizzazioni il modello di pistola calibro 9 parabellum è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi di polizia e prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di arma da guerra dovuta a una inesistente maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9 x 19 parabellum il cui impiego sarebbe altrimenti - indifferentemente - proibito anche per le armi lunghe da fuoco la relativa disciplina assolve così la funzione, non già di tutelare la sicurezza pubblica inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un’arma e di un munizionamento dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra che la pistola calibro 9 parabellum si è visto non possedere , ma di consentire - o per converso di escludere l’immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all’azione delle forze armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi corte il cui calibro corrisponda o viceversa non corrisponda allo specifico modello della pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato posto che la similare cartuccia cal. 9 x 21 IMI, proprio a causa della maggiore lunghezza del bossolo, è impossibile da camerare sulle pistole munite di una camera di scoppio lunga solo 19 mm . La destinazione, per quanto esclusiva, all’armamento delle forze armate e dei corpi armati dello Stato italiano non può, pertanto, assumere, nel caso della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione giuridica come arma da guerra, che - a seguito dell’abrogazione della legge n. 110 del 1975, art. 7 per effetto della novella di cui alla legge n. 183 del 2011, art. 14, con conseguente soppressione con decorrenza dal 1 gennaio 2012 del catalogo ivi previsto - non è più possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo. Un’importanza fondamentale rivestono, invece, agli effetti della risoluzione della questione di diritto inerente alla corretta qualificazione che deve attualmente riconoscersi alla pistola in oggetto la sopravvenienza della norma di cui alla legge 7 agosto 2012, n. 135, art. 23, comma 12 sexiesdecies, della conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, che, a seguito della abolizione del catalogo previsto dalla legge n. 110 del 1975, art. 7, ha attribuito al Banco nazionale di prova di cui alla citata legge, art. 11, comma 2 la competenza a verificare per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in Italia la qualità di arma comune da sparo, nonché, le conseguenti determinazioni che sono state adottate dal suddetto Banco nazionale di prova in attuazione dei nuovi compiti assegnati dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi comuni da sparo. In particolare, per quanto qui interessa, deve essere richiamata la deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di OMISSIS , adottata all’esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1 marzo 2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con specifico riguardo alte armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum, dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui al d.lgs. n. 204 del 2010, art. 5 ne consente la fabbricazione e l’esportazione secondo la normativa delle armi comuni , ma tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati , ha precisato che per evitare equivoci come testualmente recita la risoluzione le armi stesse non saranno inserite nell’elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di arma comune non commercializzabile in Italia . Alla stregua di tale ultima determinazione proveniente dall’ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle armi da fuoco prodotte o importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi sul piano normativo alla pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum il cui inserimento nell’elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati è inibito soltanto dal divieto normativo - contenuto nella legge n. 110 del 1975, art. 2, comma 2 – che ne riserva la destinazione d’uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato e non dalla natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto che è e resta quella di un’arma comune da sparo e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte Sez. 1, n. 52526 del 17/09/2014, Raso . Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio relativamente ai delitti contestati ai ricorrenti al capo A che devono essere qualificati ai sensi dell’art. 7 della legge 2.10.1967 n. 895 tanto impone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio a carico dei ricorrenti sul punto della rideterminazione della pena relativa ai reati di cui al capo A . 3. Non sono fondate le censure dei ricorrenti in ordine alla configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, avuto riguardo al metodo mafioso, che i giudici di merito hanno ritenuto valorizzando la circostanza che gli imputati circolavano a bordo di una moto armati di pistola con il colpo in canna in una zona ad alta densità criminale e che l’intervento della polizia finalizzato al controllo era stato ostacolato dall’intervento di un folto gruppo di persone in difesa degli imputati, tanto da richiedere il soccorso di altro personale di polizia. 4. Peccano di genericità le doglianze relative al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche la cui sussistenza è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato Sez. 6, n. 42688, 24/09/2008, Caridi, rv. 242419 . A detti canoni si è attenuta la Corte di secondo grado escludendo l’esistenza di elementi idonei a fondare il riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche, attesa la estrema pericolosità degli imputati indicata con argomenti logici ed ancorata alle circostanze di fatto accertate, non soltanto per il ricorrente P. - sottoposto alla misura di prevenzione e gravato da numerosi precedenti gravi - ma anche per il L. , pure pregiudicato, alla luce della condotta e del comportamento processuale. 5. Infine, vanno ritenuti inammissibili i motivi di nuovi di ricorso relativi alla configurabilità del reato di detenzione di arma clandestina e a quello di ricettazione che, oltre ad essere palesemente infondati stante la qualificazione dell’arma in arma comune da sparo e la pacifica sussistenza del concorso dei predetti reati, sono tardivi non formando oggetto dei ricorsi proposti tempestivamente personalmente dai ricorrenti. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla definizione giuridica dei delitti di cui al capo A che qualifica ai sensi dell’art. 7 della legge 2.10.1967 n. 895 dispone la trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio a carico dei ricorrenti sul punto della rideterminazione della pena. Rigetta nel resto i ricorsi.