Fondo concesso in comodato: i proprietari sono salvi dalla responsabilità penale per i manufatti abusivi?

In materia edilizia, se il fondo è concesso in comodato, il rapporto di parentela tra comodatario amministratore della società che ha compiuto gli abusi e comodanti/proprietari del fondo non è sufficiente a ritenere questi responsabili.

Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16163/16, depositata il 20 aprile. Il caso. Gli imputati, quali proprietari di un fondo, erano condannati dal Tribunale di Agrigento per reati in materia edilizia aventi ad oggetto la realizzazione di due manufatti in muratura adiacenti tra loro con copertura in materiale coibentato sostenuto da intelaiatura metallica. La Corte d’appello di Palermo confermava la sentenza. Sostanzialmente erano stati ritenuti corresponsabili per non aver esercitato il potere/dovere, nella loro qualità di proprietari del fondo, di impedire la realizzazione delle opere abusive. Ciò, nonostante avessero concesso il fondo in comodato a società di cui erano soci privi di potere di amministrazione. La sentenza è censurata dalla Corte di Cassazione che evidenzia come i giudici di merito abbiano omesso di chiarire perché hanno ritenuto che, in tale situazione, fosse attribuibile la paternità di fatto delle opere agli imputati. Fondo concesso in comodato. In fatto è incontroverso che il fondo era stato dato in comodato nel 2003, cioè sette anni prima dell’accertata realizzazione dei manufatti. Comodataria era una società di persone di cui era amministratore e socio accomandatario il figlio della coppia. Gli imputati, invece, al momento dei fatti, rivestivano la qualifica di meri soci accomandanti vantando diritto alla ripartizione degli utili della società. In detta qualità non avevano l’amministrazione della società né la disponibilità formale del fondo, giacché, appunto, concesso in comodato. È committente chi ha la materiale disponibilità. La giurisprudenza ha affermato che, in tema di violazioni edilizie costituenti reato, per committente” si intende colui che ha la materiale disponibilità del bene oggetto dell’intervento abusivo, anche se non ne sia proprietario o anche senza avere con lo stesso un rapporto giuridicamente qualificato. È stato chiarito che la paternità dell’opera abusiva può essere attribuita anche a colui che, pur in assenza di titoli formali astrattamente legittimanti un potere decisionale, abbia la disponibilità del bene, anche solo di fatto. Il responsabile dell’abuso. Sull’argomento è stato sostenuto che con riferimento a chi non abbia una qualifica implicante la disponibilità formale del bene, non ha luogo una presunzione logica ma è necessario che sia fornita, da parte dell’accusa, la prova degli elementi fattuali univocamente indicativi della disponibilità di fatto del bene coinvolto nella fattispecie del fondo dove sono edificati i manufatti . La giurisprudenza ha individuato elementi oggettivi indiziari della compartecipazione anche morale alla realizzazione del manufatto da cui desumere la responsabilità per abuso edilizio. Tali sono, ad esempio, la presentazione della domanda di condono edilizio, la piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, l’interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, i rapporti di parentela/affinità tra terzo e proprietario, lo svolgimento di attività di vigilanza nell’esecuzione dei lavori o il regime patrimoniale dei coniugi. Motivazione carente in punto responsabilità. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso e, conseguentemente, annullando con rinvio per nuovo esame la sentenza, ritiene priva di adeguata motivazione la conclusione cui è giunta la Corte territoriale. A giudizio di quest’ultima, infatti, non vi sarebbero stati dubbi che gli investimenti patrimoniali effettuati per la realizzazione dell’opera abusiva fossero da addebitarsi agli imputati. In altri termini, dalla qualità di socio accomandante degli imputati aveva fatto discendere un loro specifico interesse alla realizzazione delle opere abusive in ragione della loro compartecipazione agli utili nonché l’interesse e l’adesione alla commissione di eventuali illeciti commessi dall’accomandatario. Invero, la sentenza impugnata valorizzava la mera presenza degli imputati sui luoghi di pertinenza della società ma mai sosteneva la concomitanza di tale presenza rispetto all’esecuzione dei lavori. Sotto altro profilo i giudici di merito sottolineavano la coincidenza della residenza anagrafica degli imputati con la sede legale della società e, larvatamente e in modo poco convincente , sostenevano un ruolo verosimilmente” attivo svolto dagli imputati nella loro veste di soci, senza considerare l’elemento di segno opposto rappresentato dalla natura di socio accomandante, perciò privo di potere di amministrazione. Non basta essere genitori dell’amministratore della società comodataria L’unico elemento oggettivo è lo stretto vincolo parentale tra imputato e socio accomandatario nonché amministratore della società comodataria del fondo in cui sono stati realizzati i manufatti abusivi. Tale elemento, però, a giudizio della Corte di Cassazione, assume un valore affatto decisivo nell’impianto argomentativo della sentenza che, dunque, appare non esaustiva. Non è un potere di vigilanza. La Suprema Corte non si confronta apertamente ma solo tra le righe con quanto sostenuto a proposito della negazione che in materia edilizia possa trovare applicazione la regola della responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, principio evocato dal ricorrente per sostenere che, nel caso di comodato, non sussiste una posizione di garanzia da parte del proprietario del fondo che non è il committente dei lavori .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 marzo – 20 aprile 2016, n. 16163 Presidente Rosi – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. R.F.S. e C.A. hanno proposto distinti ricorsi avverso la sentenza della Corte d'Appello di Palermo di conferma della sentenza dei Tribunale di Agrigento di condanna per i reati di cui agli artt. 44 lett. b dei d.P.R. n. 380 dei 2001 capo a , 93 e 95 del medesimo d.P.R. capo b e 94 e 95 sempre dello stesso d.P.R. capo c in relazione alla realizzazione di due manufatti in muratura adiacenti tra loro con copertura in materiale coibentato sostenuto da intelaiatura metallica. 2. Con un unico motivo, di contenuto analogo per entrambi i ricorsi, viene eccepito difetto di motivazione e violazione di legge si lamenta in particolare che con l'atto di appello si era lamentato che fosse stato ritenuto il concorso nel reato dei due imputati pur non avendo gli stessi la materiale disponibilità del fondo, giacché concesso in comodato alla società Sud cementi di R.F. F. e C. la risposta della Corte secondo cui entrambi i coniugi avrebbero avuto uno specifico interesse alla realizzazione delle opere abusive in ragione della loro compartecipazione quali soci accomandanti nella società in accomandita riconducibile al figlio unico accomandatario ed amministratore è tuttavia assertiva e apodittica da un lato infatti non si vede sotto quale profilo e in quali termini il mero diritto degli accomandanti alla distribuzione degli utili denoterebbe l'interesse e l'adesione alla commissione di eventuali illeciti commessi dagli accomandatari, e dall'altro, comunque, così come la responsabilità del reato edilizio non può discendere dalla mera qualità di proprietario, altrettanto lo stesso non può affermarsi con riguardo alla mera veste di soci accomandanti, diversamente configurandosi una forma di responsabilità oggettiva. È illogico poi il ragionamento fondato sulla presenza sui luoghi di pertinenza della società da parte dei ricorrenti al momento dei sopralluogo, posto che essi non vennero di certo sorpresi mentre erano in corso lavori o a dare istruzioni e direttive e a vigilare. Anche l'assunto in ordine alla residenza nello stesso territorio sede della società e in cui è ubicato il terreno sarebbe irrilevante non potendo di per sé significare che la detenzione del fondo sia continuata anche dopo avere trasferito ad altri la stessa con comodato stipulato in tempi non sospetti già parecchi anni prima in data 2003 dell'abuso in data 2011 . Sicché, nella sostanza, i ricorrenti sono stati ritenuti corresponsabili della violazione semplicemente per non avere attivato il potere - dovere, quali proprietari del fondo, di impedire la realizzazione delle opere abusive nonostante la avvenuta concessione in comodato senza che però, in materia edilizia, possa trovare applicazione la regola della responsabilità omissiva per difetto di vigilanza ex art. 40 comma 2 c.p. come del resto affermato dalla giurisprudenza di legittimità. 3. Con memoria in data 02/03/2016 i ricorrenti hanno ribadito le censure mosse alla sentenza. Considerato in diritto 4. I ricorsi sono fondati. Questa Corte ha in più occasioni affermato che in tema di violazioni edilizie costituenti reato, il committente deve identificarsi in colui che ha la materiale disponibilità del bene oggetto dell'intervento abusivo, anche senza esserne il proprietario o senza avere con lo stesso un rapporto giuridicamente qualificato Sez. 3, n. 43608 del 15/09/2015, Rosati, Rv. 265159 in altri termini, la paternità, esclusiva o in concorso con altri, dell'opera ben può essere attribuita anche a colui che, pur in assenza di titoli formali astrattamente legittimanti un potere decisionale, abbia, anche solo di fatto, la disponibilità del bene. Sicché, se con riguardo alla posizione di chi ricopra una veste già di per sé implicante la disponibilità formale del bene, la presunzione logica in tal modo derivante circa l'attribuibilità al medesimo dei lavori comporta, in capo all'accusa, un onere probatorio di minore portata perché in qualche modo coincidente con tale dato formale, con riguardo invece a chi tale qualifica formale non abbia, è necessario che sia fornita la prova degli elementi fattuali univocamente indicativi, in contrasto con l'apparente formale estraneità del soggetto, della disponibilità di fatto del bene coinvolto nella fattispecie, dei fondo sul quale i manufatti sono stati edificati . Ed infatti, sia pure con riferimento alla situazione del coniuge mero comproprietario e non committente, si è affermato che la responsabilità per l'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria della compartecipazione, anche morale, alla realizzazione del manufatto, desumibili dalla presentazione della domanda di condono edilizio, dalla piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, dall'interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, dai rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, dalla presenza di quest'ultimo in loco e dallo svolgimento di attività di vigilanza nell'esecuzione dei lavori o dal regime patrimoniale dei coniugi tra le altre, Sez. 3, n. 52040 del 11/11/2014, Langella e altro, Rv. 261522 . 5. Ciò posto, è dato incontroverso che, nella specie, il fondo su cui le opere sono state realizzate venne concesso in comodato già in data 01/04/2003 ovvero sette anni prima dell'accertata realizzazione dei manufatti dagli imputati alla società Sud cementi di R.F. F. & amp C. S.a.s. amministrata dal figlio, socio accomandatario, degli stessi risulta inoltre che entrambi gli imputati rivestivano, al momento dei fatti, la qualifica di meri soci accomandanti di detta società. Ne deriva, come dei resto riconosciuto dalla stessa sentenza appellata, che gli imputati non avevano l'amministrazione della società, spettante solo al figlio, né avevano formalmente la disponibilità del fondo, concesso appunto anni prima in comodato alla società. Sarebbe dunque stato necessario che, in conformità ai principi sopra enunciati, e tanto più in ragione del fatto che, nella specie, la mera qualifica di proprietari del fondo non poteva appunto significare di per sé disponibilità dello stesso, atteso il trasferimento in comodato avvenuto anni prima, i giudici di merito spiegassero in maniera logica perché, ciononostante, agli imputati fosse attribuibile, di fatto, la paternità delle opere in oggetto. Ora, la sentenza impugnata non pare avere proceduto in tal senso da un lato si è valorizzata la mera presenza degli stessi sui luoghi di pertinenza della società quale dato la cui significanza, tuttavia, al di là del fatto che mai si asserisce che tale presenza sia stata concomitante all'esecuzione dei lavori ciò che, solo, sarebbe davvero significativo secondo l'indirizzo di questa Corte , viene implicitamente sminuita dalla stessa sentenza laddove si dà atto in altro punto che la residenza anagrafica degli stessi coincideva con la sede legale della società e, dall'altro, si è continuato incongruamente a ricavare un ruolo, peraltro solo verosimilmente , attivo degli imputati da un mero dato formale quale la veste di soci accomandanti, anzi nel senso, prima di tutto, della mancanza di poteri di amministrazione, spettanti infatti al socio accomandatario. Sicché lo stretto vincolo parentale tra imputati e socio accomandatario, quale unico dato correttamente valorizzabile nel senso di un interesse alla realizzazione dell'opera, finisce per assumere, nell'impianto motivazionale del provvedimento, un valore per niente decisivo. Conseguentemente, la conclusione secondo cui non vi sarebbero dubbi che gli investimenti patrimoniali effettuati per la realizzazione dell'opera abusiva fossero da imputarsi ad essi stessi, pur avendo il figlio la rappresentanza legale della società non risulta coerentemente motivata e la sentenza impugnata deve essere annullata per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.