Non è diffamatorio accusare di “parzialità” l’esercente di pubbliche funzioni

Purché gli epiteti utilizzati non debordino i limiti di continenza del diritto di critica che consente di scriminare il reato.

Così la Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, n. 16679/2016, depositata il 21 aprile. Il fatto. Un debitore esecutato aveva apostrofato di frettolosa sollecitudine ” un notaio delegato alla vendita immobiliare, con esposto al presidente del tribunale, al procuratore della Repubblica, al giudice dell’esecuzione ed al presidente dell’Ordine notarile. L’accusa era di aver veicolato su un canale preferenziale e dai tempi più celeri l’esecuzione immobiliare nei confronti del debitore a dispetto di altre procedure pendenti, di fatto ipotizzando la costituzione di un circolo agevolato per l’esecuzione, costituito dai creditori e dall’esercente notaio delegato alle pubbliche funzioni. Pur non violando alcuna disposizione di legge, il notaio era apparso stranamente efficace e satisfattivo degli interessi dei creditori esecutanti nella procedura in oggetto, nelle forme di una fumosa connivenza. Il tribunale di primo grado, ritenuta diffamatoria la comunicazione, aveva condannato il debitore imputato a pena pecuniaria, pur sospesa. L’imputato ricorre in Cassazione, deducendo la legittimità della critica sull’operato del notaio delegato, l’utilizzo di espressioni comunque contenute nelle forme e nell’oggetto e l’assenza di alcuna comunicazione al pubblico atta ad integrare l’aggravante della pubblicità della diffamazione ai sensi del comma 3 dell’art. 595 c.p., ritenuta insufficiente l’incidenza della conoscenza della comunicazione da parte dei componenti degli uffici pubblici in cui era pervenuto l’esposto. Il diritto di critica attiene ad un fatto circostanziato. E noto che l’esimente del diritto di critica tollera giudizi od espressioni anche aspre sulle condotte dell’individuo destinatario delle espressioni,purché quest’ultime si riferiscano alle modalità di comportamento riferite alle circostanze a cui la critica si riferisce. Quelle espressioni tuttavia, per possedere efficacia scriminante, non consentono di trascendere in attacchi a qualità o modi di essere della persona che esulino dalla vicenda concreta, di fatto connotando la persona in termini di generale discredito. Cioè, quelle circostanze particolari non possono costituire supporto per estendere” un giudizio più ampio, relativo alla persona ed alla credibilità di questi nel contesto sociale di riferimento. Dal fatto non si può prescindere. Accusare di frettolosa sollecitudine” - dunque di parzialità - l’esercente di pubbliche funzioni, non costituisce condotta diffamatoria. Appurato che un fatto specifico – le modalità di svolgimento dell’asta immobiliare ad oggetto il bene dell’imputato debitore – era stato rammostrato nell’esposto, i giudici hanno ritenuto che l’espressione utilizzata non debordasse i limiti di continenza dell’accusa e che, diversamente da quanto ipotizzato dai giudici del merito, non stesse a significare una pericolosa connivenza speculativa del notaio delegato con i creditori. Il fatto era stato ben enucleato dal debitore, l’espressione utilizzata non era particolarmente incisiva. Il fatto storico non determina la rilevanza penale della condotta diffamatoria. Tutto quanto al di là delle motivazioni che il notaio delegato aveva prodotto in sede dibattimentale, ossia che quella procedura d’asta non presentava particolari difficoltà come in altri casi, per cui si giustificava un esito più celere. Si tratta tuttavia di considerazioni che, pur presuntivamente vere, non annichiliscono il diritto di critica dell’imputato, siccome espresse in forme contenute ed affatto, per i giudici, diffamatorie. E noto come, per integrare una condotta diffamatoria, occorre che il fatto descritto o dal quale viene dedotta la considerazione lesiva dell’altrui reputazione, debba essere assolutamente falso. Per consentire il diritto di critica, occorre che il fatto descritto possieda un seppur minimo ma incontestabile tratto di verità storica.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 novembre 2015 – 21 aprile 2016, n. 16679 Presidente Fumo – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 28 marzo 2013 la Corte d'Appello di Napoli confermava la sentenza del Tribunale di Avellino dei 25 novembre 2009 con cui M. F., M. M. e M.F. sono stati condannati alla pena di € 600,00 di multa - pena sospesa - per aver in concorso tra di loro quali debitori esecutati, con esposto indirizzato al Presidente del Tribunale di Avellino, al Giudice dell'esecuzione immobiliare presso il Tribunale di Avellino, al Procuratore della Repubblica, all'Ordine degli avvocati ed al Presidente dell'associazione notarile, offeso l'onore ed il decoro di D.V.C., notaio delegato nella procedura esecutiva, assumendo che avrebbe avuto una condotta frettolosa e poco trasparente nella fissazione e nelle notifiche dell'asta dei beni di essi debitori. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, con atto sottoscritto dal loro difensore, affidandolo ad un unico motivo. Viene dedotta l'inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 595 comma primo e terzo, dell'art. 598 c.p.p e dell'art. 521 e 522 c.p.p. nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione . In primo luogo, evidenziano che nell'esposto non si è mai parlato dì condotta frettolosa e poco trasparente essendosi utilizzata l'espressione frettolosa sollecitudine e lo stesso giudice di primo grado aveva rimarcato che i denuncianti non avevano contestato irregolarità in ragione del codice di rito o dell'ordinamento giuridico, ma soltanto la sollecitudine di tale procedura in rapporto alle altre seguite in altri casi. Inoltre, nel capo di imputazione, alcun riferimento era stato fatto ad una supposta connivenza del notaio con interessi speculativi creditori, come invece esposto nella della sentenza di secondo grado con conseguente violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p. oltre al vizio motivazionale. Lamentavano inoltre gli imputati che, come già dedotto nei motivi d'appello, nessuna prova era stata fornita che l'esposto fosse stato inviato e ricevuto dai soggetti indicati nel capo d'imputazione oltre al Giudice dell'Esecuzione, difettando quindi la prova della comunicazione con più persone, elemento costitutivo della diffamazione. Censuravano il mancato riconoscimento da parte della Corte dell'esimente dell'art. 598 c.p. sul rilievo che le espressioni ingiuriose non avrebbero riguardato in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia e non avrebbero avuto una rilevanza funzionale con la procedura. Non aveva considerato la Corte che l'esposto era stato presentato direttamente al giudice dell'esecuzione in un procedimento in cui i ricorrenti erano debitori esecutati e riguardava appunto la procedura esecutiva e dopo tale esposto il Giudice dell'Esecuzione aveva fissato udienza di comparizione delle parti. Infine , veniva censurata l'applicazione dell'aggravante di cui al comma 3° dell'art. 595 c.p. non rientrando l'esposto tra i mezzi di stampa e pubblicità e non costituendo atto pubblico e contestando la motivazione con cui la Corte aveva ritenuto la maggiore diffusività della missiva diretta al magistrato necessariamente destinata a venire a conoscenza di più persone nell'ambito del pubblico ufficio. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e va pertanto accolto. Va preliminarmente osservato che rispetto all'espressione contestata agli imputati nel capo d'imputazione - si sarebbero lamentati in un esposto indirizzato al Giudice dell'Esecuzione e ad altre autorità che il notaio delegato avrebbe avuto una condotta frettolosa e poco trasparente nella fissazione e nelle notifiche dell'asta dei beni di essi debitori - entrambi i giudici di merito hanno accertato che l'espressione effettivamente utilizzata nel loro esposto dai ricorrenti è quella di frettolosa sollecitudine , senz'altro meno pungente. Orbene, ritiene questo Collegio che tale espressione sia stata pronunciata nell'esercizio dei diritto di critica. Posto che per giurisprudenza consolidata di questa Corte perché sia integrata la scriminante è necessario che sia rispettato il requisito della continenza, ovvero che le modalità espressive dispiegate siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell'informazione, e non si traducano in espressioni che in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato, Sez. 5, n. 18170 del 09/03/2015 - dep. 30/04/2015, Mauro e altri, Rv. 263460 non appare nel caso di specie che tale limite sia stato travalicato. Va peraltro osservato che la circostanza lamentata dai ricorrenti, ovvero che la durata della loro procedura immobiliare era stata più ridotta rispetto ad altre procedure esecutive - la connotazione negativa di tale fatto deve essere ovviamente letta nella prospettiva di soggetti esecutati che stanno per perdere i loro beni - non era un'invenzione sebbene la persona offesa avesse nel processo di primo grado fornito, in proposito, una plausibile spiegazione, e segnatamente che quella procedura non aveva presentato alcuna difficoltà essendoci poche formalità pregiudizievoli. D'altra parte, lo stesso giudice di primo grado, cui la sentenza impugnata ha fatto ampio richiamo, ha evidenziato che nel loro esposto i ricorrenti non avevano contestato al notaio irregolarità procedimentali o altre violazioni dell'ordinamento giuridico, di talchè la censura era stata circoscritta proprio alla durata della procedura. Dunque, ad avviso di questa Corte, si potrà ritenere che questa critica sia stata ingenerosa nei confronti del notaio, il quale non aveva fatto altro che il proprio dovere, ma l'espressione contestata nel capo d'imputazione e, maggior ragione, quella accertata dai giudici di merito frettolosa sollecitudine deve ritenersi priva di penale rilevanza. Infine, l'osservazione svolta dalla Corte di merito, secondo cui nell'esposto i ricorrenti avrebbero adombrato una convivenza dei notaio con interessi speculativi del creditore, non trova minimamente conforto nel capo d'imputazione 1 il cui oggetto costituisce il thema decidendum su cui l'organo giudicante è chiamato a pronunciare una decisione. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste.